“Partecipazione dei lavoratori? Sì, ma all’italiana. Smart working? Come la Spagna” (Aziendatop.it)

di Cinzia Ficco, del 17 Agosto 2023

Francesco Delzio

L’era del lavoro libero

Senza vincoli né barriere. Siamo pronti a questa rivoluzione?

Così il manager e imprenditore Francesco Delzio, autore di un libro (Rubbettino)


 

Compartecipazione dei dipendenti agli utili delle imprese, riorganizzazione aziendale, produttività, salario minimo: come cambierà il mondo del lavoro e, soprattutto, come si sta preparando il nostro Paese?

L’abbiamo chiesto a Francesco Delzio  manager, imprenditore, scrittore, che con Rubbettino ha pubblicato di recente un libro, intitolato L’era del lavoro libero. www.francescodelzio.it

Francesco, partiamo dall’attualità: nella cosiddetta era del lavoro libero, in cui i luoghi e gli spazi diventano modulari, “agili” – per citare Neil Perkin- c’è la possibilità di  rendere sempre più i lavoratori compartecipi degli utili aziendali?

Sicuramente sì. Ed è un’ottima notizia che finalmente, anche in Italia, stia conquistando consensi nella maggioranza di Governo e nel mondo sindacale l’idea di costruire un’economia della Partecipazione dei lavoratori, a partire dal legame tra retribuzioni dei lavoratori e risultati delle #imprese. Oggi è necessario infatti dare una risposta profonda sia alla perdita di potere d’acquisto dei salari, sia al grave disagio dei lavoratori italiani. Che solo per il 5 per cento si dichiara soddisfatto del proprio impiego. È il record negativo a livello internazionale. Attenzione, però.

A cosa?

Riproporre nel nostro Paese sic et simpliciter il modello tedesco non avrebbe senso. Sarebbe soltanto un modo per spaventare molti medi e piccoli imprenditori, agitando il fantasma dell’obbligo di ingresso dei sindacati nei Consigli d’Amministrazione.  Da anni sostengo, invece, l’opportunità e l’importanza di costruire una via italiana alla partecipazione. Ne “L’era del Lavoro Libero” propongo soluzioni innovative e concrete per adattare il modello partecipativo alle caratteristiche del sistema imprenditoriale italiano. Restituendo valore al lavoro.

E al dipendente che oggi, a differenza di quanto avveniva nel passato, si dimette più facilmente se si sente frustrato. La compartecipazione può bastare? E come ci stiamo attrezzando?

La rivoluzione del mondo del lavoro è già in corso. È una svolta epocale che parte dal basso, dai bisogni e dalle aspettative dei lavoratori. Nel Libro analizzo, dagli Stati Uniti all’Italia, fenomeni innovativi come la Great Resignation (o Big Quit), il Job Hopping, il Quiet Quitting, la nuova visione del lavoro della Generazione Z e di una parte dei Millennials: sono tutti segnali della formazione di un sistema di valori radicalmente diverso da quello delle generazioni precedenti, in cui il lavoro non è più il sovrano assoluto delle nostre vite. In questa nuova fase storica, “L’era del Lavoro Libero”, il lavoratore è tendenzialmente più libero. E i #talenti hanno sicuramente un maggior potere contrattuale rispetto alle imprese. Oggi al termine delle selezioni di lavoro sono spesso i giovani candidati e non più i selezionatori delle imprese a pronunciare la mitica frase Le farò sapere. D’altra parte, il lavoratore sarà tenuto sempre più a mettere in campo responsabilità, auto-imprenditorialità, attenzione ai risultati.

Come manager e imprenditori devono resettarsi?

Oggi imprenditori e management  scontano mediamente, in Italia  più che negli altri Paesi avanzati,  un notevole ritardo culturale rispetto  alle innovazioni organizzative del mondo del  lavoro. È quella che ne L’era del Lavoro Libero definisco la paranoia della produttività: l’idea che solo avendo il dipendente fisicamente  in ufficio sia possibile farlo lavorare, perché innovazioni tecnologiche e organizzative come Smart working e Home Working sono un ostacolo allo sviluppo della produttività. Peccato che esista ormai un’ampia letteratura internazionale che dimostra  esattamente l’opposto.

Certo, anche se forse bisognerebbe fare delle distinzioni . Forse non è applicabile in modo universale

Guardi, la corsa  al ritorno in ufficio nelle aziende  italiane, cui abbiamo  assistito nel corso dell’ultimo  anno, nasconde in realtà un profondo  deficit di cultura manageriale. E’ questo il vero problema da  affrontare oggi.

Smart working: come ti sembra la  legislazione italiana?

E’ una legislazione arretrata, che parte ancora dall’idea che  si tratti di un  fenomeno straordinario. Oggi siamo sostanzialmente tornati alla  normativa pre-pandemia. In  Europa il modello normativo più  interessante è quello vigente in Spagna.

Spesso domanda e offerta di lavoro non si incontrano: di chi è la colpa?

Sul banco degli imputati, rispetto  ad una questione  così  complessa  come il mismatch domanda-offerta  di lavoro, ci sono  molti presunti  colpevoli. I principali sono a mio avviso due: l’incapacità della gran parte del  sistema formativo  professionale e delle Università di  abbandonare la  turris eburnea del  sapere per  abbracciare il  saper fare e il saper attuare e l’evidente  inefficienza che questo  Governo ha  ereditato dai  precedenti del sistema pubblico di accesso al lavoro, a  partire dai Centri  per l’Impiego.

Cosa fare? 

Sarebbero  necessari un piano  straordinario di  contaminazione tra sistema formativo e  mondo delle  imprese, da realizzare territorio  per territorio, e una  strategia di coinvolgimento  profonda e continua delle Agenzie  Private per il Lavoro nel matching domanda- offerta sui profili professionali più  modesti, sui NEET e sugli inoccupati.

Produttività: sarà sempre l’obiettivo degli imprenditori. C’è un ma?

Sono convinto che  entro i prossimi  sette-dieci anni la produttività farà un  balzo in avanti,  grazie alla diffusione su larga scala delle macchine  intelligenti che  combinano Robotica e AI. In questo nuovo scenario, cambierà profondamente  il set  dei lavori  manuali e di quelli  intellettuali di base disponibili per gli umani e i metodi di controllo, che  saranno puntati sulla qualità molto più che sulla quantità, sui  risultati molto più  che sui  comportamenti.

Il Salario minimo è la giusta risposta al lavoro povero?

Ilsalario minimo può essere una  risposta utile per un  numero ridotto di  lavoratori, che il  CNEL ha calcolato  in 400mila persone  al massimo. E peraltro, una sua applicazione poco  accorta può  generare una gara  al ribasso della retribuzione prevista per una  serie di contratti.  E’ sbagliato quindi considerarlo salvifico e applicarlo a  discapito delle parti  sociali.