Applausi e polvere, le tante vite d’un asso del fùtbol (Il Giorno)

del 4 Luglio 2013

Da Il Giorno del 4 luglio 2013

Si affacciasse sul mare, fosse battuto dalle onde surfistiche del Pacifico, potrebbe essere il Puerto Escondido di Salvatores prima del look iperturistico. Invece, perduto nella selva dell’Uruguay, ricorda il miserabile, polveroso Las Pedras di «Vite vendute», l’antica tragedia cinematografica firmata Clouzot. Un villaggio dal nome persino impronunciabile, un paio di ristoranti-bettole, un hotel stile affittacamere, e lui, Sauro, il protagonista, meglio, il narratore: convinto che la gente lo veda come «un gringo misterioso e affascinante», è in realtà un insabbiato che non racimolerà mai abbastanza dinero per tornare a casa. Gli pagano troppo poco le traduzioni per le tv locali di vecchi programmi trash italiani. Lavoretto svolto fra una cassa di birra e un’altra. Fra una canna e un’altra. Un caso editoriale, «Altre stelle uruguayane», incalzante romanzo picaresco firmato da Stefano Marelli, che con quest’opera prima, edita da Rubbettino, ha vinto il concorso nazionale «Parole nel vento». E che tiene a precisare: «Sauro non sono io». Però ha il viso del ruolo, ha fatto il benzinaio, il turista, l’oste e il giornalista. E, ticinese di Sagno, guarda caso, fabbrica sottotitoli per la tv svizzera. Le sue «Stelle» le presenterà oggi, alle 19, a Le Trottoir, presenti Andrea G. Pinketts, Gigi Garanzini e soprattutto Antonio D’Orrico, il critico di palato difficile che l’ha scoperto: «Un capolavoro».
Narratore, Sauro, si diceva. Perché il vero protagonista è il Brujo, vecchio stregone senza età. Che nella solitudine di uno zoo abbandonato racconterà a sua volta a Sauro e a Martina, inattesa compagna, la sua vita, almeno la prima e la seconda, agli inizi del secolo scorso. Polvere di stelle, l’odissea del Brujo. Stella del futbol sudamericano, prima, poi, approdato in Italia, della fascistissima Capitolina, costretta a vincere sempre da avversari arrendevoli e arbitri compiacenti. Registrato nell’olimpo dei calciatori con un nome d’arte, Nesto Bordesante, rubato al suo migliore amico, compagno di minestre da orfanotrofio e di gol su improvvisati campetti nella pampa, sulla coscienza comunque pura un involontario delitto.
Sfrenato come i grandi narratori latino-americani, Stefano Morelli. Emulo di Osvaldo Soriano o Eduardo Galeano – a quelle latitudini solo Borges odiava il futbol: spregiò la finale del Mondiale 1978, a Buenos Aires, in campo l’Argentina, organizzando una conferenza sull’immortalità -, con stile da presa diretta torna a raccontare il calcio come metafora della vita. La vita che, spesso, ti prende a calci. Ma tu rubale il pallone. Superala in dribbling stretto. E falle gol.

Gian Marco Walch

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