Salvini come Le Pen? Non scherziamo (Linkiesta.it)

di David Allegranti, del 11 Dicembre 2015

Da Linkiesta.it dell’11 dicembre

I populismi sono fiorenti, bellicosi, vincenti, offrono certezze che altri non possono mantenere. Danno risposte precise a problemi molto concreti, come il tema della sicurezza, in un’epoca nella quale tutto è liquido; la politica, la società, la guerra.
L’avanzata di Marine Le Pen alle elezioni regionali francesi di domenica scorsa va in questa direzione. Il Front National rappresenta una risposta a quella “nostalgia della politica”, come l’ha chiamata lo storico Giovanni Orsina su La Stampa, largamente diffusa nell’elettorato non solo transalpino. Ci sono generazioni e fasce sociali di esclusi della globalizzazione chiamati in causa da quel voto francese, e sottovalutarlo – giornalisticamente e politicamente – sarebbe un errore.
Matteo Salvini ha cercato di intestarsi la sera stessa una vittoria per interposta Le Pen. Ma mentre Marine non ha un problema di identità – né politico né tantomeno geografico – la Lega Nord di Salvini sembra essere distante dalla maturità politica lepenista. Il Front National ha risolto la questione della leadership, variabile centrale nel caso di un movimento a guida dinastica come quello, quando al congresso di Tours del 15 e 16 gennaio 2011 Marine ha conquistato la presidenza del partito, chiudendo – scrive Nicola Genga ne “Il Front national da Jean-Marie a Marine Le Pen. La destra nazional-populista in Francia (Rubbettino) – «una fase di transizione lunga oltre un decennio, iniziata alla fine degli anni ’90 con la sfida di Mégret alla leadership di Jean-Marie Le Pen e messa solo tra parentesi dall’exploit di ques’ultimo alle presidenziali del 2002».
È un fronte nazionale, appunto, quello della Le Pen, non geopoliticamente orientato alla tutela della Padania, per quanto il leghista Matteo Salvini voglia rivedere l’autonomismo padano, rivendicando autonomia non più da Roma, ma dagli orridi burocrati di Bruxelles. Una questione che sarà risolta, probabilmente, al prossimo congresso della Lega, quando Salvini rivedrà l’articolo 1 dello statuto sull’indipendenza della Padania.
Come può un movimento che vuole essere nazionale mantenere un’identità locale e localista? Sì, c’è l’esperimento di Noi con Salvini per sfondare nel Mezzogiorno, ma evidentemente non basta, anzi è largamente insufficiente, anche se vorrebbe scimmiottare il Rassemlement Blue Marine lanciato in Francia nel maggio 2012, che coinvolgeva organizzazioni come Souveraineté, indépendance et libertés (Siel) di Paul-Marie Coùteaux e Entente républicaine di Jacques Peyrat, insieme a candidati indipendenti come l’avvocato Gilbert Collard e Jean-Yves Narquin.
La Le Pen ha costruito un movimento influente nella società francese, fuggendo dai rischi «del gruppuscolarismo mortale e del settarismo aggressivo», come ha detto una volta, spostando l’attenzione dal centro alle periferie ha conquistato voti degli indignados contrari alle oligarchie. «Domenica, il popolo francese ha fatto vacillare l’oligarchia, le sue certezze, la sua indifferenza, la sua arroganza», ha detto in questi giorni la Le Pen, riproponendo la chiave di lettura dello scontro fra centro e periferia, fra emarginati e iper-garantiti. Laddove si dimostra che le linee di frattura fra destra e sinistra potrebbero essere sostituite – anche se Le Pen e soci dicono che questo è già avvenuto – da nuove articolazioni, come quelle fra popolo ed élite.
Eppoi c’è la questione dell’identità: che cosa vuol essere la Lega oggi? Dopo aver attraversato la fase LegaPound, Salvini ha riunito in piazza a Bologna il centrodestra senza le bandiere con la tartaruga, che lo avevano accompagnato in altre circostanze, a Roma e a Milano. La Le Pen sembra aver già fatto i conti quella storia, come scrive Genga, «in generale, nel nuovo corso frontista (di Marine, ndr) si registra una graduale discontinuità nelle prese di posizione ufficiali su questioni storiche quali il collaborazionismo, il regime di Pétain e il passato coloniale della Francia. Gli accenti della strategia di rispettabilizzazione marinista si colgono ante litteram nel discorso di Valmy, con cui il 20 settembre del 2006 Jean-Marie Le Pen inaugura la sua ultima campagna presidenziale. Il testo, ispirato da Marine Le Pen con il contributo di membri del Fn (Jean-Frarnois Touzé e Philippe Péninque) e del “rossobruno” Alain Soral commemora la battaglia combattuta nel 1792 dalla Francia contro i prussiani come “ultima vittoria della Monarchia, prima vittoria della Repubblica”. Nelle parole di Le Pen si legge l’intenzione di riconciliare i valori rivoluzionari con la destra nazionale, per contribuire al superamento definitivo del retaggio legittimista e recepire un’idea di Repubblica “fiera della sua storia e assimilatrice, rispettosa della libertà e attenta agli umili, e più di ogni altra cosa appassionata alla giustizia e all’eguaglianza, quella della Repubblica descritta nella nostra Costituzione: laica, democratica e sociale”».
L’assunzione del patrimonio costituzionale, del trittico del 1789 «non più emendato dell’égalité e dell’idea di laicità maturata nella Terza Repubblica paiono segnali della volontà di rompere definitivamente con un passato parafascista ritenuto compromettente. Questa linea verrà perseguita da Marine attraverso l’emarginazione nel partito dei giovani nazillons dalla testa rasata e, dopo il congresso di Tours, con l’allontanamento dei pétainisti vicini a Bruno Gollnisch».
Come osserva Antonio Rapisarda, che conosce bene le dinamiche del Front National, autore del recente “All’armi siam leghisti” (Wingsbert House), «il Front National ha stravinto il primo turno perché: non parla di “rifare il centrodestra”; non parla di diritti civili; non confonde cultura libertaria con politiche libertarie; vuole confini, dazi, blocco immigrazione massiva, diritti sociali, sovranità e indipendenza dall’Ue». Nel fare tutto questo, assimila i valori repubblicani, che derivano dall’appartenenza allo Stato francese, ma è molto chiara nello stabilire l’orizzonte entro cui muoversi.
Salvini, a differenza della Le Pen, ha un competitor in casa propria nella sfida per la leadership – se così si può dire – del fronte populista (definizione che adottiamo in termini puramente avalutativi). Si tratta di Beppe Grillo, il capo dell’anticasta, un terreno di scontro oggi contendibile; massima espressione della liquidità della società, in cui la nostalgia della politica si potrebbe tramutare – secondo la narrazione populista – nella peggiore delle ipotesi, in una guerra fra gli ultimi e i penultimi. Con cui fare i conti.

di David Allegranti

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