Uno scandalo bianco (Rubbettino 2016) è il romanzo di Nicola De Cilia da cui è tratto il brano che segue.
L’autore conosce bene il suo Veneto e ha tratto ispirazione da una storia vera, da personaggi riconoscibili: uno scandalo finanziario a cavallo tra anni ‘70 e ‘80 che ha riguardato la Democrazia cristiana e il modello di governo che quel partito sperimentò con più forza proprio nel cattolicissimo Veneto. Protagonista è Angelo Cossalter, un uomo impegnato nella politica e nel sociale, che viene travolto dal fallimento della Cassa rurale del suo paese. Ha scritto Gianfranco Bettin su “Lo straniero”: “Il bel romanzo di Nicola De Cilia, riportandoci un po’ indietro nel tempo, evoca in realtà in noi la percezione delle cose oscure, oblique, ambigue, che ancora durano, purtroppo, avviluppando il presente di nodi (e rovi) di interessi e pratiche spesso inconfessabili, condizionando lo sviluppo e le potenzialità della vasta provincia del Nordest. Al tempo stesso, descrivendo pur nella loro sconfitta alcune personalità integre ci dice che… non è obbligatorio asservirci a quelle pratiche.” Goffredo Fofi, su “Internazionale”, aggiunge che “il libro è una lezione di storia, ma è soprattutto un romanzo avvincente e convincente.”
Il brano è preso dalla seconda parte del libro: il protagonista va a Venezia per portare avanti la sua causa contro Bisatto, un gioielliere a cui aveva prestato 250 milioni per coprire un ammanco alla Cassa Rurale, e contro Caron e Bizzotto, gli avvocati che avevano fatto da garanti, salvo rendersi complici nella sparizione di ogni traccia del prestito.
Primavera 1982
La lettera di Angelo aveva sortito qualche effetto ed erano stati ridiscussi i termini di pagamento, ma il tempo recuperato era ben poco e già si profilavano le nuove scadenze, come un baratro alla fine della discesa. Servivano nuovi prestiti, bisognava umiliarsi a chiedere ad altri amici, nell’attesa che maturassero i tempi per ottenere la liquidazione, prevista per fine anno.
Nel frattempo era necessario seguire le faccende legali, pressare gli avvocati, fornire memorie. E anche lì, soldi per parcelle e lettere, e non erano ancora iniziati i processi!
Stanco dei temporeggiamenti, un giorno di marzo era andato a Venezia per parlare con l’avvocato Brunello.
Sceso alla stazione di Santa Lucia, prese il Ponte degli Scalzi e si inoltrò verso l’Accademia, nei cui pressi, in un elegante palazzo cinquecentesco, aveva sede lo studio legale dell’avvocato. La giornata era limpida e l’aria frizzante portava con sé odore di salsedine misto all’odore di fritto. Era da tanto tempo che non passeggiava per Venezia e, anche se l’occasione non era delle più piacevoli, l’occhio si beava di tanta bellezza e l’animo si distraeva dalle preoccupazioni del presente. Attraversò calli, campi e campielli, non ancora invasi dai turisti; percorse ponti, portici, sottoportici, godendo nell’ascoltare il fitto parlottio in dialetto della gente.
Lo studio dell’avvocato era arredato in modo sobrio, con alcuni quadri antichi di soggetto veneziano e qualche icona bizantina, vari specchi con cornici d’oro e ghirlande floreali e tendaggi dal color giallo zafferano, probabile resto di un antico colore originariamente più vivace.
L’avvocato, dall’aria giovanile e dai modi flemmatici, con un paio di baffi neri e una zazzera ancora scura, lo fece accomodare nel suo ufficio, dove la luce della splendida mattinata filtrava appena.
– Allora, signor Cossalter, lei voleva vedermi, ma anch’io stavo per chiamarla perché avevo desiderio di incontrarla – esordì Brunello.
– Bene, mi fa piacere che i nostri desideri coincidano – rispose Angelo, con un sorriso.
– Per prima cosa ho bisogno di sapere, signor Cossalter, quali testimoni ha a suo carico.
– Solo Mario Pellegrino era fisicamente presente, però attualmente vive ritirato in casa sua, senza voler vedere nessuno. Però, informati sui fatti ci sono senza dubbio l’avvocato di Pellegrino, tale Mocenigo che io non conosco di persona ma di cui ricevetti la lettera dove mi pregava di sospendere la convenzione col Bisatto, e poi l’ex avvocato della Cassa Rurale, Guido Bortoletto.
