Il re dei Paisà

del 11 Febbraio 2013

Da Il Foglio del 9 febbraio 2013

Lo skyline di New York, la “città in piedi” di Celine, non è stato disegnato con i fondi pubblici ma dall’energia di uomini spinti dalla fame, dal desiderio dì essere accettati e di diventare ricchi. Viaggiatori di terza classe a cui nessuno regala nulla. Come Charles Paterno, partito a sette anni da Castelmezzano, in Lucania, per raggiungere il padre emigrato in America. La New York di fine Ottocento, contagiata dal “mal della pietra”, riesce a far dimenticare mal di mare e miseria. Le guglie di palazzi spericolati fatti di ferro, mattoni e cemento hanno deciso di graffiare il cielo. Si costruiscono strade e ponti. Arriva l’illuminazione elettrica. Si sventra il terreno per realizzare chilometri di ferrovia sotterranea. Per gli immigrati italiani solo sogni, lacrime e giobba? La “giobba” (il lavoro) per loro viene prima di tutto. In una città che cresce a ritmi straordinari, Charles si arrampica con il padre sulle impalcature dei cantieri, ma finirà per guidare un impero di imprese edili che costruiranno Manhattan. La sua storia la racconta Renato Cantore nel “Castello sull’Hudson. Charles Paterno e il sogno americano”, in questi giorni in libreria per Rubbettino. Una storia di rabbia e di fiducia n’el futuro. Un futuro che ruggisce con il respiro veloce e straziante della musica di George Gershwin, capace di evocare lo sferragliare dei tram e il rumore delle ruote dentate delle macchine. Un futuro che ha bisogno di uomini affamati e intraprendenti. 

