Quando il calcio è criminale (Verona Fedele)

di Ernesto Kieffer, del 28 Settembre 2012

Da Verona Fedele – 28 settembre 2012
Un libro del giornalista Romani spiega gli intrecci, gli interessi, le astuzie della mafia che da anni ha allungato i suoi tentacoli sul più popolare degli sport

Un diffuso luogo comune ritiene i calciatori tutti indifferentemente strapagati, bizzosi e viziati. Verità che si può certamente applicare ad alcuni dei protagonisti delle domeniche pallonare, ma che è totalmente lontana dalla realtà nella maggior parte degli altri casi, soprattutto se dalla Serie A si discende nelle serie minori. Ci si può imbattere, in Lega Pro ma anche in Serie B, in tantissime situazioni in cui il giocatore viene pagato soltanto poco più di mille euro al mese. Non certo uno stipendio da nababbi e se a questo abbiniamo anche la breve carriera da atleti, che di solito difficilmente supera i 35-36 anni, il quadro in cui si vengono a creare le condizioni perché il calciatore ceda alla truffa è piuttosto evidente.
La mafia, che fiuta gli affari più e prima di qualunque altro “soggetto economico”, ha già da tempo capito che il calcio può rappresentare un’incredibile fonte d’affari. E così, già da molti anni, ormai, ha allungato i suoi tentacoli su questo mondo. Una tela di relazioni che è stata sapientemente ricostruita dal giornalista Pierpaolo Romani nel libro Calcio criminale, edito da Rubbettino. L’Italia calcistica, fin dalla fine degli anni Settanta, ha nel suo dna lo scandalo.
Ma l’ultima “Scommessopoli”, che si sta sviluppando su tre filoni principali portati avanti dalle Procure di Cremona, Napoli e Bari, ha fatto per la prima volta emergere in modo prepotente i rapporti stretti tra mondo del calcio e mafia siciliana, ‘ndrangheta, camorra e via dicendo. E così le indagini di Romani, che mette in fila una sfilza inesorabile di episodi grazie allo studio certosino di atti giudiziari e cronache uscite sui media, svelano un sistema ben codificato di imbrogli, slealtà, corruzione, omertà, violenza e minacce che molti conoscevano e che nessuno per molto tempo ha denunciato.

Vuoi per paura, vuoi anche per poter approfittare dell’ affare di turno. «Il lavoro di Romani fa una fotografia precisa e approfondita legata alle mafie del calcio» spiega Alessandro Russello, direttore del Corriere del Veneto alla presentazione del libro tenutasi la settimana scorsa presso la libreria Feltrinelli a Verona. «Il calcio è parte integrante della società e della storia italiana. Pensiamo all’importanza che ebbe, ad esempio, durante il periodo fascista o al volano economico che la vittoria ai Mondiali spagnoli del 1982 diede all’intera nazione.

Lo sport, in generale, viene vissuto dai popoli latini in modo empatico e Romani vede anche in questo elemento un presupposto all’interesse delle mafie per il calcio, che rappresenta uno straordinario modo per far quattrini. Non è un mistero che molti presidenti di squadre professionistiche spesso abbiano interessi immobiliari o di altra natura e la squadra che presiedono rappresenti un pretesto per ottenere appalti e favori da parte della politica locale».

È un dato di fatto che nel settentrione del nostro Paese sia altamente rappresentata una forza politica, la Lega Nord, che non esiste in altre zone d’Italia. Così il Procuratore generale di Brescia Guido Papalia: «Si tratta di una denuncia già fatta da Roberto Saviano un paio d’anni fa: la mafia deve trovare, per portare avanti le sue attività, legami politici e ha cercato negli ultimi annidi allearsi con la Lega. Ovviamente non lo ha fatto minacciando, ma tentando di sedurre con i suoi metodi consueti, legati ai soldi e al potere».

La prefazione del libro è stata scritta da Damiano Tommasi, 1’ex giocatore di Hellas Verona, Roma e Nazionale italiana. Da quando nel 2010 è diventato presidente dell’Aic, Tommasi sta portando avanti una personale battaglia a favore della legalità nel calcio: «I risultati, soprattutto a fine stagione, sono condizionati dalle motivazioni reciproche delle due squadre. Se una non ha più obiettivi, mentre l’altra deve salvarsi o vincere lo scudetto, il risultato della partita, nella totalità dei casi, è già scritto ancor prima di giocare. E in queste occasioni si possono ricavare con le scommesse molti soldi. Purtroppo questo sistema è difficile da abbattere, anche se sono già state cambiate alcune regole, come l’introduzione dei play off o la regola dei tre punti a vittoria, che hanno cercato di ridurre il numero di partite dal risultato scontato. Personalmente penso che sia un grande orgoglio arrivare a giocare in Serie A dopo tanti sacrifici e questo già può rappresentare un freno a commettere illeciti per il giocatore, visto che, una volta scoperto, la sua carriera sarà definitivamente compromessa.

Ma è fin da piccoli che gli atleti vanno educati al rispetto delle regole e in questo senso i genitori vanno coinvolti nelle attività sportive da parte degli allenatori in modo da trasmettere con maggiore efficacia i messaggi positivi ai ragazzini». «11 calcio – spiega Romani – è uno strumento fondamentale per i mafiosi al fine di costruire, alimentare e gestire il consenso sociale e trasformarlo in alcune occasioni in consenso politico, per controllare il territorio, per riciclare denaro sporco. Grazie al calcio i mafiosi avvicinano persone che nella quotidianità vivono in contesti sodali

distanti; intrecciano rapporti con il mondo della politica, dell’imprenditoria e delle professioni e questo è utile per fare affari e garantirsi omertà e impunità». L’interesse dei mafiosi è soprattutto per i campionati minori del settore professionistico (Lega Pro) e per quelli dilettantistici (Serie D ed Eccellenza) del Mezzogiorno.

«Non mancano però casi anche al Nord. Si può e si deve fare qualcosa. L’omertà degli imprenditori non va giustificata. L’atteggiamento positivo è quello di personaggi come Libero Grassi, che si rifiutò di pagare il pizzo perdendo, per questo, la vita, o di Rosario Livatino, il “Giudice Bambino”, che venne giustiziato il 21 settembre 1990 per aver ostacolato, con le sue indagini, gli affari di qualche boss. Esempi eroici, ma che devono rappresentare un modello per poter combattere, sviluppando una cultura della legalità, un sistema che non può e non deve vincere».

Di Ernesto Kieffer

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