Brunello prendeva nota dei vari nomi su un notes, aggiungendo alcuni rapidi commenti o segni grafici. Angelo continuò:
– Bisognerebbe aggiungere anche i dipendenti della Cassa che erano presenti in quei giorni quando ho versato i soldi, di cui ho conservato le ricevute, il cassiere, il vicedirettore…
– Mmm… temo che le ricevute possano essere contestate, perché, se ricordo bene, sono a nome del Bisatto. Comunque – e aggiunse un tratto di penna – segniamo anche questi.
Depose penna e notes e si sedette comodamente sulla poltrona in velluto rosso.
– Prima di proseguire in questo nostro colloquio, vorrei sapere una cosa: lei è ancora fermamente intenzionato a portare avanti la causa contro il Bisatto coinvolgendo anche gli avvocati Caron e Bizzotto?
– Sicuro, avvocato… questa truffa li vede protagonisti. Non si può denunciare Bisatto e fingere che i due avvocati non c’entrino, mi sembra evidente.
Brunello non rispose subito, ascoltò Angelo fino alla fine, lisciandosi i baffi, poi con molta tranquillità disse:
– Ne convengo, io però attualmente ho delle pendenze proprio col foro di Treviso, e scontrarmi con Caron, adesso, è l’ultimo dei miei desideri. Quindi, mi vedo costretto a consigliarle un nuovo avvocato, e le consiglierei il più lontano possibile da Treviso, più di quanto non lo sia Venezia… chessò, Padova, o meglio di tutto Rovigo. Ho degli agganci, se vuole…
Angelo si sentì invadere dallo sconforto e, insieme, da rabbia ed esasperazione. Brunello intanto continuava a motivare le ragioni del suo diniego.
– Cosa vuole, già è difficile e spiacevole procedere contro un collega, ma se poi questo collega si chiama Carlo Maria Caron allora è davvero sconsigliabile: è un uomo molto potente, disposto a togliere di mezzo, in qualsiasi modo, ogni ostacolo sulla sua strada. Procedere contro di lui significa inimicarsi il foro intero di Treviso, visti tutti gli agganci che ha e che è in grado di muovere: e io adesso non credo di potermelo permettere. Circolano varie storie su di lui: pare che abbia amicizie molto importanti, in quel di Grosseto o di Pistoia, non ricordo, che gli fanno da sponsor per la sua scalata politica. E se ho capito bene, non solo politica, ma anche economica. Mi è stato riportato, da fonti abbastanza sicure, che ha comprato delle vaste proprietà in Sudafrica, dove pare vada spesso, e…
Angelo non ne poteva più, non gli interessavano queste informazioni, non gli interessava chi proteggesse quell’uomo, voleva solo giustizia, quel po’ di giustizia che sentiva di dover pretendere, un bisogno umanissimo di veder riconosciuti i torti. Ma doveva lottare non solo contro l’ottusità delle istituzioni, ma anche contro un senso di stanchezza e di vuoto. E allora alzò la voce con quell’uomo che avrebbe dovuto essere garante di fronte, non pretendeva a Dio!, no, ma soltanto ad altri uomini, dell’esistenza di un minimo di equità e che invece si dimostrava un pusillanime.
– Basta!
L’avvocato Brunello interruppe la sua apologia, lasciando in sospeso il discorso, guardando con sorpresa il suo cliente che mostrava il volto acceso e stringeva con forza i braccioli della poltrona su cui era seduto.
– Basta… – ribadì Angelo – Sono stufo! Stufo agro, me lo lasci dire, avvocato! Mi sento mortificato, non posso più accettare rinvii.
Riprese fiato, fissando il pavimento sotto i suoi piedi, un elegante pavimento veneziano, fitto di tesserine bianche, nere, verdi, poi riprese:
– Caron… Caron per me è e resta solo un farabutto, della peggior specie.
L’avvocato Brunello lo ascoltò con degnazione, senza scomporsi, senza fare commenti, non si aspettava da un uomo come Cossalter una reazione tanto scomposta.
– Beh… – si limitò a soggiungere in modo evasivo – vedremo… vedremo.
Angelo cercò di riunire le forze rimaste, e insieme le idee.
