«Le donne come le api: se soffrono soffre il mondo» (corrieredellacalabria.it)

del 29 Ottobre 2018

Claudio Cavaliere, Bruno Gemelli, Romano Pitaro

L’ape furibonda

Undici donne di carattere in Calabria

Una delle più audaci fasciste d’Italia, la marchesa Maria Elia de Seta Pignatelli, scelse l’editore ebreo viennese Gustavo Brenner (sfuggito dopo l’Anschluss ad Hitler e finito, a seguito delle leggi razziali del 1938, nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia) per pubblicare – nel 1966 – il suo libro “Introduzione alla Calabria” (edizioni Casa del Libro – Cosenza): un’opera tra saggio e sogno, intrigante e corposa sulla Calabria del Novecento, in cui la marchesa propone la realizzazione di una città universitaria in Sila «per preparare i giovani alla vita della Nazione» e la trasformazione della famigerata (già allora!) “106” nella «più bella via archeologica del mondo con le sue antiche città greche e romane». E poi, dopo la marchesa toscana che scelse nel 1919 la Sila per «vivere pericolosamente», Giuditta Levato: che reclamava, sulla spinta dei decreti – Gullo, la terra per tutti, e, al contempo, una società meno carogna con i nullatenenti. Anzi, comunista. La contadina di Calabricata e la marchesa de Seta Pignatelli (seppellita a Sersale) hanno vissuto il loro Novecento, su fronti ideologici contrapposti, agendo in un’area pressoché comune oggi inclusa nella Riserva Valli Cupe (il suo direttore, Carmine Lupia, dopo aver detto che «le donne sono come le api, se soffrono soffre il mondo», ha proposto d’intitolare alle due donne dei precisi itinerari naturalistici); infatti la Riserva comprende la città di Sersale e lambisce, col monte Raga, il territorio di Sellia Marina sullo Ionio, dov’è lo storico villaggio di Calabricata in cui svetta il monumento alla contadina uccisa dal latifondo nel ’46.
Donne, però, pur diverse per idee e ceto sociale, ha detto il sindaco Salvatore Torchia «determinate ad andarsi a prendere dalla storia la loro parte di ragione e di torto. A rischio della vita. Noi questo oggi anzitutto apprezziamo: la carica ideale e l’esercizio di una cittadinanza attiva di cui furono protagoniste”. Rosetta Falbo, dirigente dell’Istituto d’Istruzione Superiore, insieme alle altre insegnanti, ha sfoggiato, nell’elegante auditorium di Porta del Parco di Sersale pieno in ogni posto a sedere (contiene 370 persone) la vivacità culturale dei suoi alunni che hanno partecipato con letture scelte, canti ispirati dal libro e quesiti ficcanti.
«Questo libro – ha detto a proposito dell’Ape furibonda di Claudio Cavaliere, Bruno Gemelli e Romano Pitaro (editore Rubbettino, prefazione di Susanna Camusso) presentato nell’ambito del progetto Libriamoci, la rassegna dedicata alla lettura nelle scuole di tutta Italia promossa dal Centro per il libro e la lettura e dal Ministero per i beni e le attività culturali (l’iniziativa di Porta del Parco è stata organizzata in collaborazione con il comune di Sersale, la Riserva Valli Cupe, l’associazione Gutenberg e Assoformac) – è l’occasione per parlare non solo di donne furibonde, ma anche dei diritti negati alle donne. La storia non si può leggere con obiettività, se non si include il punto di vista della donna». Preferenza dichiarata dalla dirigente scolastica tra le donne dell’Ape furibonda: la brigantessa Ciccilla, che per la sua intraprendenza terrorizzò l’Italia e di cui scrisse persino Alexander Dumas, l’autore del Conte di Montecristo: «Hanno fatto bene gli autori a ripescare dall’oblio le storie di queste undici donne, perché la Calabria senza memoria non può mettere in campo alcun progetto di autentico riscatto». Domande dei ragazzi sulla storia difficile e complessa della prima pentita di mafia: Serafina Russo di Alcamo, che accusò i boss in un processo che si tenne a Catanzaro. Ci sono differenze fra le pentite donne e i pentiti maschi? Forse che le donne sono mosse dall’istinto e i maschi da un ragionamento prettamente utilitaristico? E, poi, interesse hanno suscitato le irraggiungibili, per libertà di spirito e modernità, tre “corritrici” del glorioso “Giro delle Calabrie” Maria Teresa de Filippis, Anna Maria Peduzzi e Ada Pace raccontate da Bruno Gemelli. «E’ un libro da leggere nelle scuole soprattutto – ha detto il presidente del Progetto Gutenberg Dino Vitale – perché oggi le problematiche del nostro tempo difficile richiedono apprendimento serio e dibattiti informati. Giuditta Levato lottava in un’epoca (’43-’53) in cui i contadini pativano la fame più nera, quando i pochi latifondisti possedevano la maggior parte della terra spesso lasciata incolta, cosi come oggi un pugno di persone detiene la maggior parte della ricchezza e migliaia di giovani si vedono privare persino del diritto al futuro». Ha aggiunto Vitale: «I libri stimolano le idee, incalzano l’immaginazione, generano un’intelligenza creativa. I ragazzi devono capire che non bisogna essere appendici della tecnologia; al contrario, essa deve servire a sviluppare un ragionamento storico e scientifico. Non bisogna dimenticare che oltre alla macrostoria esistono infinite microstorie: sono quelle delle persone umili, sconosciute, spesso senza cultura, che si sono immolate per un ideale. Le storie del libro sono tasselli fondamentali della storia dell’uomo e rischierebbero di essere travolte dall’oblio del tempo, se non le trasmettessimo ai nostri allievi attraverso lo studio della storia applicata, attraverso una didattica viva, con la partecipazione piena di coloro che apprendono».
Francesca Prestia, «la cantastorie di cui la Calabria va fiera – è stato detto – apprezzata per le sue ballate che danno voce ai vinti che resistono e riserva molta attenzione alle donne che nel Mezzogiorno sfidano pregiudizi, ingiustizie e mafie», ha acceso l’entusiasmo dell’auditorium con tre ballate: una dedicata alle brigantesse, l’altra “Bella Giuditta” premiata al concorso nazionale “Giovanna Daffini” (Mantova), la terza ai migranti. Ha detto: «Sono d’accordo, la cultura deve servirci a restare umani. Purtroppo, in questo frangente si discute poco di Mediterraneo come spazio di opportunità anche economica per l’Italia e il nostro Sud. Lo sbaglio peggiore dell’Europa è arroccarsi, quasi rifiutando di vedere la moltitudine di persone che scappano dall’Africa immiserita dall’Occidente, quando occorrerebbe aprirsi alle diversità nel rispetto della Costituzione. In Italia, poi, si preferisce, ferendo la democrazia, sferrare attacchi all’unico sistema pubblico di accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati che funziona, i cosiddetti Sprar».

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