Lettere dal centro del mondo 1951-1988 (La Sicilia)

di ANTONIO DI GRADO, del 1 Ottobre 2013

Da La Sicilia del 28/07/2013

Una fitta corrispondenza che impegna fra il 1951 e 1988 Mario La Cava e Leonardo Sciascia: una corrispondenza continua, un dialogo ininterrotto. I retroscena privati, le difficoltà, gli incontri e persino la solitudine dei due scrittori.  Le riflessioni di Antonio Di Grado, direttore letterario della Fondazione Sciascia e docente di Letteratura all’Università di Catania. Lettere dal centro del mondo s’intitola, orgogliosamente, il volume edito da Rubbettino e curato da Milly Curcio e Luigi Tassoni, che raccoglie il carteggio (1951-1988) tra due grandi scrittori e intellettuali meridionali, il siciliano Leonardo Sciascia e il calabrese Mario La Cava. Due “provinciali”, dunque: da quel “centro” remoti e perciò pronti a lamentarsi dell’ottusità e dell’inerzia che li circondano così come dell’isolamento rispetto ai crocevia della produzione culturale; ma fieramente consapevoli del fatto che la provincia non solo è stata il giacimento dei tesori spesso più preziosi dello stile e dell’intelligenza, ma è l’osservatorio privilegiato da cui osservare con distacco critico e incontaminata moralità le sorti del paese e del mondo. Ecco allora che il vero “centro” si disloca, dai salotti letterarie e dalle redazioni giornalistiche ed editoriali, in quelle appartate solitudini, in quei remoti e operosi laboratori.Nasce da questa diffidenza, da questo orgoglioso appartarsi, quella vocazione di “moralisti” che Sciascia e La Cava si riconoscono a vicenda e in virtù della quale si legheranno in una duratura amicizia e in un intenso scambio intellettuale. Allora marginale e oggi addirittura vituperato, il moralismo altro non è che l’esercizio della moralità, ridotto a irraggiungibile e perciò inservibile icona da parte di una società letteraria e civile di scarsa moralità. Un moralismo, il loro, che i due scrittori definiscono “liberale”: categoria, questa, non come la precedente caduta in disuso ma al contrario abusatissima, e oggi ancor più che allora a sproposito. Ma già allora sia Sciascia sia La Cava diffidavano perfino di quella scuola d’intelligenza critica, intransigente moralismo e spiriti liberali che fu “Il Mondo” di Panunzio, la cui aristocratica alterigia appariva loro arrogante; e addirittura nei confronti del liberale Brancati (da lì a poco venerato da Sciascia, e preferito a quel Vittorini la cui ombra di generoso despota si allunga sugli esordi di entrambi gli scrittori) Sciascia muoveva allora qualche riserva. A figure più appartate, piuttosto, i due scrittori preferivano rivolgersi. E infatti, a chi si avvicini grazie a questo carteggio per la prima volta a La Cava, la prima analogia di pensiero e di stile, la prima parentela, che verranno in mente saranno quelle con l’appartatissimo e sfortunatissimo Antonio Castelli, elegante moralista siciliano: impressione confermata, nel procedere della lettura, dallo stesso Sciascia che lo dichiara “affine” all’amico calabrese. A questa nobile schiera di artisti defilati, e misconosciuti soprattutto in patria, appartiene anche il grande scultore e incisore catanese Emilio Greco («un uomo buono» scrive Sciascia sottolineando l’aggettivo, «ed anche per lui la bontà è un handicap»), di cui il prossimo 11 ottobre ricorrerà il centenario della nascita, che la sua e nostra città onorerà degnamente. In questo libro, perciò così prezioso, ci è dato di assistere agli albori, ai primi incerti passi, al difficile esordio sull’ingombra ribalta nazionale, di un’intera generazione di scrittori: quella non solo di Sciascia e di La Cava ma pure di Bassani, di Calvino, di Tobino, di Pasolini, di Bonaviri (giusto per dire dei più citati, ma tanti altri ne incontriamo in queste lettere): spettacolo emozionante e tanto più per chi come me aspira a una storia della letteratura non più frammentata in medaglioni o ingabbiata in improbabili etichette, ma vivacemente scandita dall’incalzare e dal succedersi delle generazioni. E tanto più emozionante è entrare nel vivo di una ininterrotta conversazione fra scrittori lungo tutta la penisola, di una rete di frequentazioni, confronti, richieste, commenti, collaborazioni, suggerimenti, scambi di opinioni e suggestioni, e perché no amichevoli soccorsi, che oggi è impensabile, e la cui ricchezza e intensità erano inversamente proporzionali alla possibilità fisica di rintracciarsi e interagire. Viceversa è nella nostra epoca di simultaneità e coatta contiguità telematica che quella rete si è smagliata e al suo posto covano rancorose solitudini. Anche di questa nostalgia, allora, siamo debitori a Leonardo Sciascia e a Mario La Cava.

DI ANTONIO DI GRADO

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