Risorgimento e State building nazionale, 1815-1866 (La Nostra Storia (Corriere della Sera!)

di Matteo Antonio Napolitano, del 8 Novembre 2023

Roberto Balzani, Carlo M. Fiorentino

Storia dell’Italia contemporanea 1

Risorgimento: Costituzione e indipendenza nazionale (1815-1849 / 1849-1866)

In un tempo complesso come l’attuale, nel quale la ‘domanda’ di storia affronta, da una parte, i limiti strutturali del sistema formativo e, dall’altra, le insidie connesse ai recenti tentativi – ormai sempre più radicali e omologanti – di ‘destoricizzazione’ delle memorie pubbliche e del patrimonio culturale, l’iniziativa editoriale diretta da Andrea Ciampani per l’editore Rubbettino, dal titolo Storia dell’Italia contemporanea. Il profilo politico, si propone di ricondurre, tramite la prospettiva della longue durée, il dibattito storiografico sui processi trasformativo-evolutivi dello Stato nazionale verso una dimensione che implichi, nel contempo, un ampio respiro in termini contenutistici e una rinnovata complessità sul piano interpretativo. Il primo dei quattro volumi previsti, per questa serie, Risorgimento: costituzione e indipendenza nazionale. 1815-1849 / 1849-1866, scritto da Roberto Balzani e Carlo M. Fiorentino e aperto da una corposa introduzione generale di Ciampani, presenta una narrazione del Risorgimento che prende in considerazione tali coordinate metodologiche.

Nel saggio introduttivo, Ciampani dimostra quanto oggi sia fertile il terreno per un ritorno scientifico della storia politica, rinnovata grazie alla possibilità – tramite gli strumenti tecnologici – di accedere a nuove fonti e chiamata a integrarsi, perseguendo una propria autonomia di approccio, agli indirizzi legati alla dimensione storico-culturale che spesso, negli ultimi anni specialmente, sono risultati preponderanti nell’alveo del dibattimento storiografico. Parlare di un mero ritorno alla storia politica risulterebbe, però, oltremodo limitante per i fini complessivi della collana, intesa invece a compiere un più articolato percorso di riappropriazione delle periodizzazioni, atto a seguire da molteplici piani di azione il «farsi storia di opzioni aperte» (p. 13).

Questa raffinata espressione dona ai tratti compositivi della storia dell’Italia un carattere evolutivo, la prospettiva – già volpiana – di un paese in cammino, e l’idea di un campo largo, nel quale rintracciare, attraverso linee di continuità e faglie di rottura, le barricate risorgimentali, l’età liberale, il ventennio fascista e ancora la Repubblica e l’inserimento – da promotori di un avanzato modello europeista – nelle dinamiche bipolari del secondo dopoguerra. Seguendo queste tracce di riflessione, passeranno così sotto la lente degli autori dei quattro volumi i multiformi assetti italiani: l’Italia, dunque, non intesa come costruzione semplificabile, pronta a nascere e a rinascere azzerando il passato, ma quale elaborazione complessa.

Venendo ai contenuti propri del primo volume, uno dei principali elementi a balzare agli occhi di un lettore avveduto, banalmente osservando con attenzione il frontespizio del libro, è senz’altro la scansione cronologica stabilita dai due autori ché, già di per sé e come preannunciato dall’introduzione di Ciampani, costituisce un’interpretazione. Ripercorrere e analizzare gli anni compresi tra il 1815, quando il Regno d’Italia non era ancora realtà, e il 1866, anno invece in cui proprio quel giovane Regno celebrò nella sostanza il proprio ingresso nel dinamismo europeo e in generale delle relazioni internazionali, permette infatti, da un lato, di tracciare una mappatura genetica del ‘canone risorgimentale’ e, dall’altro, di fornire un primo bilancio del percorso compiuto, di identificare dunque le linee di fondo della pars construens dell’identità nazionale nel travaglio del tempo, fatte di conflitti, di rivalità e di amare sconfitte, ma anche di progresso, idee, progetti e valori di centrale importanza. In relazione a quest’ultimo rilievo, si tende spesso a dimenticare, e fortunatamente alcuni studi come quello in analisi vengono a ricordarlo, che il Risorgimento nella sua policromia fu un evento rivoluzionario e crediamo opportuno, nell’Italia dei nostri giorni – nel mondo post-1989, svincolati dalla necessità di darne una connotazione ideologica limitante –, tornare ad ascriverlo e a dibatterlo anche da questo punto di osservazione.

