Storie di vite in movimento (Avvenire)

del 2 Ottobre 2015

Da Avvenire del 2 ottobre

Arrivi alla fine del libro e ti pare di aver letto una sorta di “bibbia della Calabria”. Sembra non di chiudere le pagine di un volume, ma la porta di una biblioteca dove ti hanno catturato testi differenti, corredati anche di immagini, che parlano sì di una regione – come affermava Corrado Alvaro – «in fuga da se stessa», ma soprattutto di tante persone, raminghe o apparentemente in moto, che – naturaliter – continuano a seguire le feste dei santi o delle stagioni da un paesino all’altro, così come a salire su un treno per il Nord, o su un aereo per il Canada. Con la mente poi è obbligato a muoversi anche il lettore. Trascinato non solo nel tempo lungo l’ultimo secolo e mezzo. Non solo nello spazio, dalle montagne alle spiagge, ora attraversando angoli di Paradiso, ora passando accanto a mostri inutili di cemento, a fiumi dove galleggiano detriti. Ma pure trascinato da un tema all’altro: la ricerca delle radici e le ipotesi sul futuro, il cibo o la solidarietà, le calamità naturali o causate dall’uomo e i sentimenti come la melanconia (anche etnicizzata), tra affondi nella memoria ed esperienze in corso, visibili spaccati tutti umanissimi ed esplorazioni impercettibili nella morfologia della terra e delle anime che la abitano. C’è un po’ tutto questo in Terra inquieta.
Per un’antropologia dell’erranza meridionale che Vito Teti ha appena mandato in libreria. E anche l’autore, come il suo volume, per la varietà degli approcci, dei registri di scrittura, per il mescolamento dei generi, sembra quantomeno duplicarsi a intermittenza mostrandosi ora nei panni dell’antropologo, ora del romanziere con un suo peculiare miscuglio di verità e forza creativa.
Anzi, pur senza ostentazioni e pretese -insieme a ritagli e ricordi di vite altrui, ai suoi occhi sempre importanti, si tratti di celebri autorità come di umilissimi anonimi, Teti valorizza anche frammenti autobiografici, familiari, riprende reportages e appunti di viaggi (nel suo caso: andata e ritorno) delineando la biografia della sua franosa regione: «E erranza, lo sradicamento, lo spaesamento, l’inquietudine diventavano così, già da bambino – scrive Teti – parole e segni di una condizione più generale, quella di una terra in fuga e in movimento per mille ragioni: per necessità o per scelta, per catastrofi naturali o per catastrofi storiche…». Come appunto l’emigrazione guardata con mestizia e speranza, qualcosa di vicino alle esequie in una chiesa dove ci si appresta a celebrare un battesimo. Insomma, le linee della vita.
Come la «storia di linee: ondulate, curve, rette, spezzate» mostrata da queste pagine dove «a ciascuna forma corrisponde un capitolo, e a ciascun capitolo un certo modo di dare forma al viaggio, alla mobilità e all’inquietudine». Difficile da raccontare, non un solo luogo ma tanti luoghi (anche quelli di San Bruno e Cassiodoro, Campanella e Mattia Preti, ecc.), la Calabria, a suo modo emblema di una complexio oppositorum, ama del resto farsi osservare senza farsi troppo scoprire. Tuttavia nel tempo ha imparato un po’ a lasciarsi interrogare, e a porre domande .Quelle di chi non parte, ma restando, cerca di salvare rovine e pilastri alti nel cielo, per farne qualcosa che vive. Nuova teoria e inedite pratiche che lo scrittore di Maledetto sud e l’antropologo de II senso dei luoghi registra con la passione riversata negli ultimi trent’anni di ricerche.

Marco Roncalli

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