     Se ce la fai a New York ce la puoi fare dovunque. Paterno senior inizia come muratore, diventa capomastro e poi piccolo costruttore. Portare alla laurea almeno uno dei figli è il simbolo del riscatto. Il prescelto è Charles. Per lui c’è di meglio che la tuta da operaio: il figlio avrà il camice da dottore. Charles sgobba sui libri come il padre sulle impalcature, ma la testa è piena di sogni e invenzioni. C’è bisogno di portare soldi a casa? All’angolo tra Ann e Nassau Street, a due passi dal cuore finanziario della città, accanto allo “sciainatore”, il lustrascarpe, il giovane Charles  vende una magic box di sua invenzione. Un parallelepipedo di cartone, con all’interno una lancetta metallica agganciata a un perno come negli orologi, immobile fino a quando, recitando formule magiche accompagnate da un movimento delle mani intorno alla scatola, Charles non riesce a indirizzarla nella direzione prevista grazie a un minuscolo magnete nascosto tra le dita della mano. Magia, truffa? Sopravvivenza. Charles inventa anche un marchingegno che, curvando il beccuccio delle lampade a gas, consente di ottenere più luminosità con un risparmio del dieci per cento. Funziona, lo brevetta e con il ricavato si paga l’iscrizione al Medical College della Cornell University. Arriva il diploma, poi una medaglia, e il Bellevue Hospital lo accetta per il tirocinio. Charles finalmente può indossare il camice, ma deve subito sfilarselo: il padre è morto e ci sono due palazzi da terminare sulla 112esima. E poi un altro building e un altro ancora. Il camice è dimenticato, ma nel giro di un, anno Charles accumula una fortuna. Ma tiene a mente l’insegnamento del padre: mai un ritardo nella paga settimanale agli operai, che devono diventare i migliori amici del padrone. Mai una discussione con i fornitori, la cui fiducia si trasformerà in prcisione nelle consegne e qualità dei materiali. Charles aggiunge anche un pizzico di cordialità e, se necessario, la consulenza medica gratuita sul cantiere. Per i Paterno da Castelmezzano, Lucania, i sindacati possono aspettare. E’ troppo liberal nei rapporti con i suoi operai? I maggiori fastídí giudiziari Charles li ha dai sindacati per qualche “elasticità” nel rispetto delle norme. Ma il paternalismo è un balsamo che sa coprire qualche magagna. Nel settore dell’edilizia, la criminalità è ancora a livelli sopportabili e gli imprenditori italiani non hanno grandi intersezioni con il malaffare. Paterno offre lavoro a molti. Far scoppiare bombe nei cantieri non serve a nessuno. Immigrato di prima generazione diventato imprenditore, non è un filantropo ma è lungimirante e si procura manodopera fidata, e a basso prezzo, rivolgendosi per lo più al mercato dell’immigrazione italiana, spesso anticipando le spese del viaggio, provvedendo al primo alloggio e recuperando i soldi dalla prima paga. Ma il sindacato gli piace, soprattutto il suo. E nel 1932 fonderà l’associazione dei “Taxpayers del West Side”, un’associazione dí grandi contribuenti per difendersi dalla voracità dello stato a caccia di recupero di risorse finanziarie. Il 4 giugno del 1900, Charles diventa “american citizen”. L’America ha guadagnato un cittadino facoltoso e iperattivo. L’edilizia di New York City è ancora monopolizzata dalle grandi famiglie di costruttori ebrei, scozzesi e tedeschi, ma quando negli anni Venti i cognati e le sorelle di Charles entrano nel business, le cose cambiano. Prima nasce la “Paterno e McIntosh”, poi la “Paterno & Sons” e la “Paterno Brothers Construction Company”. Alla fine, si conteranno trentasei palazzi sulla Broadway, a Riverside Drive, a Clermont Avenue, a Cathedral Parkway con le iniziali di famiglia scolpite sulla facciata: “P” per Paterno, “PB” per Paterno Brothers, “JP” per Joe Paterno. L’impero del mattone della famiglia si espande. Soprattutto in altezza, grazie al cemento armato che ormai consente di innalzare palazzi fino a dieci o dodici piani, senza dover piazzare alla base muri troppo spessi. Ed è nata una classe media disposta a colonizzare la periferia in cambio di prezzi più convenienti e di uno standard abitativo più confortevole. Doctor Charles si sente ancora un inventore. Scova progetti per ascensori sempre più efficienti e silenziosi, il riscaldamento a vapore, lo smaltimento dei rifiuti, la posta pneumatica. “Hurry up” è il suo motto. La comodità e l’eleganza degli interni sono il biglietto da visita con i compratori. E l’eleganza Charles va a cercarla in Europa. Se a sette anni l’oceano l’ha visto dagli oblò della terza classe, questa volta può permettersi la prima. E dalla vecchia Europa importa due modelli abitativi pressoché sconosciuti in America: il condominio e la casa di proprietà. La casa, negli Stati Uniti, era per lo più monofamiliare e generalmente in affitto. Tocca al più intraprendente dei Paterno far scoprire le gioie’ del condominio all’ american people”.