– Ecco, avvocato, voglio solo dirle che dopo tanti mesi io sto raccogliendo veramente poco o niente. E se mi vede arrabbiato è perché mi arrabbio con me stesso perché forse non sono riuscito ad evidenziare il mio problema, che per me e i miei, familiari e tutti gli amici coinvolti con prestiti o cambiali, è anche un autentico dramma. Non voglio farle perdere tempo, ma ho bisogno di sapere oggi stesso, adesso, se posso contare o meno su un’assistenza adeguata e tempestiva. Mi scusi avvocato, ma la sua timidezza nei confronti di Caron e Bizzotto non può che portare a un’azione monca e comunque non capace di sfruttare tutte le opportunità, e credo che questo lo capisca anche lei. Per questo deve dirmi, la prego, se la sua disponibilità è totale.
L’avvocato non accennava a rispondere. Angelo allora riprese, in modo meno concitato:
– In caso contrario, preferisco regolare ancora una volta e definitivamente i miei conti, perché un quarto avvocato non intendo cercarlo. Mi sono convinto che la via della giustizia è davvero lunga e difficile e, comunque, non è raccomandabile ai poveri e agli ingenui.
Brunello restò in silenzio, lisciandosi di nuovo i baffi; poi: – Senta, – incominciò alzando lo sguardo verso il suo interlocutore – forse una soluzione, se lei è d’accordo, si può trovare. Nel mio studio ho un giovane e valido collaboratore, l’avvocato Stefano Cavinato, un tipo in gamba, desideroso mostrare il suo valore e di mettersi in proprio. Stefano potrebbe prendersi carico del suo caso. Sono sicuro che lo farà, e che saprà affrontare il processo anche contro Caron e Bizzotto. Questo garantirebbe a lei di non perdere altro tempo e a me di evitare lo scontro diretto con lo studio di Caron. Che ne dice?
A Angelo non restavano molte alternative, accettò, senza entusiasmo, questa soluzione, ma volle parlare subito con il nuovo avvocato. Il giovane – aveva compiuto da poco trentacinque anni – gli fece una buona impressione. Gli spiegò a grandi linee la sua situazione, rimandando per i dettagli alla memoria scritta che aveva già consegnato agli avvocati, prima a Feltrin, poi a Brunello. Si salutarono con l’impegno di risentirsi presto e uscì in strada. Non voleva tornare subito a casa: allungò un po’ il percorso, passò dietro l’Accademia e si trovò, dopo aver girovagato tra le calli, inseguendo vaghi profumi floreali, sulla riva del Canale della Giudecca, all’altezza della Fondamenta degli Incurabili. Si fermò a osservare le increspature dell’acqua, le acrobazie dei gabbiani, le case e i palazzi illuminati dal sole sull’altra sponda, la Giudecca, e un’imprevista vertigine, il ricordo sommerso di stagioni perdute lo colse all’improvviso e lo rapì per qualche prezioso attimo, gli fece chiudere gli occhi, assaporando il calore sulla pelle e l’odore di salso che la brezza portava con sé: da una finestra proveniva il suono di un pianoforte – Bach, era sicuro. Si sporse sul bordo della fondamenta, cercando il riflesso della sua immagine sullo specchio della laguna. Provò un’irragionevole desiderio di scivolare dentro l’acqua, un grembo accogliente dove dimenticare tutto, e diventare leggero, per sempre, affiorare e affondare. Gli tornarono in mente i versi di un libro che Luccini, il suo professore del liceo, gli aveva prestato, quelli su Fleba il Fenicio. Com’era? “Una corrente sotto il mare gli spolpò le ossa in bisbigli…” E Luccini, che direbbe, oggi, Luccini, del suo “brillante allievo”, ridotto a postulante? Al suo circolo “Italia-Urss” non c’era mai andato, e neanche “Al Pozzetto”, il circolo che aveva fondato a Padova. Se è per quello, si disse, neanche al suo funerale sono andato, pochi anni fa. Povero Luccini, anche lui, quante umiliazioni ha subito dal suo stesso partito, lui e il suo pensiero critico… Gli dispiaceva, ora, non aver avuto il coraggio di andare a trovarlo. Chissà su che argomenti avrebbero discusso… se gli avrebbe rimproverato ancora il suo “profetismo neoclericale”… “Medita su Fleba, che fu una volta alto e bello come te”, gli avrebbe detto, con la sua ironia.
Da un rio sbucò un barchino a motore con alcuni ragazzi vocianti: il baccano coprì il suono della musica. Disturbato, anche Angelo troncò il corso dei suoi pensieri, volse i suoi passi e tornò verso la stazione.
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