Il nuovo populismo, senza leader e masse é una belva social (ilriformista.it)

di Corrado Ocone, del 29 Gennaio 2021

Flavio Felice

I limiti del popolo

Democrazia e autorità politica nel pensiero di Luigi Sturzo

Il 18 gennaio 1919 don Luigi Sturzo fondò, sulla base di un programma ideale e politico preciso e ben concepito, il Partito Popolare Italiano. Il nome non fu scelto a caso, come avviene più o meno oggi nei tempi del cosiddetto “populismo”. Eppure, non si può non notare che il termine “populismo” presenta, a tutta evidenza, una stretta parentela col termine “popolarismo”, per via della comune radice linguistica: “popolo”.

È da questa osservazione che parte Flavio Felice per costruire il suo ultimo impegnativo libro, che è sia una ricostruzione del pensiero del sacerdote di Caltagirone attraverso la lente del concetto di popolo, sia una presa di distanza netta dal populismo odierno: I limiti del popolo. Democrazia e autorità politica nel pensiero di Luigi Sturzo (Rubbettino). L’idea forte che ricorre nel volume è che l’affinità fra populismo e popolarismo è solo terminologica, e quindi “falsa, giacché il popolo del populismo è ben diverso da quello del popolarismo”. È un’affermazione che si può accettare in linea di massima, ma che, secondo me va limitata, circoscritta, precisata.

Ho l’impressione che “populismo” sia oggi diventato, come qualche anno fa “liberalismo”, un termine passepartout, e quindi vuoto o senza significato. Con la differenza che mentre allora si guardava al futuro con speranza perché, essendo cadute le vecchie ideologie, sembrava che finalmente potesse affermarsi un’Italia liberale che non c’era mai stata, oggi si guarda al presente preoccupati, anzi allarmati, senza nessuna speranza in un futuro migliore.

Il termine “populismo”, preso in un’accezione negativa, segnala questo stato d’animo d’incomprensione e lontananza dal proprio tempo. Il presente attuale ovviamente non è più quello di Sturzo, il quale parlava in nome di una democrazia rappresentativa di stampo classico che è in crisi dappertutto. Di converso, pure il “populismo” è un’altra cosa rispetto a quello classico: non è più, al contrario di quanto pensa Felice, quello in cui il leader presenta se stesso come la “mistica” incarnazione del popolo, concepito organicisticamente, in un capo carismatico.

Certo, i partiti sono oggi “personali”, per usare la definizione di Mauro Calise, ma questo attiene più che altro alle esigenze della comunicazione politica. I leader fra l’altro vengono consumati dal “pubblico” con una rapidità quasi frenetica che parlare di loro come possibili dictator è veramente impossibile. È vero che l’idea di popolo in Sturzo, che era un personalista, “non ha nulla di collettivistico, corporativistico e organicistico”; ma lo stesso vale per quella degli attuali leader populisti, i quali parlano a individui atomizzati, capricciosi, in preda a “narcisismo”, e non a un popolo organico o coeso. L’impressione è che una quota di “populismo” sia oggi, proprio perché corrispondente ai tempi, in tutti i partiti. È possibile, in tempi di comunicazione virtuale e in tempo reale, concepire un rapporto mediato fra élite o leader e masse?

C’è stato negli ultimi tempi in Italia un governo che abbia seguito la prassi parlamentare voluta dai Padri costituenti e che non abbia sostanzialmente legiferato per decreti legge? E c’è un partito, che sia di destra o di sinistra, che non agisca oggi per simboli e strizzando gli occhi a un’opinione pubblica emotiva e fluida? Da questo punto di vista uno Zingaretti che esalta le Sardine, cioè un movimento senza corpo né idee, che si appella a emozioni e a valori non politici e indefinibili come la “bellezza”, sarebbe stato inconcepibile un tempo a sinistra; così come a destra lo sarebbe stato un modo di agire e comunicare fatto di slogan e insulti a buon mercato (che fine ha fatto l’understatement dei conservatori d’antan?) .

Se il “populismo” è allora un tratto del nostro tempo, non si tratta di qualcosa che si possa eliminare con un tratto di penna, o magari con una buona educazione paternalisticamente offerta dalla scuola di Stato. Bisogna prendere atto della realtà e cercare di affermare, partendo da essa, e in nuove forme, l’esigenza di libertà che ci anima. Vasto programma certo, ma non ne vedo altri. Dobbiamo essere sturziani nello spirito, non essendo più possibile esserlo alla lettera.

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