Una analisi originale sulle cause del fondamentalismo islamico tra orgoglio e frustrazione. Sulle tracce di una ipotesi illuminante avanzata sei secoli fa dallo storico arabo Ibn Khaldu.
Da Il Giornale del 23 marzo
Oriana Fallaci, certo. Ma l’autrice de La Rabbia e l’Orgoglio (2001) non fu la sola a denunciare i pericoli dell’espansionismo islamico, delle interpretazioni integraliste del Corano e dell’immigrazione di massa in Europa. È che certi libri trovano difficilmente spazio nel dibattito pubblico. Non se ne parla quanto si dovrebbe. Sarà perché infrangono i tabù dei benpensanti?
Giovanni Sartori ha affrontato i temi ora accennati in Pluralismo, multiculturalismo e estranei (Bur, 2000 e 2002). Secondo Sartori, il pluralismo è fondato sulla tolleranza e valorizza la diversità. C’è però una questione: «Fino a che punto la società pluralistica può accogliere senza disintegrarsi estranei che la rifiutano? E, per converso, come si fa ad integrare l’estraneo, l’immigrato di tutt’altra cultura, religione e etnia?». L’immigrazione, sostiene Sartori, è destinata a crescere. Come risolvere il problema dell’integrazione? Concedere la cittadinanza non è la strada giusta. Per essere cittadini bisogna riconoscere e accettare i pilastri della società in cui si viene accolti. Ma questo è molto difficile qualora l’immigrato appartenga a una cultura «fideistica o teocratica che non separa lo Stato civile dallo Stato religioso e che riassorbe il cittadino nel credente». L’islam non riconosce la separazione tra Stato e Chiesa, tra legge e religione. C’è il rischio concreto che molti immigrati musulmani non considerino desiderabile l’integrazione. Scrive Sartori: «La banale verità è, allora, che l’integrazione avviene tra integrabili e pertanto che la cittadinanza concessa a immigrati inintegrabili non porta a integrazione ma a disintegrazione».
Torniamo un po’ indietro. Nel 1996, Ida Magli pubblicò un libro-intervista a cura di Giordano Bruno Guerri: Per una rivoluzione italiana (Baldini & Castoldi). L’antropologa toccava il tema del declino europeo e italiano. Centrale era la questione dell’immigrazione e dell’integrazione dei musulmani. Un fattore disgregante per la nostra società già in crisi d’identità. La Magli è chiara: «È indispensabile una legislazione rigida per fare in modo che almeno non ne arrivino troppi. Ripeto: gli islamici sono una popolazione forte, con una religione forte, non possono in alcun modo essere integrati nel nostro contesto (come in nessun altro contesto: vedi l’esempio francese), anche se lo volessero, ma naturalmente non lo vogliono. L’integrazione è impossibile già al livello, che sarebbe indispensabile, delle leggi: perché il Corano è un codice sia civile sia religioso. Questo rende l’islamismo fortissimo e immodificabile, perché un testo sacro non lo si può manipolare secondo i bisogni. Questo significa anche che tutto quello che noi abbiamo così duramente conquistato nel corso della storia, ossia l’affermazione di un’etica scissa dal sacro, è incompatibile con la loro visione del mondo». Fino dal 1990, e quindi prima di Samuel P. Huntington, autore de Lo scontro delle civiltà, Luciano Pellicani aveva capito che la pacificazione del pianeta a opera della democrazia liberale, dopo la caduta del Muro, era già minacciata dal sorgere di nuovi fenomeni, uno in particolare: «Quello più vistoso è senz’altro il fondamentalismo islamico… Esso, infatti, si presenta come una dichiarazione di guerra all’intera civiltà occidentale, di cui rifiuta ogni istituzione e ogni valore, dalla democrazia rappresentativa al mercato, dalla libertà individuale alla laicità dello Stato». Nel corso degli anni, l’attenzione dello studioso non è venuta mai meno e i suoi saggi sono stati raccolti in Jihad: le radici (Rubbettino, 2015). Per capire la natura della sfida occorre capire il Corano al quale si richiamano i militanti della guerra santa: «Non si tratta solo di una guerra difensiva, bensì di una guerra offensiva, di una guerra imperialista, che cesserà solo quando la “religione della Verità” trionferà su tutto il pianeta Terra, poiché il suo fine ultimo è quello di costituire una sola comunità organizzata sotto un’autorità carismatica, unica interprete e custode esclusiva della Sharia». Non tutti avevano sottovalutato la situazione. Molti però hanno preferito non ascoltare.
di Alessandro Gnocchi
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