Al ritorno dall’Europa, durante uno dei suoi meticolosi sopralluoghi in un building appena terminato, nell’erba di un giardino trova una mutandina di chiffon rosa volata via da un terrazzo: un’architettura delicata e futuribile, irresistibile per il medico per l’inventore e per il costruttore che convivono nel cuore di Charles: Rintracciare la proprietaria, innamorarsene e decidere di sposarla è questione di pochi mesi. Protestante, nobile, più grande di una decina d’anni, divorziata e con un figlio, Minnie è una sfida alla famiglia Paterno che ostacola in tutti i modi il matrimonio. “Sei divorziata? E io ti aiuterò a dimenticare il passato diventando l’unico uomo della tua vita”, scrive in una lettera d’amore indirizzata a Minnie. “Hai un bambino da crescere? E con me vicino ti sarà più facile aiutarlo a diventare grande. Hai dieci anni più di me? E io con barba e baffi dimostro molto più della mia età. Ti piace la musica? E io ti farò svegliare al mattino al suono delle note più celestiali. Ami la natura? E circonderemo la nostra casa di giardini, con fiori coloratissimi in ogni stagione. Sei protestante? Il Signore capirà, e poi non è detto che non possa diventarlo anch’io. Non parli una parola di italiano? E io migliorerò il mio inglese. Hai nostalgia della tua antica nobiltà? E io ti farò vivere in un castello!”. Charles l’avrà vinta e costruirà per lei quello che tutta Uptown finirà per chiamare “The Castle”. Nel punto più alto di Manhattan, con una vista mozzafiato sull’Hudson e sulla costa orientale del New Jersey, “The Castle” ha quattro torri merlate di marmo bianco e un imponente muro di cinta in pietra. Ma anche un pergolato immenso sorretto da duecento colonne, un gigantesco giardino d’inverno, diciassette serre, sette pianoforti, una piscina olimpionica, la sala del biliardo, un tunnel sotterraneo e un’enorme cantina con annessa una fungaia. E anche un organo a tremila canne, che con un sofisticato congegno elettronico, mutuato da uno analogo realizzato per Andrew Carnegie – il miliardario che aveva ispirato a Walt Disney il personaggio di Paperon de’ Paperoni – al mattino diffonde musica in tutta la casa. Nel castello lavorano più di trenta persone, tra le quali: tre governanti, due maggiordomi, un cameriere, una cameriera personale, tre giardinieri, due fiorai, due autisti, un muratore, un pompiere, un guardiano, uno stenografo, un contabile. Da Castelmezzano, Lucania, a “The Castle”, New York. Dalla cittadina rocciosa aggrappata alle montagne della Lucania a Disneyland.

    La crisi del 1907 rallenta l’economia ma favorisce gli affari della Paterno Brothers, che si moltiplica in decine di società guidate da cugini e cognati tutti “made in Italy”. Mary sposa Antonio Campagna (sono loro a inaugurare un building a otto piani al numero 235 West della 71esima che chiamano “Lucania”). Per Rose c’è Francis Faiella, nato in America ma di genitori meridionali, per Theresa il calabrese Ralph Ciliuzzi, per Christina Arminio, fratello di Campagna. Tutti a dar manforte al business Paterno. Gli affari rimangono in famiglia ma per i progetti, con l’immancabile tocco “italiano” e spesso con facciate rinascimentali, il marchio di fabbrica dei Paterno building, Charles si affida ad architetti prima ebrei americani poi a Gaetano Ajello e Rosario Candela. Continua a pagare le tasse anche come medico, dia quando nel 1919 stipula un’assicurazione sulla vita da un milione di dollari, l’emigrante ormai costruttore miliardario finisce sul New York Times. La fine della guerra moltiplica i flussi migratori e cambia le famiglie. “L’uomo tira fuori i soldi, ma è la donna che sceglie la casa”, spiega Charles ai suoi esperti di marketing. “Le donne hanno scoperto di avere dei diritti e li rivendicano con forza: mai più saranno serve, e neppure retribuite, in casa loro”. Un femminista? Più che altro un astuto imprenditore, capace di fiutare il cambiamento della società e di restituirlo nell’arredamento della casa. I suoi appartamenti devono avere il meglio: fornelli a gas, assi da stiro, pavimenti in linoleum e parquet, lavapiatti, cucine super attrezzate (le famose cucine americane), bagni con rubinetti cromati e porcellane, impianti per lo smaltimento dei rifiuti, servizio telefonico per conversazioni locali e a lunga distanza. E nei palazzi più prestigiosi, lobby spaziose e staff in. uniforme.

