Garlasco e Stasi fra garbugli e sentenze (foglieviaggi.com)

di Marco Brando, del 13 Giugno 2022

Gabriella Ambrosio

Il garbuglio di Garlasco

Un perfetto colpevole e l'ostinata ricerca della verità

La persona che nel 2007 ha ucciso a Garlasco (Pavia) Chiara Poggi è davvero Alberto Stasi, ai tempi suo fidanzato e studente in Economia all’Università Bocconi, da metà dicembre del 2015 in carcere per scontare la condanna definitiva a 16 anni di reclusione? Sì, Stasi è colpevole in base alle sentenze, arrivate fino a quella definitiva in Cassazione; per i giudici, gli indizi lo incastrano senza ombra di dubbio. No, è stato condannato ingiustamente, secondo il libro-inchiesta ‘Il garbuglio di Garlasco. Un perfetto colpevole e l’ostinata ricerca della verità’ , appena edito da Rubbettino e scritto da Gabriella Ambrosio (giornalista, scrittrice e, come professione prevalente, pubblicitaria di lungo corso). Nel frattempo Stasi, quasi quarantenne, continua a proclamare la sua innocenza: ribadisce di aver solo scoperto, quella mattina del 13 agosto 2007 nella villetta della famiglia Poggi, il corpo martoriato della ragazza – all’epoca stagista a Milano, laureata in Economia, 26 anni, di 2 più grande di lui – e di aver dato subito l’allarme.

La cronistoria di quel caso di cronaca nera, uno dei più seguiti dall’opinione pubblica negli ultimi vent’anni, è ricca di passaggi e di colpi di scena. Sul Web si trovano ricostruzioni recenti delle varie tappe, che aiutano ad orizzontarsi a 15 anni dall’omicidio. Poche settimane fa ne ha pubblicata una BlitzQuotidiano.it: l’ha fatto in occasione di uno speciale de ‘Le Iene’ andato in onda su Italia 1, dove in un’intervista Stasi racconta, dal carcere, perché è innocente e cosa non avrebbe funzionato sul fronte giudiziario e investigativo. Mentre nel 2017 il canale Crime+Investigation di Sky ha proposto il docu-film ‘Delitti: speciale Garlasco’, che ha messo in evidenza anche gli aspetti controversi – tra lacune, ritardi ed errori, a volte clamorosi – di un’inchiesta che era iniziata male, con l’inquinamento della scena del crimine e con un’arma del delitto (un oggetto usato per colpire la vittima) mai trovata.

D’altra parte, lo stesso iter giudiziario è stato contorto: le due prime sentenze, svolte con rito abbreviato sia in primo sia in secondo grado, lo avevano assolto; ma la Corte di Cassazione, il 18 aprile 2013, aveva annullato l’assoluzione. Così il 17 dicembre 2014, nel nuovo processo d’appello milanese, Stasi è stato ritenuto colpevole: dopo i ricorsi di accusa e difesa, la Cassazione, nonostante la richiesta di un nuovo annullamento da parte del procuratore generale (con rinvio a un’altra Corte d’appello), il 12 dicembre 2015 ha confermato la sentenza-bis, condannandolo in via definitiva. Poi, il 5 ottobre 2020 la Corte d’appello di Brescia ha respinto la richiesta di revisione del processo presentata dalla difesa; scelta confermata dalla Cassazione il 19 marzo 2021. Oggi l’ultima possibilità per arrivare a un riesame dipende dall’iter del ricorso che la Corte europea per i Diritti dell’uomo ha accolto nell’ottobre dell’anno scorso.

Leggendo le motivazioni delle sentenze (sul sito Dirittopenalecontemporaneo.it sono disponibili quella delle due corti d’assise d’appello e quella della Suprema corte) alla luce dei criteri cui i giudici si sono attenuti nella valutazione della prove, è difficile, almeno per un profano, dubitare della loro fondatezza. Certo, colpisce che sia un delitto di cui non si è mai scoperto il reale movente, come si legge nella motivazione della seconda sentenza in appello, quella di condanna confermata dalla Cassazione: “Stasi ha brutalmente ucciso la fidanzata Chiara Poggi perché era diventata, per un motivo rimasto sconosciuto, pericolosa e scomoda”, pertanto “da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo per bene e studente modello, da tutti apprezzato”. Quindi, sebbene secondo i giudici dell’appello bis ci siano stati vari errori nello svolgimento iniziale delle investigazioni, “non si può negare che spesso sia stato proprio l’imputato, personalmente e non solo, a indirizzare e a ritardare le indagini in modo determinante, per lui favorevole”.

