Se Carandini si specchia in sir Isaiah (Domenica(Il Sole 24 Ore))

di Armando Massarenti, del 29 Giugno 2015

Da Domenica(Il Sole 24 Ore) del 28 giugno

Rispecchiare il proprio ego, soprattutto quando si tratta di un io già assai colto e ben forgiato, in quello, ricchissimo e variegato, di Isaiah Berlin, come ha fatto il presidente del Fai Andrea Carandini in Paesaggio di idee, è un’esperienza raccomandabile a tutti. Soprattutto se si intuisce che il punto di partenza, prima dell’immersione berliniana, durata tre intensi anni, era un io coltivato su terreni culturali assai lontani, che viveva sotto cieli e climi persino opposti rispetto all’aria pluralista e liberale che ha caratterizzato l’opera del grande filosofo e storico delle idee lettone – oxoniense. «Molte cose sa la volpe, una sola il riccio, ma grande» è il verso di Archiloco da cui Berlin ricavò il titolo di un suo libro dedicato ai pensatori e agli scrittori russi. Ed è forse quello che ne disegna meglio il carattere. Adoratore della varietà dei valori, delle idee, delle esperienze e delle forme di vita (e dunque volpe, animale centrifugo), ma anche interessatissimo ai ricci centripeti come Marx ode Maistre, cui ha dedicato, proprio perché così distanti dal suo modo di pensare, saggi magistrali, Berlin è, come il suo amatissimo Aleksandr Herzen, un po’ riccio e un po’ volpe. Con Herzen ha condiviso la diffidenza radicale verso i Grandi.
Ideali di perfezione, derivanti dall’errore platonizzante, commesso da quasi tutte le correnti filosofiche (parte dell’Illuminismo compreso), che si traducono sistematicamente, nelle mani dei rivoluzionari, nella massima pratica più pericolosa e deleteria, quella che impone di «sacrificare la generazione presente per far felici quelle future», odi «rompere molte uova» (cioè sacrificare molte vite) per una omelette che non si farà mai. Il miraggio è la «soluzione finale» di tutti i problemi, metafisici e sociali. Il rigare dritto che contrasta con il kantiano “legno storto” che caratterizza l’umanità. Non è del tutto avulsa da tali ricerche dell’Ideale la vicenda intellettuale dell’archeologo Carandini. Tuttavia, la sua adesione al marxismo, dettata dal rifiuto del liberalismo paterno, fu subito segnata da una presa di distanza dalla visione idealistica “crocio-gramsciana” che imperava in Italia negli anni 60 e 70, per concentrarsi invece sul Marx economista che lo portò a indagare lo schiavismo romano e la cultura materiale dell’antichità. In questi e nei lavori successivi, Carandini vede i segni che lo porteranno a rispecchiarsi in Berlin. Centrale è l’idea del conflitto inevitabile tra i valori. Romanticismo e Illuminismo, ad esempio, disegnano per Berlin due universi di valori compresenti nella nostra cultura ma in forte tensione tra loro. Il Romanticismo, attaccando l’Illuminismo, spostò l’asse dei valori dalla loro presunta “oggettività” verso idee apprezzabili per un liberale come autenticità, unicità e creatività individuali. D’altro canto però allo spirito romantico sono legate le forme peggiori di Nazionalismo, e quella di Nazione è un’altra pericolosa astrazione cui sono stati immolati troppi individui innocenti. Ma è proprio la capacità di cogliere ciò che di positivo e insieme di perverso vi può essere in ogni valore o atteggiamento umano che caratterizza il pensiero di Berlin. Coltivare la nobile arte del compromesso ed evitare di oscillare tra i due opposti assoluti dell’oggettivismo e del relativismo – entrambi paralizzanti – sono gli insegnamenti più preziosi che la cultura italiana dovrebbe cogliere se volesse trarre giovamento, come ha fatto Carandini, dalla mirabile lezione di Sir Isaiah.

Di Armando Massarenti

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