Una famiglia borghese come i Porro di Andria (La Gazzetta del Mezzogiorno)

di NICO PERRONE, del 15 Luglio 2013

da La Gazzetta del Mezzogiorno del 13/07/2013

Cosa fossero «gli agrari» nel più grande paese pugliese, visti nella loro realtà quotidiana, nei rapporti familiari, nelle relazioni sociali, non lo aveva rappresentato nessuno. Eppure studi storici e sociologici ce ne sono stati. La lacuna l’ha colmata Riccardo Riccardi, con il volume Una famiglia borghese meridionale. I Porro di Andria (Rubbettino, pp. 432, con ampia appendice iconografica, euro 19). Egli è partito da lontano, da quando di «agrari» non si parlava ancora nell’accezione moderna. Allora, anche la vita di famiglie che sarebbero diventate localmente importanti, si condensava in pochi elementi, d’anagrafe o d’intestazione di poderi.
Chi erano dunque i Porro, cospicua famiglia andriese, di cui si arriverà a parlare come di «una casata»? All’origine erano dei carrettieri. Perciò nei fermenti che nel 1799 attraversarono anche le Puglie, non ebbero ruolo, tranne che allo scopo di difendere interessi familiari; non ebbero ruolo neppure sul versante della repressione, che in alcune località assunse caratteristiche di ferocia. Fra i protagonisti del 1799, l’autore ricorda Ettore Carafa, duca di Andria e conte di Ruvo (1767-1799), che finì decapitato dalla repressione borbonica. Carafa fu una figura di rilievo locale nella Repubblica Napoletana, quale incaricato di sedare la reazione borbonica nelle Puglie. Andria, che era rimasta fedele ai Borbone, aveva respinto ogni dialogo politico con la Repubblica e proprio dal Carafa, con l’appoggio dall’esercito francese, venne assediata. Quell’azione causò numerosi caduti. Successivamente il Carafa – che in quella scelta mostrava anche di difendere interessi personali – catturato dai restaurati Borbone,venne decapitato. La storia di Andria ebbe diversi momenti di intensa partecipazione politica. Si potrebbe ricordare che le elezioni del 18 aprile 1948 segnarono nel paese una partecipazione pressoché totalitaria: il 96,36 per cento. La Democrazia Cristiana vi ottenne il 53,32 per cento, mentre il 41,40 per cento andò al Fronte del Popolo, costituito di comunisti e socialisti.
In quegli stessi anni, il popolo andriese viveva in gran parte in condizioni disperate. Di fronte, aveva l’ostentazione degli agrari, che potevano donare alla chiesa cattolica una parte consistente dei loro profitti; quel denaro finiva poi a sostenere la D.C. nelle elezioni. C’erano insomma le condizioni per una cruenta sollevazione popolare. Ne fecero le spese le sorelle Luisa e Caterina Porro, due pie donne di famiglia facoltosa che a forza vennero tirate fuori delle loro case e massacrate. Vittime simboliche e sacrificali di una situazione che si era lasciata degenerare oltre ogni limite. A portare alla tragedia avevano contribuito la leggerezza e l’incapacità della polizia di Bari, da cui dipendeva anche l’ordine pubblico di Andria. Soltanto il vice questore del paese, conoscendo bene le condizioni dei braccianti – disoccupati o saltuariamente sfruttati, senza alcuna forma di previdenza – aveva inutilmente messo in allarme la Questura di Bari. Egli aveva chiesto non solo dei rinforzi robusti e non ostentati, ma anche delle misure occupazionali per lenire il profondo disagio sociale. Egli avvertì che la situazione poteva precipitare da un momento all’altro. Non venne ascoltato.
Alla tragedia delle due sorelle fece seguito una repressione forsennata, che non volle ascoltare qualche parola di ragione e di misura venuta dalla sinistra. Capire subito dopo quei selvaggi omicidi le ragioni dell’esasperazione popolare, avrebbe richiesto doti politiche che non ci furono. Soprattutto non si riuscì a capire che quella rabbia aveva una estensione di massa. A mitigare il problema, qualche anno dopo verrà una dolorosa e vasta emigrazione.
Il libro ricostruisce i fatti – con cura e sulla base di una vasta ricerca – fino al loro epilogo processuale, nel quale vennero punite in modo durissimo molte persone. Allora non si cercò di capire in quali condizioni di miseria disperata e senza prospettive quei delitti erano maturati. Si scelse di dare un esempio. La condizione dei braccianti,in continua oscillazione fra la disoccupazione – con la fame conseguente, che allora era reale – e qualche ingaggio saltuario, esasperava un odio profondo. Le corti penali avevano il compito di punire i delitti, e lo esercitarono con durezza inflessibile. La sinistra – comunisti e socialisti – cercò di far capire che non era quella l’unica strada da percorrere, e che anche delitti orrendi dovevano essere inquadrati in un contesto, e non giudicati con criteri di mera contabilità delle pene. Allora – dalla parte del potere – non ci fu la capacità di capirlo. Oggi, nelle ricostruzioni storiche, si aprono spazi per riflettere.
Riccardo Riccardi ha dato un significativo contributo in tale direzione.

Di NICO PERRONE

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