Se le cause dei declino meridionale sono nascoste in un’arancia

del 11 Febbraio 2013

Da CorrierEconomia  del 11 febbraio 2013

Retaggio arabo, l’introduzione degli agrumi nel Mediterraneo risale al X secolo; nel ‘700 inizia un proficuo commercio di agrumi verso il Nord Europa e gli Stati Uniti e, nel secolo successivo, i giardini diventano piantagioni razionali. Oggi la generale crisi dell’agroalimentare, «protesa verso la cronicizzazione», non risparmia l’agrumicoltura, amplificando i problemi strutturali del Mezzogiorno (scarsa capacità produttiva, controllo della criminalità organizzata, alto tasso di inattività, di disoccupazione e di lavoro nero). Eppure, prima delta comparsa sui mercato della Luisiana, della Florida e della California, nell’800 le esportazioni di arance calabresi e siciliane non fanno che crescere; alla fine del secolo scorso, prima dell’avvento della Nigeria, della Cina e dell’India, l’Italia è al quarto posto tra i paesi produttori di arance; nel 2010 non è più neanche tra i primi venti. Le cause del declino sono note: carenza di infrastrutture, internazionalizzazione difficile,

scarsa capacità d’impresa, parcellizzazione del tessuto imprenditoriale. Se le piccole imprese non hanno potere contrattuale rispetto alle multinazionali e alle grandi catene di distribuzione, non è però da sottovalutare «il ruolo distorsivo dello Stato, prima, e dell’Unione europea dopo, rispetto alle dinamiche del mercato». Si bada alla quantità a danno della qualità, privilegiando la produzione per la trasformazione industriale a scapito del mercato del fresco. Nel gennaio 2010 Rosarno, piccolo centro della piana di Gioia Tauro, diventa il teatro di uno scontro feroce tra i migranti stagionali, impiegati nella raccolta delle arance, e la popolazione locale. Si è parlato di razzismo, ma le cause vanno ricondotte, «in via principale, alla sfera economica». Nell’analisi di Fabio Mostaccio Rosarno rappresenta una «realtà idealtipica», quella di moltissime aree del Mezzogiorno «nelle quali l’essere collocate alla periferia dell’impero rende sempre più opachi i confini tra chi sfrutta e chi è sfruttato». Al di là della retorica, la «guerra delle arance» è davvero una guerra tra poveri: alla ricerca del massimo profitto per il proprio segmento della filiera, ciascuno sí muove «a scapito di tutti gli altri». Secondo un meccanismo perverso il piccolo imprenditore, per restare sul mercato, sottoscrive accordi commerciali sfavorevoli e si rivale sull’anello più debole del processo produttivo, il raccoglitore di arance. La società locale di Rosarno, «superato il momento critico della guerriglia urbana, si è autorganizzata nel tentativo di proporre delle nuove strade da seguire»: è soprattutto per questa reazione sana che l’affaire Rosarno va ricordato.

DI MONICA MATTIOLI

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