Di fronte a questo quadro, l’autrice de ‘Il garbuglio di Garlasco’ non si tira indietro e, come si legge nella sintesi in seconda di copertina, nel libro sostiene di fornire “una documentazione inoppugnabile che smonta dalle basi una condanna infondata”. Ovviamente i giudici che hanno condannato Stasi e quelli che hanno respinto le richieste di revisione del processo hanno ritenuto di aver preso una decisione altrettanto inoppugnabile. I lettori dunque dovranno farsi una propria opinione. Di certo, comunque, il libro di Gabriella Ambrosio affronta in maniera inedita uno dei casi più celebri e discussi della cronaca nera italiana. Prima di tutto perché nel groviglio che ricostruisce – basandosi sulla lettura di una montagna di atti processuali, interrogatori, intercettazioni e, soprattutto, su un rapporto diretto con alcuni dei protagonisti – si trova ben presto avviluppato anche il lettore. Fra le voci dalle quali si rimane più colpiti c’è quella della giovana avvocata Giada Bocellari, una dei suoi difensori: si trova a dover affrontare la tensione e la responsabilità di un processo per omicidio sotto i riflettori dei media e sotto il giudizio del pubblico. Ambrosio considera altre strade possibili, percorsi non battuti dalle indagini o solo accennati; e la sua prospettiva vive nelle parole e nei pensieri della tostissima Giada, che proprio non ci sta ad arrendersi di fronte a quello che dicono e pensano tantissimi.

Il libro segue le vicende investigative e processuali con un ritmo serrato, un linguaggio non convenzionale, che a volte sembra voler suggerire la sceneggiatura di una serie televisiva alla ‘Law & Order – I due volti della giustizia’. Colpisce infatti la modalità di scrittura, dove lo stile dell’inchiesta giornalistica si intreccia con il genere della fiction. Insomma, un romanzo in cui la storia non è verosimile: è proprio vera. Non solo. Emerge che Stasi – ben presto divenuto il bersaglio ideale dei luoghi comuni giornalistici, trovandosi appiccicata l’etichetta di “bocconiano dagli occhi di ghiaccio” – sia stato trasformato, in un processo mediatico parallelo, nel “colpevole perfetto” da dare in pasto all’opinione pubblica: viene additato come l’assassino anche per la fisicità particolare, il suo apparente distacco emotivo, le sue contraddizioni personali, l’aspetto che non suscita simpatia.

Nel libro tornano alla ribalta varie ipotesi. Torna il personaggio di Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, indagato dopo un esposto firmato dalla madre di Stasi e poi definitivamente prosciolto. Tornano le cugine di Chiara, le gemelle Cappa, Paola e Stefania, che ai tempi del delitto ebbero una breve parentesi di celebrità, con tanto di proposta di contratto da parte di Fabrizio Corona. Tornano Maristella, l’amica del cuore di Chiara, e la collega Francesca: avrebbe dichiarato agli investigatori che la vittima aveva un secondo cellulare, piccolo, mai ritrovato. Diventa protagonista la stessa Garlasco: quella cittadina apparentemente tranquilla della profonda Pianura padana lombarda, racconta l’autrice, in realtà è funestata da ondate di misteriosi suicidi, presenze inquietanti, sette sataniche e persino dagli esorcismi del mercoledì nel Santuario della Madonna della Bozzola. Se non fosse che i protagonisti sono (o, ahimé, sono stati) veri c’è, nel libro, una trama già pronta per essere trasformata in un film o in serie televisiva.

Di certo, i processi indiziari come questo (in cui gli imputati non sono stati colti sul fatto né hanno confessato, ma vengono condannati in base a prove ritenute precise e concordanti) sono i più coinvolgenti mediaticamente e (inevitabilmente) controversi. Soprattutto quando vengono dedicati a delitti che – per le caratteristiche dei protagonisti, il contesto sociale in cui si sono consumati e le scelte del mondo dell’informazione – appassionano la gente, trasformandosi in fenomeni di massa e di costume, incluse “gite” surreali sui luoghi del delitto; basti pensare, in Italia, a delitti relativamente recenti come quelli di Cogne, di Erba, di Avetrana o all’assasinio di Meredith Kercher a Perugia e a quello di Yara Gambirasio nella Bergamasca.

Non a caso la letteratura gialla, la tv e il cinema offrono, da decenni, trame legate a fatti reali che ruotano intorno ai processi e, grazie ai progressi delle investigazioni tecniche e scientifiche, anche ai delitti irrisolti (i cold case, per i fan degli inglesismi). Nella vita reale la cosiddetta opinione pubblica, alla perenne ricerca di eroi positivi e negativi, si divide tra innocentisti e colpevolisti. Divisioni che al giorno d’oggi – incoraggiate dai media professionali, dai talk show, dai social network, dalla ricerca di audience e like – rischiano forse troppo spesso di diventare una specie di ipoteca sulle indagini e sui successivi processi. Un tema che il mondo dei media professionali e quello della giustizia non dovrebbero mai perdere di vista, come ci dimostra, tra l’altro,il libro di Gabriella Ambrosio.