Quando il Paese si ritrovò diviso in due (Corriere del Mezzogiorno)

di Giovanni Vitolo, del 26 Gennaio 2015

AA.VV.

Alle origini del dualismo italiano

Regno di Sicilia e Italia Centro-Settentrionale dagli Altavilla agli Angiò (100-1350)

a cura di Giuseppe Galasso

Dal Corriere del Mezzogiorno del 25 gennaio

Nell’ambito delle iniziative per il 1513° anniversario dell’Unità d’Italia si tenne nel settembre del 2011 ad Ariano Irpino, organizzato dal Centro Europeo di Studi Normanni e sotto la direzione di Giuseppe Galasso, il convegno Alle origini del dualismo italiano, i cui Atti sono stati appena pubblicati dall’editore Rubbettino.
Fu quella l’occasione per dare alla riflessione sul Mezzogiorno prima dell’unificazione una profondità storica, resa possibile dalle acquisizioni della storiografia del secondo Novecento, che a sua volta poteva contare su un retroterra di analisi risalente almeno agli inizi del Seicento. Fu allora infatti che il cosentino Antonio Serra, nel suo Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e d’argento dove non sono miniere, notava che i Genovesi «con essere il loro paese sterilissimo, abbondano di tanti denari; e li cittadini del Regno, con essere il paese tanto abbondante, sono tanto poveri». L’apparente contraddizione veniva spiegata con il fatto che i Genovesi e gli altri mercanti dell’Italia centro-settentrionale con le loro attività commerciali e bancarie facevano sì che la bilancia dei pagamenti fosse nel suo insieme favorevole al Centro-Nord, pur importando dal Sud gran quantità di derrate agricole e di materie prime.
Si tratta del cosiddetto dualismo italiano, che Serra coglie assai bene come risultante della storia e non di cause naturali: prospettiva, questa, che sebbene le condizioni fisiche del Mezzogiorno siano meno favorevoli di quanto si sia portati a credere, è da considerare sostanzialmente corretta e comunque largamente condivisa. I problemi sono invece altri: entità del dualismo (differenti tassi di sviluppo o condizioni di squilibrio tali da configurare tra l’Italia centro-settentrionale e quella meridionale un rapporto di tipo coloniale?); tempi e cause della sua formazione. Le opinioni al riguardo, per quanto fondate su dati più abbondanti e su strumenti di analisi più raffinati di quelli che hanno potuto utilizzare gli storici del passato, sono tutt’altro che concordi, per cui la questione, come del resto vale per qualsiasi problema storico, non è affatto esaurita. Alcuni elementi appaiono tuttavia sufficientemente chiari.
Innanzitutto il dualismo economico si venne formando in tempi lunghi e attraverso processi niente affatto lineari e irreversibili né fu una sorta di linea gotica che divideva l’Italia medievale in senso Nord-Sud, perché bassi tassi di sviluppo si registrarono anche in alcune aree dell’Italia centro-settentrionale e non solo in quella meridionale e nelle isole. Inoltre di vero e proprio rapporto di tipo coloniale si può parlare solo per la Sardegna, nella quale il predominio che vi esercitarono Genova e Pisa fu non solo economico, ma anche politico.
Completamente diverso il caso della Sicilia e del Mezzogiorno continentale, che nei secoli XI-XIII conobbero una lunga fase di crescita, ancorché in maniera diversificata da una zona all’altra e in misura inferiore rispetto alle aree più avanzate della penisola; con termini attinti alla scienza economica moderna si direbbe che allora il Pil crebbe al Sud ad un ritmo costante, cominciando a rallentare solo verso la fine del Duecento. Oggi si è portati a credere che vi abbiano contribuito gli stimoli che venivano dal commercio internazionale, ma non sono pochi coloro che ritengono che alla lunga essi produssero effetti negativi, perché ne derivò un forte impulso alla specializzazione del Mezzogiorno come produttore di derrate agricole e importatore di manufatti, con conseguente dipendenza dagli operatori economici stranieri, soprattutto genovesi, pisani, fiorentini e veneziani. Si tratta, come ammettono tutti coloro che se ne occupano, di una tematica complessa, anche perché condizionata dalla conoscenza degli sviluppi successivi, con il pericolo di sottovalutare la portata di fasi di crescita che si ebbero nei secoli seguenti, come quella avviata a metà Quattrocento dalle riforme dei sovrani aragonesi e proseguita per gran parte del Cinquecento: fase di crescita che in qualche studio recente appare di portata superiore a quella che probabilmente ebbe, ma che senza dubbio ci fu, e anche in aree che avevano conosciuto in precedenza una recessione più precoce e più grave delle altre, come ad esempio la Calabria. Lo ha dimostrato già nel 1967 Giuseppe Galasso, che continua a sorprenderci per la straordinaria tenuta della sua tensione etico-politica e per la capacità di fare anche degli eventi celebrativi occasioni di sempre nuove riflessioni sulla difficile storia del nostro Mezzogiorno.

di Giovanni Vitolo

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