Il vate vende moda – Tuniche, sottovesti, calze, Giordano Bruno Guerri spiega in un libro come D’Annunzio trasformò il Vittoriale in un “laboriosissimo” atelier (Dagospia)

del 22 Maggio 2018

Fuori faceva molto caldo, ma la penombra del Vittoriale garantiva una certa freschezza. Gabriele d’Annunzio stava parlando dei profumi che intendeva distillare, ma aveva notato nel suo visitatore, il dandy francese Marcel Boulenger, una certa perplessità: i profumi non sarebbero sembrati una frivolezza al suo pubblico? “Frivolezza? Come si può parlare di frivolezza quando si tratta di ingentilire la vita? Ma sapete che io immagino e compongo delle stoffe decorative e delle vesti per signora, come Poiret?». «Così, quando a Parigi qualcuno mi domanderà cosa stia facendo colui che con la sua audacia ha restituito Fiume alla patria e con la parola scatenato la guerra, io risponderò: degli addobbi…». «E delle stoffe! Voglio farvele vedere». E aveva cominciato a sciorinare orgogliosamente quei tessuti inventati, scelti o dipinti da lui “con mano volante”. Il rosso e l’azzurro, eco delle tinte che avevano scandito l’avventura di Fiume, ricorrevano spesso. Le realizzazione più impegnative, spiega Paola Sorge, erano affidate alla Maison Paul Andrée Léonard di Milano. Per il Vate era essenziale rivestire la realtà come rivestiva i busti e le statue con stoffe e foulard. Non a caso le divise delle sue cameriere venivano disegnate proprio dal celebre Poiret. Tuttavia gli piaceva trasformare il Vittoriale in “un laboratorio di sarte e di modiste laboriosissimo”. Chi, come le sue ospiti, entrava in quel teatro decadente doveva assumere i panni adatti alla scena. Per quelle deliziose comparse erano previste le “Vesti magiche”, abiti provocantemente evanescenti, che le tramutavano in falene dorate, pronte a bruciarsi devotamente le ali alla sua fiamma. Era Aelis, complice e cameriera dal 1912, a preparare le attrici a salire sul palcoscenico dell’intimità, a sovrintendere ai bagni e alla profumazione. Le sarte dovevano misurarsi con indicazioni liriche del Poeta. “Vorrei una grande cappa, per una signora di alta statura. La vorrei nera, floscia, leggera, con un gran mazzo di rose rosse (colore intensissimo), ricamato segretamente nel rovescio (…) Il mazzo deve essere legato da un nastro d’oro, con un ampio svolazzo. Qualcosa di ricco, di violento e di nascosto”. All’interno un’etichetta ricordava “Gabriel Nuntius Vestiarius Fecit”. Sedotto dalla collezione di intimo proposta alle signore milanesi dalla nipote di Toscanini, Biki, aveva commentato: “Ammirando non in vetrina morta ma in movimento vitale le pieghe, gli intervalli, il tessuto pieno e il merletto aereo, le cuciture, gli orli, mi sono apparsi come elementi del ritmo esatto e dell’incognito indistinto e perciò della poesia”. A lei affidava i suoi più ambiziosi sogni di stoffa. “Una volta, d’Annunzio mi fece avere una manciata di pietre dure dai riflessi splendidi. Voleva che gli confezionassi delle camicie da notte specialissime nei colori delle pietre…”. Le ritroviamo, sensualmente fotografate da Lorenzo Cappellini, nel libro di Guerri. “Per vestire, ma non per dormire”, gli chiffon volteggiano sui corpi, i pizzi tracciano le geografie del desiderio sui corpetti. “Tutto in te era sottile, leggero e trasparente come il tessuto che porta il nome di tulle…”. Attentissimo alle calze D’Annunzio le faceva dare alle sue prede. “… Una voluttà singolare si accorda con le calze. Le sue sono finissime, diafane, un po’ larghe per le gambe snelle, arrivano quasi all’inguine (…) nell’orlo superiore eguagliano l’eleganza di un calice di Murano”. L’ultima amante, Evelina Scapinelli Morasso, al corrente del suo feticismo, titillava le sue fantasie. «Indosso una veste spumosa, fiorita come il tuo giardino. Le mie gambe inguainate nelle nuovissime calze raggiungono la tanto lodata perfezione di quelle di Mistinguett”, una nota soubrette francese. Nel libro è anche rappresentata parte dello smisurato guardaroba dello scrittore. Chi si aspettava un abbigliamento vistoso restava stupito dalla sua eleganza attutita. D’Annunzio non era un dandy vistoso alla Wilde, ma la sua fantasia affiora nelle stoffe screziate delle vestaglie o nelle babbucce decorate da falli stilizzati. Più mesta è la camicia da notte degli ultimi anni. Ideata per nascondere un corpo insidiato dalla vecchiaia ha un’apertura strategica orlata di filo d’oro. Gli era sempre piaciuto colmare di doni le sue conquiste. Prima di regalare a una di loro un fermaglio con un’onice nera da lui disegnato aveva chiesto alla bella se non preferisse un semplice diamante. Stupito dalla risposta, aveva detto: “Ma come mai una donna intelligente come voi può preferire una volgarissima pietra preziosa a un gioiello che ha disegnato e fabbricato un orafo del mio valore?” “Ma il brillante l’ha fabbricato Iddio e con tutto il rispetto per il vostro genio io credo che fra Lui e voi non sia il caso di esitare”.

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