Ti ho vista che ridevi (Virginiamcfriend.it)

del 1 Giugno 2016

Da Virginiamcfriend.it

In 30ics anni di vita mi è capitato spesso di leggere libri così. Che è peggio di così così. Ai libri così non ho dato altre possibilità al di là della prima. Sono finiti infondo alla libreria e lì vegetano da anni, nell’attesa che qualcuno più saggio di me possa un giorno restituirli al loro antico lustro. I libri così – ho capito col tempo – sono libri giunti tra le mie mani nel momento sbagliato. L’ho capito quando c’è stata un’inversione di rotta e ho iniziato per caso a trovarmi tra le mani libri giusti, libri che se avessi letto in un’altra epoca della mia vita forse non avrei saputo apprezzare. Non per colpa loro, solo per una questione di anacronismi e sfasamenti che uno insomma ha, nel corso dei suoi 30ics anni. Uno di questi libri calzanti, perfetti qui ed ora – mamma mia quanto – è Ti ho vista che ridevi dei Lou Palanca, made in casa Rubbettino Editore di Calabria che – per quelli che VirginiaMcFriend non la leggono spesso – è un editore assai caro da queste parti. Correte a leggervi altre recensioni, gente.
Se Ti ho vista che ridevi è destinato a diventare il libro di questo momento storico in casa McFriend, un pochino è anche merito di coloro che lo hanno fatto giungere tra le mie mani: Chiara, che il libro me lo ha venduto in un assolato giorno di primavera a Tropea, e mio fratello, quello che non legge libri ma solo spartiti e che un giorno di quasi un anno fa, di ritorno da scuola, mi ha raccontato di questo incontro con un gruppo di scrittori – Lou Palanca – autori di una storia sulle donne di Calabria. “Sì, vabbé, ma dimmi come si chiamano? Dimmi almeno che titolo aveva ‘sto libro, no?”. “Ma che ne so, parlava di una che rideva e che era scappata dalla Calabria e poi aveva avuto un figlio ma se ne era dovuta andare via”. Che straordinarai capacità di sintesi, gli adolescenti!
Insomma, che fai, non te lo leggi il libro scritto da un gruppo di 5 persone (Fabio Cuzzola, Valerio De Nardo, Nicola Fiorita, Maura Ranieri e Monica Sperabene), che si definiscono “un collettivo di scrittura a geometria variabile”? Certo che te lo leggi e lo leggi pure con la gioia del cuore perché il collettivo nasce e cresce proprio in Calabria memore nel nome dei signor Massimo Palanca, attaccante del Catanzaro noto per il piedino di fata e i baffi alla Frank Zappa, e di una scrittura collettiva che in Italia sta diventando un movimento per la libera condivisione dei saperi e del piacere di scrivere più che un genere letterario. Ah, quante cose belle in questa Calabria, anche senza dover necessariamente parlare di mare. Tra l’altro, vuoi non leggerlo un libro che parla di calabrotte espatriate nel nord d’Italia a cavallo degli anni Sessanta in un momento di valigie, traslochi e ritorni alla terra come questo? Vuoi, vuoi fortissimamente, vuoi conoscere la storia di Dora, partita da Riace per le Langhe come decine di altre donne calabresi col sogno del benessere negli occhi e la sorpresa di una terra agra da lavorare e mantenere in vita. E un figlio spurio abbandonato laggiù.
Ci sono cose che io non so, perché sono profondamente ignorante su certi fatti di storia. La storia e la matematica, un bel mistero. Fortuna che certi libri arrivano al momento giusto a raccontarmi un altro pezzetto della mia storia collettiva, ‘che la storia collettiva è tutto prima di costruirsi una storia individuale. Ti ho vista che ridevi racconta una storia individuale attraverso i racconti delle calabrotte, del gruppo, della comunità, e la voce del coro diventala voce di ogni signola calabrotta espatriata con gli occhi nel mare e il sogno di tornare, un giorno. Il mio stesso sogno.
Ma dicevamo, le cose che non sapevo prima di Ti ho vista che ridevi. Ad esempio, io non lo sapevo mica che negli anni Sessanta gli uomini delle Langhe facevano fatica a trovar moglie che quelle – le piemontesi – preferivano spostarsi a Torino per far la vita da borghese piuttosto che maritarsi un contadinotto. E quindi non lo sapevo mica che le calabrotte salivano in Piemonte coi matrimoni combinati, non tanto per rispettare la tradizione del matrimonio combinato quanto per salvargli la terra al Piemonte, che altrimenti non avrebbe avuto figli e le Langhe sarebbero sparite nel nulla. E infine non lo sapevo mica che se le Langhe oggi son patria di Slow Food Italia, del barolo e della salsiccia di Bra tanto fotografati su Instagram con filtri vintage abbinati, un pochino è merito delle calabrotte, che a questa terra hanno dato il futuro mentre gli uomini del posto hanno dato il sudore. No, non lo sapevo tutto questo e mi chiedo quanti altri da nord a sud certe storie non le conoscano, che un libro come Ti ho vista che ridevi – cari insegnanti – forse lo dovreste consigliare tra le letture estive ai vostri studenti. E basta con il Nome della rosa, per carità, quanto altro vogliamo far guadagnare un morto?
Perché la storia d’Italia è – soprattutto – quella e se un pochino – pochino – conoscessimo quella storia lì forse impareremmo a comprendere la storia di oggi, quella che ci scorre sotto gli occhi, quella che ci raccontano storpiata i telegiornali ma soprattutto quella che vediamo ogni giorno ferma ai semafori, nelle stazioni delle grandi metropoli, sotto i ponti, nei campi profughi. La storia di popoli in fuga che cercano un posto in cui continuare a costruirsi una storia, perché la terra è di tutti, ogni luogo è casa, ogni storia merita d’essere raccontata.
Perché sono sempre gli altri che ci salvano.

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