L’idea di un cambiamento dai tratti palingenetici – che non ricomprendeva quanto raggiunto con il Risorgimento – è stata invero molto presente e vitale nella cultura politica italiana, soprattutto fino all’esacerbato clima della seconda metà del Novecento. Il fatto di non aver visto realizzato il ‘paradiso in terra’ o l’‘uomo nuovo’ della varia retorica non significa però a nostro avviso – e questo è il busillis – non aver avuto rivoluzioni in Italia: anzi, seguendo questa traccia interpretativa ispirata dalla lettura del testo di Balzani e Fiorentino, la più importante è stata proprio quella risorgimentale, con la creazione non priva di criticità di uno Stato unitario e con l’avvio di un processo di consolidamento della nazione (rinsaldato poi dall’esperienza delle trincee nel primo conflitto mondiale). Sulla rivoluzione risorgimentale si sono avute letture di diversa natura, anche se il risultato finale dimostra un’impostazione alla base dai tratti non estremistici, mediata e stimolata da Cavour, il grande statista del regno piemontese contrapposto nelle visioni agli ideali mazziniani. Se da una parte, di fatto, prevalse un progetto mirato alla libertà – politica ed economica – e al pluralismo, dall’altra, Mazzini iniziò sin dal principio a rivendicare un ‘Risorgimento altro’, descrivendo quanto accaduto in termini di tradimento degli intenti appunto palingenetici del progetto. Il ‘Risorgimento tradito’ di matrice mazziniana, da critica ai risultati mediati da Cavour e alla sua eredità – ossia la classe dirigente dell’Italia liberale che seguì –, tra il XIX e il XX secolo, si trasformò in delegittimazione dell’apparato statuale e istituzionale: un fecondo bacino d’idee che plasmò nel tempo il mito rivoluzionario italiano – oggi da disvelare nel merito –, impedendo l’affermazione di una cultura riformista e favorendo, in molte occasioni, l’immobilismo o la sindrome del Gattopardo.

Altro aspetto di interesse emergente dall’opera è senz’altro quello di aver inquadrato, a livello storiografico, il Risorgimento in una fenomenologia di carattere europeo. La costruzione segnata dall’impronta cavouriana permise al Regno d’Italia di inserirsi nelle dinamiche europee; pur essendo questo un orientamento interpretativo ormai consolidato, le traiettorie che portarono a quel risultato, messe in evidenza nei contributi di Balzani e Fiorentino, presentano degli aspetti originali. Si individua nel 1848-49 il momento congiunturale in cui, di fronte alla rapida fioritura di molteplici impulsi – fatto ben identificato dalla formula della «politicizzazione dello “spirito pubblico”» (p. 135) –, il fallimento della ‘primavera dei popoli’ porta a un ripiegarsi su sé stessa della coscienza europea.

Le nazionalità tenderanno, negli anni immediatamente successivi ai cruciali eventi, a dar linfa vitale ai nazionalismi e le guerre interverranno a scalfire l’immagine di un’Europa vista come unità, rimasta viva solo nella forza ideale di pochi. Per questo dovette subentrare la diplomazia, ovvero la necessità di sfruttare le contingenze a proprio favore senza per questo alterare o, peggio, sottovalutare le potenzialità esplosive degli equilibri interni: fu, nella sostanza, il grande e febbrile lavorio di Cavour, che riuscì dalla regia piemontese a plasmare un unico regno intercettando gli umori delle cancellerie continentali, le tendenze – non immediatamente evidenti – emerse nel corso della stagione costituzionale e in particolare l’allineamento graduale su proposte moderate e razionali al quale erano pervenute le élite liberali dei principali paesi europei, favorevole anche per la causa italiana poiché funzionale – oltre alla campagna militare – al fine di arginare le posizioni più radicali. Quando, dopo Sadowa e Sedan, nel 1876, il cancelliere Bismarck parlerà dell’Europa come di una ‘nozione geografica’, replicando la nota locuzione utilizzata da Metternich mezzo secolo prima in riferimento all’Italia, questo faticoso disegno di ‘governo temperato’ (espressione mutuata da Gian Domenico Romagnosi) sembrò crollare nel tentativo strenuo, per una nazione acerba, di ancorarsi ai propri difficili tempi, nei quali vennero poste le incendiarie fondamenta che portarono alla conflagrazione del 1914. Nel frattempo, però, la risoluzione della questione veneta e poi di quella romana, molto ricche di insidie sia diplomatiche sia militari, riconobbe indirettamente l’eredità e la solidità di quel progetto.

Queste suggestioni lasciano intravedere la profondità dell’opera di Balzani e Fiorentino che, trattando la stagione risorgimentale, forniscono non una immobile istantanea di quella feconda e fondamentale transizione, di cui – al di là delle ricorrenze rituali e dell’ormai esiguo numero di cattedre universitarie sopravvissute di Storia del Risorgimento – sembra si sia smarrito quasi per la totalità il valore civile, ma al contrario una meditata e dinamica retrospettiva, pensata non solo per un pubblico accademico, ma anche per altre sensibilità, volenterose di comprendere e di elaborare, con coscienza e contenuti appropriati e plurali, un proprio personale punto di vista.