La ‘ndrangheta vista da Ciconte (Calabria Ora)

di Mariateresa D'Agostino, del 2 Aprile 2013

Da Calabria Ora del 31 marzo 2013

Collusioni molteplici, voti offerti ai politici ma pure richiesti dai politici, clientelismo e favoreggiamenti vari. La storia del rapporto tra ‘ndrangheta e politica dall’Unità d’Italia a oggi è un intreccio di malaffare e strategie occulte. Un replicarsi di dinamiche illecite che, via via, hanno sottratto spazi vitali alla società civile, consegnandoci, in molte parti della regione e della nazione, una «democrazia evanescente, quasi un guscio vuoto». E il punto nodale di tale stortura, secondo Enzo Ciconte, tra i massimi studiosi del fenomeno mafia, è rappresentato in primis dalla camaleontica capacità di adattamento della criminalità calabrese ai tempi e alle situazioni.
«La ‘ndrangheta è l’organizzazione mafiosa che è in perenne trasformazione; non è mai uguale a se stessa ed è sempre uguale a se stessa. Può sembrare un bisticcio di parole ma non lo è. È la sua essenza più profonda», scrive Ciconte nel suo nuovo saggio, “Politici (e) malandrini”, edito da Rubbettino. Titolo esemplificativo per una dicotomia linguistica – politici e malandrini, ma pure politici malandrini -che, nei fatti, invece si trasforma nel grigio indifferenziato delle collusioni e commistioni. «La ‘ndrangheta è una struttura mafiosa che trova la sua continuità nelle regole, nei rituali, nelle favole e nel mito, ma pure cambia e si rinnova di continuo – dice Ciconte -. Nel tempo è mutata con straordinaria abilità nel seguire i mutamenti, le nuove “esigenze” criminali. I sequestri di persona, prima, la droga, poi, infine l’espansione al nord Italia e all’estero».
Come è cambiato nel tempo il rapporto tra ‘ndrangheta e politica?
«Il rapporto tra ‘ndrangheta e politica esiste da sempre, possiamo però distinguere due fasi con caratteristiche diverse. Nella prima, quella che possiamo far risalire all’Ottocento, sono i politici, in quel momento assolutamente più potenti, a tenere le redini di un gioco in cui la ‘ndrangheta è in subordine. Alla metà degli anni Settanta del Novecento, la situazione si capovolge e sono le ‘ndrine a dettare le condizioni grazie a un maggiore potere acquisito con la vicinanza a frange di massoneria deviata. Non dimentichiamo, a tal proposito, che la storia del potere mafioso è una storia di “relazioni”, di capacità di tessere rapporti. Tornando al tema centrale, il ribaltamento delle posizioni è completato negli anni Ottanta quando le cosche candidano nei vari comuni i propri affiliati».
Proprio per quanto riguarda i “contatti” e le “frequentazioni”, nel suo nuovo libro, emerge una sorta di “unicità” della criminalità organizzata calabrese rispetto alla mafia siciliana e alla camorra. «I mafiosi calabresi hanno saputo tessere rapporti “utili” anche fuori regione. Lazio, Lombardia, Liguria, Piemonte, Emilia-Romagna e pure oltre i confini nazionali. Cosa che non è riuscita invece, almeno non con le stesse dimensioni, alle altre mafie».
Qual è dunque il peso della ‘ndrangheta dentro le istituzioni?
«È bene dire che la ‘ndrangheta non controlla tutta la politica calabrese, ma una fetta. Ci sono paesi dove la ‘ndrangheta è determinante per l’elezione dell’uno o l’altro candidato, ma ci sono posti dove è ininfluente. Questo significa che in Calabria c’è ancora ampio spazio per il voto libero e che la ‘ndrangheta è in netta minoranza rispetto alla gente onesta. Purtroppo però è una minoranza violenta, agguerrita, ben strutturata e organizzata. Un potere forte, capace di annichilire e tenere sotto scacco un’intera regione e oltre. Nonostante ciò è facile trovare esempi di comuni “virtuosi”, dove l’alternanza, anche dopo due o più scioglimenti del civico consesso per mafia, si è realizzata. Basti pensare a Lamezia Terme, Rosarno, Gioia Tauro, Isola Capo Rizzuto, Reggio Calabria con Falcomatà».
La ‘ndrangheta predilige uno schieramento piuttosto che un altro?
«La ‘ndrangheta ha sempre “preferito” i partiti conservatori, così oggi sceglie la destra, ma se necessario per i propri fini, non disdegna neppure la sinistra. In pratica la mafia incanala i propri voti sommandoli a quelli liberi, una scelta arguta e comoda, visto che produce più facilmente il risultato di portare al potere un politico “amico”. Un gioco che è un po’ più difficile scegliendo la sinistra».
Come avviene oggi l’infiltrazione mafiosa negli apparati dello Stato?
«Il dato cruciale è rappresentato dall’assenza, all’interno dei partiti, di una classe dirigente con la “schiena dritta”. Oggi i partiti sono ridotti a meri comitati elettorali, privi di sostanza e di dibattito interno, come invece avveniva pure non molto tempo fa, e questo apre nuove possibilità alle ‘ndrine che trovano facilità nel servirsi di un sistema partitico così debole. I politici, inoltre, hanno demandato tutto alla magistratura, scaricando altrove responsabilità proprie. E hanno perso di credibilità a livello nazionale. Dopo i Misasi, Mancini, Gullo, la Calabria non ha più avuto statisti in grado di farsi ascoltare. Questo spiega l’attuale condizione in cui versa la regione. Senza dimenticare che l’intreccio mafia-politica passa attraverso collusioni con massoneria, magistratura, politica e servizi segreti. Questo è il nodo cruciale».
Un quadro storico-sociale sconfortante. Ma, nel capitolo conclusivo, si sofferma sulla “resistenza” calabrese. Ed elenca i “signornò”, i sindaci coraggiosi che dall’Ottocento a oggi hanno tenuto testa alla ‘ndrangheta.
«Molti primi cittadini, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, trovarono la forza e il coraggio di opporsi alla tracotanza mafiosa e di essere testimoni contro concittadini accusati di associazione a delinquere. A Cittanova, Palmi, Cinquefrondi, Africo. E, a Crotone, nel 1972, il sindaco diede vita alla prima manifestazione antimafia della regione. Ci sono anche le vittime, purtroppo. Il sindaco e il vicesindaco di Ciminà, assassinati nel 1976, e l’anno dopo il mugnaio comunista di Gioiosa Ionica Rocco Gatto, solo per citarne alcuni. Una resistenza che continua ai nostri giorni e che vede, spesso, le donne protagoniste di un rinnovamento possibile, come Maria Carmela Lanetta, Elisabetta Tripodi e Carolina Girasole».

Di Mariateresa D’Agostino

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