Ombre rosse sulla storia dell’Italia: La7 e l’ossessione per i complotti (l'Opinione delle Libertà)

di Salvatore Sechi, del 19 Dicembre 2018

Secondo Beppe Grillo e il Movimento (di sprovveduti e inesperti) Cinque Stelle, la storia dell’Italia repubblicana si può riassumere nella trama della trasmissione “Il ritorno del terrore e 12 dicembre 1969”. Sono gli Anni di piombo, che il giornalista Andrea Purgatori ha imbandito ai telespettatori del programma “Atlantide” andato in onda su La7 il 12 dicembre scorso.

La narrazione scorre lungo i capitoli e le ardite tesi che Aldo Giannuli (a cui è stato dedicato lo spaziuccio per un gemito di una manciata di secondi) sintetizzò nell’esistenza e nell’attività aggressiva nel nostro Paese di uno “Stato parallelo” fondato su organizzatori ed esecutori di delitti e stragi con la regia dell’estrema destra. Da questa saggistica si rileva che in primo luogo l’Italia non dispone di una sovranità nazionale perché sottoposta alle direttive di Washington e di Bruxelles. Sarebbe perfetto se si aggiungesse ciò che Purgatori ama tacere, cioè che l’adesione a questi organismi internazionali dai nostri governi è stata liberamente sottoscritta. Non sono carta straccia che uno può bruciare sul proprio caminetto, come pensa l’ineffabile Matteo Salvini.

Oltre ai vincoli internazionali ci sarebbe una sorta di “mano nera” che anche dopo la caduta del fascismo ci impedirebbe ogni autonomia e progresso. Sarebbe formata dalla connivenza tra i pezzi dei Servizi segreti fascisti (il cosiddetto Anello legato a Roatta), il più influente dirigente dell’Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno (Umberto D’Amato), alti ufficiali delle nostre forze armate (a cominciare dalla Rosa dei Venti) e gruppi ed esponenti facinorosi del Msi e in generale dell’estrema destra.

Di questa platea definibili come gli “uomini di Mussolini (cioè prefetti, questori e criminali di guerra), l’archivista Davide Conti ci ha dato per Einaudi una minuta radiografia. Dispiace che Purgatori bellamente la ignori. Ma non si vede come si possano ignorare i contributi sul neofascismo e i Servizi segreti da Piazza Fontana a Piazza della Loggia di uno storico di razza come Mimmo Franzinelli (penso a “La sottile linea nera”, Rizzoli, 2008). Ebbene, sono stati ignorati.

I sopravvissuti al tracollo del fascismo sono stati, e sarebbero ancora oggi, collegati con settori della Cia e delle forze dell’intelligence militari americane di stanza in Italia. Insieme a substrutture della Nato (Stay Behind o Gladio che dir si voglia), e a conventicole in grembiulino guidate da Licio Gelli, agenzie del crimine come quelle di stanza nel Portogallo fascistizzato avrebbero avuto in comune la strategia di destabilizzare, con attività stragiste, la situazione politica italiana.

Una giornalista del Fatto quotidiano e saggista come Stefania Limiti sembra avere fornito, nei diversi saggi presenti nel catalogo di “Chiarelettere”, a Roma le fascine per centrare, per così dire, l’obiettivo. In primo luogo sarebbe stato quello di impedire dal 1946 fino al 1979 l’accesso del Pci al governo. Forse era il caso di darne la responsabilità agli elettori, che col loro voto questo esito hanno sempre avallato. In secondo luogo, di indurre – con i delitti, e le stragi – la popolazione a ribellarsi, scendere in piazza e instaurare un governo militare. Questo disegno di destabilizzazione, ripete Purgatori, in Italia sarebbe stato messo in campo con la strage di Piazza Fontana a Milano, di Piazza della Loggia a Brescia, con le bombe sui treni, la carneficina alla stazione di Bologna ecc.; episodi ripetuti di depistaggi per impedire ai magistrati lo svolgimento delle inchieste e dei processi.

In tivù è riecheggiata questa che è una vecchia musica, una litania non nuova. Viene suonata da decenni con diversi spartiti, anche editoriali (come per esempio l’impegno di “Chiarelettere”). La semplice elencazione che ne ho fatto mostra come sia frutto semplicemente di un accumulo disordinato di sospetti e di rancori, con argomenti senza né capo né coda. Davvero si può pensare che uno stratega che non sia una mera finzione (o un’invenzione) possa essere così citrullo da ripetere, malgrado quasi mezzo secolo di fallimenti e delusioni, la stessa strategia, con gli stessi protagonisti e attori? Il silenzio assoluto della trasmissione sui colpi di mano e di Stato, oltre lo spionaggio, che l’Unione sovietica, col Kgb e l’Armata rossa, e i suoi satelliti hanno compiuto in mezzo mondo, rende poco credibile anche quel po’ di vero che nella politica della destabilizzazione dell’Italia è innegabile ci sia stato.

