La rete delle mafie (Narcomafie)

di Pierpaolo Romani, del 31 Ottobre 2012

Da Narcomafie – 09/2012
Il gioco del calcio è lo sport nazionale per antonomasia, ma anche un business sempre più appetibile per le mafie che da anni sono scese su questo terreno, consapevoli che grazie ad esso è possibile coltivare consenso e controllo sociale

Il calcio ha il potere di fermare un paese e di distrarlo dai suoi problemi. Al contrario, non succede mai che un paese si fermi a riflettere seriamente su quello che accade nel mondo del calcio. Se lo fa, come avvenuto di recente in Italia, è quando scoppiano grossi scandali (Calciopoli o la più recente Scommessopoli) o accadono terribili tragedie dentro e fuori gli stadi (per esempio, la morte del giovane calciatore Piermario Morosini o quella dell’ispettore di Polizia Filippo Raciti, a Catania il 2 febbraio 2007, al termine del derby con il Palermo), o quando si verificano situazioni che la gente considera impensabili o scandalose, come lo sciopero dei calciatori di serie A alla prima giornata di campionato 2011/2012. Dibattiti televisivi, prime pagine dei quotidiani, trasmissioni radiofoniche, forum su Internet. Per alcuni giorni non si parla d’altro. Poi, tutto ritorna come prima.Silenzio: the show must go on. La palla deve continuare a girare sul rettangolo verde, contesa tra i ventidue uomini che si sfidano in campo. Il calcio è un fenomeno di massa a livello planetario e mettere le mani su di esso significa incidere sulla cultura, sulla politica e sull’economia di un paese. Per renderci conto di cosa muove il mondo del football basti pensare che, secondo il Big Count Study della Fifa – l’organizzazione internazionale che governa il calcio -, nel 2006 giocavano attivamente a pallone 265 milioni di persone, vale a dire il 4% della popolazione mondiale, ossia un abitante della Terra ogni venticinque. Il pallone è lo sport nazionale per eccellenza degli italiani. I dati del Report Calcio 2011, ci dicono che il 70% della popolazione nazionale tra i 15 e i 69 anni – vale a dire oltre trenta milioni di persone – è interessato, a vario titolo, al mondo del football. Cifre ben lontane da quelle della prima storica partita di calcio, che in Italia si è disputata il 6 gennaio 1898, a Ponte Carrega tra il Genoa e l’International di Torino , un match a cui hanno assistito 190 spettatori e che fruttò agli organizzatori 101,45 lire, come ricorda Gianni Brera nel suo libro Storia critica del calcio italiano. Attirare l’attenzione di più della metà della popolazione del nostro Paese significa che il calcio contribuisce a costruire e a rappresentare una parte importante della nostra società, è un potente strumento di aggregazione e di integrazione sociale, di costruzione del senso di appartenenza e di identità ad un territorio e ad una nazione. È uno strumento che dà riconoscibilità e prestigio sociale.

Questo non lo hanno capito solo i marketing manager, gli imprenditori e i politici. Ma anche i mafiosi. I boss, infatti, hanno deciso di investire una parte delle loro ingenti risorse finanziarie nel mondo del calcio – e in una serie di attività che vi ruotano intorno – coscienti che la palla rotonda è uno strumento fondamentale per acquisire e manipolare il consenso sociale, per controllare il territorio, per riciclare denaro sporco, per instaurare relazioni con il mondo che conta: quello della politica, delle istituzioni e degli affari. Il calcio, per le mafie, non è solo uno strumento per impiegare capitali finanziari illeciti.

È soprattutto un mezzo fondamentale per accumulare e mettere a frutto quello che i sociologi definiscono capitale sociale, ossia un bagaglio di relazioni che sono utili e necessarie per il raggiungimento di determinati fini. I boss hanno compreso che grazie al calcio è possibile coltivare e controllare il consenso sociale «elemento fondamentale del Dna mafioso» come ha affermato in una recente intervista Michele Prestipino, Procuratore aggiunto di Reggio Calabria. Una risorsa di cui essi hanno un bisogno assoluto, come i pesci dell’acqua, per garantirsi connivenze, collusioni, complicità, omertà.

