Carandini e Berlin, un dialogo che è quasi una confessione (Il Messaggero)

di Corrado Ocone, del 22 Luglio 2015

Da Il Messaggero del 22 Luglio

È un saggio su un protagonista della cultura europea, ma anche un dialogo o confessione dell’autore con se stesso. Ed è sicuramente un libro sorprendente questo di Andrea Carandini, che esce ora per Rubbettino: Paesaggio di idee. Tre anni con Isaiah Berlin (381 pagine, 19 euro). L’autore è uno dei massimi archeologi viventi, che un tempo aveva creduto in Marx, ma che da un palo di lustri ha riveduto e messo in crisi molte vecchie certezze etico – politiche. Infine, nell’ultimo triennio, si è immerso, con condivisione sempre maggiore, nell’opera di Berlin, ebreo-russo fuggito in Inghilterra dopo la Rivoluzione d’ottobre, uno dei maestri del pensiero liberale del secolo scorso. Ripercorrere le sue idee, ordinarle per darne cognizione al lettore, in un tono molto personale e sicuramente lontano dall’asetticità accademica, diventa così una sorta di autoconfessione. E forse anche di speranza per una società più a misura d’uomo.
Partendo dall’idea kantiana dell’umanità come un “legno storto”, Berlin, e sulla sua scia Carandini, mostrano come il perfezionismo in politica finisca sempre per creare danni: si rompono tante uova per fare una frittata, ma alla fine la frittata che viene fuori non è digeribile e nemmeno mangiabile. Berlin è stato sicuramente un illuminista, dice Carandini, perché ha creduto nei valori della ragione, del progresso, della tolleranza. Ma, studiando i nemici dell’illuminismo, ha individuato anche i limiti e le conseguenze di una ragione, come quella dei Lumi, che si è proposta di scindere definitivamente il Bene dal male, di “purificare” il mondo: di imporre a tutti, secondo una logica paternalistica profondamente illiberale, una Verità monolitica e indiscutibile. Ecco allora i saggi saggi sui romantici (Herder), su autori conservatori (Burke, Bonald, de Maistre) e addirittura su reazionari (Hamann).
Pensatori di cui egli non condivideva molte idee, ma che, proprio perché uomini di genio, lo aiutavano a rinforzare le sue o a vedere i punti deboli. Che è poi un insegnamento epistemologico e morale al tempo stesso. Molto legato a certa tradizione italiana, soprattutto a Machiavelli e a Vico, Berlin, da vero liberale, amava gli anticonformisti, gli eccentrici, gli irregolari: chi, come i due grandi italiani e come i «contro illuministi» da lui studiati, si era tenuto contemporaneamente fuori e dentro al canone trionfante della modernità. Carandini, che definisce Berlin il suo «mentore»”, ci accompagna per mano nei suoi percorsi berliniani, finendo, come dice, per «mescolare l’aspirazione alla sistematicità a una libera spregiudicatezza
personale». La speranza è che, con la sua autorevolezza, convinca i più a trovare i loro maestri nei grandi autori della tradizione classica e umanistica e non nei “cattivi maestri” di cui pure il secolo scorso è stato pieno.

Di Corrado Ocone

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