Diotallevi e la pretesa cristiana che relativizza il potere (Avvenire)

di Umberto Folena, del 31 Maggio 2013

Da Avvenire – 30 maggio 2013

Il cristianesimo è liberticida, quindi: meno cristianesimo uguale più libertà, meno presenza pubblica della Chiesa uguale più democrazia. Un ritornello secolare, anzi di più: un mantra vero e proprio, una sorta di postulato laicista. Ma se fosse vero l’esatto contrario? Più procedi nella lettura dell’ultimo saggio di Luca Diotallevi, La pretesa. Quale rapporto tra vangelo e ordine sociale? (che viene presentato lunedì alle 17 all’Istituto Sturzo di Roma, dal cardinale Camillo Ruini, Augusto Barbera e Giuseppe De Rita) più il dubbio si concretezza, più gli indizi si affollano fino a diventare prove. E vale la pena ricordarlo proprio in prossimità del 2 giugno, «festa della Repubblica,non dello Stato», osserva con sagacia il sociologo dell’Università di Roma Tre. Sorride, Diotallevi, ma con un pizzico di amarezza. Leggi le sue pagine e cogli inespressa la domanda: perché i cattolici italiani sono così smemorati? Perché sembrano essersi dimenticati di Sturzo e De Gasperi? Della loro battaglia per limitare i poteri dello Stato introducendo il principio di sussidiarietà, e il pluralismo? Per cui Stato e Repubblica non coincidono perché la Repubblica, lei sì, contiene molte più «cose», più soggetti, più personalità? La crisi attuale, spiega Diotallevi, è anche delle State societies, le società coincidenti con uno Stato che ambisce a organizzare tutto in prima persona: detiene il potere e lo usa, lui e soltanto lui. Bella pretesa… Ma le «pretese» – e chissà se l’ambivalenza del titolo è voluta – sono due. C’è anche e soprattutto la pretesa del vangelo di prevalere sul peccato e sulle strutture di peccato. La pretesa di sconfiggere ogni «potere autosufficiente», costringendo perfino lo «Stato assoluto» a fare marcia indietro, a ridimensionarsi, a porsi dei limiti. Ecco l’occasione da non perdere. Da un lato – osserva Diotallevi – può esserci la tentazione di accettare lo Stato assoluto iniettandovi, da cristiani, semplicemente un po’ di buona condotta. Dall’altro, come l’autore preferirebbe, i cristiani come testimoni del processo di liberazione dell’uomo «dal potere dei poteri», per un cristianesimo che garantisce a tutti, non solo a se stesso, spazi di libertà. È un percorso che nasce da lontano, addirittura da sant’Agostino. Diotallevi ama citare Tocqueville, convinto che la presenza della Chiesa relativizzi la pretesa assolutista del potere; transita per i radiomessaggi di Pio XII, la Dignitatis humanae di Paolo VI e il discorso diWestminster di Bene- detto XVI. È per i poteri che si bilanciano, convinto che dove la Chiesa rivendica il suo spazio pubblico, lì c’è più spazio per tutti; e per un cristianesimo che sappia impedire agli altri poteri di occupare la totalità della scena pubblica. Per dirla con le parole del giovane Ratzinger: l’eucaristia serve alla città perché la mantiene aperta.

di Umberto Folena

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