Pacchetto Colombo (La Ragione)

di Redazione, del 21 Dicembre 2022

Alessandro De Virgilio

Pacchetto Colombo

Gioia Tauro, Lamezia Terme, Saline Joniche: la truffa dell'industrializzazione fantasma in Calabria

Fa uno strano effetto rileggere tutte assieme queste storie, pur riferite a una sola regione. Non si tratta solo delle occasioni sprecate e del denaro pubblico dilapidato, ma della leggerezza rissosa con cui furono affrontati questi problemi, priva della consapevolezza della posta in gioco. II risultato è non solo il permanere dell’arretratezza di un’intera area del Paese, ma anche la voragine che si scavò nei conti pubblici. Una voragine nella quale precipitarono non solo quattrini e strutture industriali ma — cosa ancora più grave — la ragionevole fiducia che le cose potessero cambiare. L’autore è un giornalista nato a Catanzaro e che per molti anni ha lavorato nella sua regione. Purtroppo quel che andava scrivendo, e che qui raccoglie, è la cronaca di un disastro. ll Pacchetto Colombo fu annunciato subito all’indomani dei moti violenti che avevano avuto luogo in Calabria, rivendicando Reggio come capoluogo ma dietro questo manifestando un disagio fondato e un ribellismo pericoloso. Si era nel 1970 e il governo, allora presieduto da Emilio Colombo, provò a spegnere l’incendio con una pioggia di denari. La promessa era quella dell’industrializzazione. Fu realizzato il più grande porto del Mediterraneo, Gioia Tauro, a lungo rimasto inattivo. Avrebbe dovuto servire lo sviluppo siderurgico, per il quale sono stati investiti soldi pubblici e realizzati stabilimenti, ma senza produrre acciaio. A Saline Ioniche vennero realizzate le strutture della Liquichimica — mai attivate per quello cui sarebbero dovute servire — mentre la Sir si stabili e mori a Lamezia Terme. In quel surreale panorama industriale senza industrie prese corpo il concetto di  “cattedrali nel deserto”. Non soltanto le cattedrali (ovvero gli stabilimenti) sorgevano nel deserto circostante contro ogni logica di profittevole sviluppo, ma non arrivarono neanche i prelati per officiare almeno qualche rito. Ed è girando per questi luoghi che l’autore racconta di avere visitato stabilimenti enormi abitati da pochi operai, con addetti alla produzione di alcunché ma alla manutenzione di quel che era stato costruito, perché non crollasse su sé stesso così come era crollato il disegno di sviluppo. II che gli ha fatto venire in mente l’immagine dei soldati giapponesi cui nessuno aveva comunicato la fine della Seconda guerra mondiale. Non combattevano e non erano in pare. Come la Calabria.