Moro ucciso da comunisti dell’Est

di Ruben Razzante, del 29 Aprile 2014

Rocco Turi

Storia segreta del Pci

Dai partigiani al caso Moro

da Caravella.eu del 24 Aprile

Forse nei libri di storia, fra cinquant’anni o fra un secolo ci sarà scritta la verità su pagine dolorose e ancora buie della nostra storia, come l’omicidio Moro. Più in generale, ci si augura che la storiografia d’impronta marxista che ha dominato incontrastata il mondo dell’istruzione (e della distruzione…) di diverse generazioni di giovani possa arretrare di fronte a un’ auspicabile affermazione del pluralismo ideologico e culturale. Di tanto in tanto, qualche testimonianza di riequilibrio nella lettura di vicende cruciali della storia d’Italia si registra e appare, per fortuna, anche persuasiva e convincente agli occhi delle menti libere.

La casa editrice Rubbettino ha pubblicato, mesi fa, un volume del quale si continua a parlare con interesse: Storia segreta del Pci, di Rocco Turi. Si tratta di un saggio di storia politica interessante e documentato, che racconta la vicenda dei partigiani comunisti che, a guerra terminata, dovettero fuggire in Cecoslovacchia perché accusati di omicidi e vendette personali. Dopo la sconfitta alle elezioni del 18 aprile 1948, alcuni di essi tramarono per un loro immediato ritorno in Italia con un colpo di Stato. Altri partigiani gestirono l’ospitalità di terroristi italiani in Cecoslovacchia e furono parte integrante e risolutiva del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, nel 1978.

Rocco Turi è uno studioso scomodo per gli storici di professione. ll suo lavoro – frutto di trent’anni di ricerche, consultazioni di documenti negli archivi di mezza Europa, colloqui con alcuni protagonisti degli anni della guerra fredda – sembra accreditare il sospetto di un complotto internazionale sul caso Moro. Turi ribalta alcune conclusioni date per scontate dalla storiografia ufficiale: nella tragica vicenda dello statista democristiano gli americani c’entrerebbero poco o niente, mentre avrebbero svolto un proprio ruolo, con una costante attività di propaganda, anche alcuni transfughi comunisti – in particolare ex partigiani – riparati in Cecoslovacchia sotto la protezione del Pci, perché accusati di violenze e omicidi commessi, all’indomani della Liberazione, contro chi aveva aderito al fascismo.

Moro non sarebbe dunque stato rapito dalle Brigate Rosse, ma da una loro minoranza praticamente fuori dalle Br, disponibile alla cooptazione da parte di ex partigiani, a loro volta manovrati da un’accorta regia cecoslovacca e sovietica. Infatti, come evidenzia l’autore, le Brigate Rosse furono isolate in carcere ben prima di organizzare l’operazione, che fu realizzata da soggetti brigatisti non indipendenti ma eterodiretti dall’Est europeo. Le stesse Brigate Rosse sarebbero state infiltrate da elementi addestrati ad azioni terroristiche in appositi campi allestiti in Cecoslovacchia. Una nuova infornata, a cui apparteneva Mario Moretti, avrebbe sostituito i brigatisti della prima ora dopo l’arresto dei fondatori Renato Curcio e Alberto Franceschini. L’agguato in via Fani – apparso subito agli inquirenti organizzato in modo professionale – sarebbe stato compiuto da gente ben preparata alla guerriglia.

E già in quel contesto si capì che gli autori del sequestro di Aldo Moro godevano di inossidabili protezioni nei Paesi dell’Est, le stesse protezioni che consentiranno al Partito Comunista italiano di uscire indenne da “Mani pulite”, negli anni Novanta. Alla base di questa rete di complicità dalla quale trassero vantaggio i comunisti italiani, anche nella sistematica occupazione delle istituzioni e dei posti chiave ai vertici delle istituzioni politiche, giudiziarie e culturali, ci sarebbe, secondo Turi, la Gladio Rossa, nata in Cecoslovacchia, che rappresentò un tabù invalicabile: tante le inchieste aperte in Italia e poi archiviate. Per non parlare delle accuse rivolte da Bettino Craxi all’apparato di potere comunista. Il leader socialista era certamente bene informato delle trame nascoste intorno al Pci e della congiura del silenzio messa in atto intorno alla Gladio Rossa e ai suoi ben noti e autorevoli protagonisti italiani.

Il Partito comunista italiano viene descritto nel volume come forza politica inserita appieno nel gioco politico democratico, ma al contempo con inquietanti aspetti di doppiezza e ambiguità in taluni suoi dirigenti e parlamentari.

Il tentativo dí Moro di coinvolgere i comunisti nell’area di governo era avversato sia da una parte della stessa Democrazia Cristiana sia da Mosca. Anche Enrico Berlinguer, promotore del compromesso storico con i democristiani, ebbe qualche problema con l’ala intransigente filosovietica del partito: il Pcus non apprezzava la sua linea politica sempre più indipendente da Mosca. Berlinguer fu coinvolto in uno strano incidente automobilistico a Sofia nel 1973, da cui però uscì illeso: in quell’occasione qualcuno, senza mezzi termini, parlò di un attentato. Turi sostiene persino la singolare ipotesi che la morte del segretario, avvenuta per un ictus nel 1984, non sia stata accidentale. Nella descrizione dell’ultimo comizio del segretario del Pci a Padova e del malore che gli risultò fatale, Turi sottolinea il ritardo nei soccorsi e alimenta il dubbio che dietro la fatalità si nascondesse una manina omicida. «Nessuno -evidenzia Turi- si è mai preoccupato di analizzare l’acqua bevuta dal leader comunista durante il comizio. Il bicchiere d’acqua e la fretta del Partito comunista di acquistare dalla Rai il video con l’ultimo comizio di Berlinguer destano sospetti. Quella sera ci furono telefonate tempestose…».

Turi è animato da passione sincera nel tentativo di far luce su questa trama intricata tra ex partigiani fuggitivi, servizi segreti dell’est, Gladio Rossa. Le sue fonti sono le testimonianze degli stessi partigiani e le numerose carte procurate con tenacia e fatica. Questo volume meriterebbe maggiore diffusione e un’opposizione meno preconcetta da parte di certo establishment per il quale rappresenta una pubblicazione assai scomoda e imbarazzante.

di Ruben Razzante

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