Per fare affari con più facilità, senza ricorrere alla violenza che, se usata in dosi massicce, provoca allarme sociale e, quindi, l’intervento delle forze dell’ordine e della magistratura. “Meno pallottole e più pallone” per i mafiosi significa ridurre i rischi di arresto, di sequestro e confisca di beni e, di conseguenza, rafforzamento del proprio potere e della propria impunità. È il calcio delle serie minori – Lega Pro e campionati dilettanti – quello lontano dai riflettori e dalla ribalta mediatica, quello più direttamente legato al territorio, quello nel quale gli stipendi sono incommensurabilmente più bassi rispetto alla serie A e non sempre vengono pagati o lo sono con molto ritardo e in nero, quello sul quale le mafie hanno deciso di puntare in via prioritaria. Le serie A e B, tuttavia, non possono cullarsi sugli allori e pensare, erroneamente, che la problematica non possa riguardarle, soprattutto dopo quanto sta emergendo con l’inchiesta Last Bet della Procura di Cremona e con quelle delle Procure di Napoli e di Bari. Le mafie si sono infiltrate anche nelle tifoserie, un settore importante e delicato del mondo del calcio. Nelle curve o sulle gradinate, insieme al tifo, si mescolano violenza, politica e interessi economici rilevanti legati, ad esempio, alla gestione dei biglietti delle partite, al merchandising, all’organizzazione delle trasferte e, come hanno dimostrato i recenti arresti di Bari, anche sulle scommesse. Le cosche si sono attrezzate da tempo per entrare nel business del gioco e per gestire sia le scommesse lecite sia quelle illecite legate al calcio e ad altri sport. Le Procure di Napoli e di Bari hanno avviato delle indagini sotto questo profilo.

Il mercato è particolarmente appetibile per tre ragioni: girano tanti soldi, il denaro che si muove è liquido, le sanzioni sono piuttosto deboli. Da accorti imprenditori, i boss si sono adeguati alle nuove leggi che hanno legalizzato ciò che prima era illegale ed hanno investito una parte dei loro capitali nell’acquisto delle agenzie di scommesse. Questo è potuto accadere sia per la possibilità di poter contare su dei prestanome di

fiducia, sia per la complicità di persone dipendenti di grandi società che operano in questo settore. Non solo. I mafiosi hanno anche investito nella realizzazione e nella gestione di siti internet illegali, agendo direttamente come dei bookmaker.

«Il calcio ha un ritorno di immagine incredibile e fatto a livello aziendale porta posti di lavoro e guadagni insperati ». Sono le parole di due ‘ndranghetisti arrestati in Calabria alla fine degli anni Novanta che hanno trovato conferma nelle indagini svolte sinora da diverse procure italiane,

in particolare in Sicilia, Campania, Calabria, Basilicata, Puglia, Lazio e Liguria.

I magistrati, insieme al lavoro di denuncia portato avanti da associazioni come Libera e da alcune inchieste giornalisti che, hanno portato alla luce l’esistenza di un sistema che possiamo definire “calcio criminale”, composto da mafiosi, faccendieri e sportivi disonesti. Un sistema che vive e si alimenta di continui contatti e scambi con quella che è stata definita “borghesia mafiosa”, composta da imprenditori, professionisti, giornalisti, politici, amministratori locali che, pur non facendo parte di alcuna organizzazione criminale, in quanto non sono ritualmente affiliati, ed avendo sovente la fedina penale pulita – il che li rende insospettabili – si mettono a disposizione delle mafie, fornendo loro una serie di servizi e di competenze, per ottenerne in cambio precisi vantaggi, a partire da quelli di tipo economico. Un’ulteriore testimonianza di come la forza delle mafie stia fuori dalle mafie.

Di Pierpaolo Romani

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