Si esibiscono, invece, abbondanti denunce contro gli Stati Uniti. Lo si fa, ignorando le tante inchieste del Congresso sulla Cia, e il continuo cambiamento dei responsabili colpevoli di eccessi, superfetazioni, illegalità, dei servizi Usa. Ovviamente non si debbono negare i costi umani, le sofferenze, i danni che lo stragismo post e neo-fascista ha provocato, e i pericoli che hanno rappresentato per la nostra democrazia. Neanche dopo diversi decenni ci possono essere indulgenze o sconti.

È invece un’altra cosa, radicalmente diversa, presentare questi episodi come se la minaccia di un colpo di mano o di Stato fascista fossero incombenti. Il gravissimo limite di Purgatori e dei suoi amici è di puntare ad accreditare l’immagine di una democrazia italiana sotto l’assedio di nuovi eversori. Una storiella da classico cenacolo sovversivo. Poiché si tratta di una falsificazione plateale della realtà, non dovrebbe essere consentito al servizio pubblico dell’informazione (anche se erogata da reti private) di diventarne il principale strumento di diffusione. La storia del giornalismo televisivo non può essere banalizzata. Tra le prediche odierne di Purgatori (in sintonia con Beppe Grillo e Luigi Di Maio) e il passato qualche (grande) differenza c’è, e va rilevata.

La grande inchiesta sul fascismo condotta da Sergio Zavoli alla fine degli anni Sessanta ebbe lo scrupolo di offrire al telespettatore due diverse opinioni. Un confronto malgrado l’orientamento molto preciso del documentarista. I programmi di Paolo Mieli (che non è uno storico) sono modulati sull’unico principio che deve stare a cuore ad un giornalista, quale egli è: il dibattito e anzitutto l’informazione non faziosa né caramellosa tra interpretazioni e tesi diverse.

Purgatori appartiene, invece, ad un’altra scuola, quella di piegare la storia e la storiografia a mono-cultura, meglio ancora a puro spettacolo. I mezzi usati sono quelli dozzinali della disinformazione e delle mezze verità. Come testimoni delle sue allergie e incubi, Purgatori è stato ben attento a non chiedere, nei punti salienti della narrazione, l’ausilio di ricercatori e storici di professione. Ha navigato nella piscina di casa, l’orticello di suoi colleghi della carta stampata. Il principale studioso (ha consultato e messo a confronto tutte le risultanze processuali) degli anni di piombo e dell’attacco dell’eversione neo-fascista (come dell’affaire Moro), mi pare sia Vladimiro Satta, autore del corposo saggio “I nemici della Repubblica”, edito da Rizzoli. Ebbene, neanche una telefonata l’ha raggiunto.

Negli Stati Uniti si sarebbe potuto contattare uno storico autorevole dell’Italia contemporanea (compresa la mistica neo-fascista del terrorismo), il professor Richard Drake, dell’Università del Montana, tradotto anche in italiano. Niente di niente da Roma. Per la documentazione proveniente dagli archivi degli Stati Uniti, invece di sventolare sul monitor due cartuscelle dei National Archives che ogni modesto ricercatore conosce da decenni, avrebbe potuto leggere utilmente i saggi di Mario Del Pero, che insegna oggi alla Facoltà di Scienze politiche di Parigi. Neanche a parlarne.

E per non tritare grasso di ulteriore retorica su Enrico Berlinguer, Purgatori poteva leggersi o intervistare Silvio Pons, uno dei maggiori studiosi del comunismo russo e dei suoi rapporti col Pci. Tra i giornalisti, in luogo del sobrio Giovanni Bianconi del Corriere della Sera, per reggere la trama della sua lunga narrazione ha scelto colleghi minori. La trasmissione è tempestata da personaggi che trinciano giudizi su micro-episodi, segreti blindati in conversazioni private o rimasticano alcune grandi sciocchezze dell’ottimo Pier Paolo Pasolini.

Sono solo alcuni esempi del modo in cui il giornalismo non deve fare ricerca storica. La trasmissione di Purgatori servirà, dunque, ad arricchire la galleria del saggio di Alessandro Campi e Leonardo Varasano, “Congiure e complotti. Da Machiavelli a Beppe Grillo” (editore Rubbettino). Nessuno di questi due studiosi ha avuto l’onore di debuttare nel parterre di Andrea Purgatori. Ma lo spettacolo della presentazione ai telespettatori di un’immagine deformata del nostro recente passato è destinato a continuare.

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