      Paterno intuisce la forza della middle class emergente. Migliaia di famiglie espulse dalla Midtown e a caccia di status symbol guardano al verde di Westchester e della contea a nord di Manhattan. Charles si inventa una garden community, una città-giardino con vista sull’Hudson, sulle Palisades e a ovest su Bennet Park. Nascono le undici palazzine dell’Hudson View Gardens, dotate di aree comuni, servizi e giardini, facciate in pietra irregolare, archi gotici e tetti a punta come un villaggio inglese dell’epoca Tudor. Viene ingaggiato un architetto di giardini di Filadelfia, Robert Crinland, per valorizzare i dislivelli e distribuire conifere e rododendri. “Fine families flock to apartment citadel”, recita la campagna pubblicitaria sul New York Times, voluta da Paterno, che garantisce l’innovativa  formula del “soddisfatti o rimborsati”. La Hudson View Gardens è una cooperativa di proprietari con un board di amministratori eletti: per acquistare bastano diecimila dollari, il resto è a rate, finanziate dal costruttore.

        Le case di Castelmezzano toccano il cielo e a Charles Paterno piace guardare dall’alto. Compra tutti i terreni di Round Hill, una collina a centosettanta metri sul livello del mare, a Greenwich, nel punto più alto tra New York e Boston, per costruire la casa della sua vecchiaia. E il castello medievale nella Uptown? Demolito in poche settimane, senza rimpianti. Al suo posto, sorgerà la città giardino di Castle Village: cinque torri di dodici piani con seicento appartamenti, il più grande complesso privato dell’Upper Manhattan, per offrire “la luce, il panorama e il comfort di una residenza da milionari a gente che non ha redditi milionari”. Il verde senza lasciare la città con uno slogan: “Change made in city life”. 

      Era fissato con i muri di cinta, Charles Paterno. In America costruì castelli e mura di pietra, ingigantendo il modello del suo paesino lucano arrampicato sulle montagne. “Sono nato in un paese dove le case sembrano toccare il cielo e mi è rimasta dentro una certa voglia di infinito”. Grazie a una sottoscrizione tra immigrati italiani, nel 1927, nel campus della Columbia University, a mezz’ora da Harlem, nasce “Casa Italia”, destinata a essere il centro della cultura italiana a New York, e per costruirla mettono danaro anche i figli di muratori. Il marketing Charles ormai ce l’ha nel sangue: nessuno ricorderà il nome di un sottoscrittore e nemmeno quello di una ditta di costruzioni, ma chi dona una biblioteca sarà immortale. I ventimila volumi, tutti rilegati in pelle, che Paterno decide di donare, li fa scegliere agli esperti. Ma su tutti vuole impresso il suo ex libris, o bookplate come lo chiamano in America, con in alto la scritta “Charles V. Paterno. M. D.” (Charles Vincent Paterno medical doctor.) Ai quattro angoli: Leonardo Da Vinci, Michelangelo, Galilei e Verdi. E al centro un’Italia coronata d’alloro che guida Dante. Il poeta, con in mano un libro, indica un sole raggianteil re dell’edilizia di Manhattan intuisce che un ex libris può resistere al tempo più e meglio del cemento armato. Con la nascita di “Casa Italia” a New York non si parla più solo dei gangster italo-americani. Dal 1930 al 1940, il direttore sarà Giuseppe Prezzolini, l’anarchico conservatore che si stabilisce negli Stati Uniti nel ’29 e ci resterà fino al giugno del ’62. Sono gli anni del sindaco Fiorello La Guardia, un’epoca di riscatto per la comunità italiana. “L’America mi salva, mi chiama e mi rifà”, scrive Prezzolini. Somiglia a Paterno? Entrambi sono americani prima di arrivare in America. Diventano amici. “Ebbe il buonsenso di non farsi creare conte di Castelmezzano, come suo cognato, e non risulta fosse grande ufficiale, commendatore o cavaliere”. Ma la medaglia d’oro del re Vittorio Emanuele III, per il contributo dato alla diffusione della cultura italiana in America, ad appuntarla sul bavero della giacca di Paterno fu proprio Prezzolini.

di Cinzia Leone


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