“Rottamare” non basta per riformare il sistema (Il Nostro tempo)

di Aldo Novellini, del 2 Dicembre 2013

da Il Nostro tempo (TO) del 1 Dicembre

Fra scissioni e “primarie” la crisi dei partiti incombe sulla democrazia. L’analisi in un libro di Giorgio Merlo

Giorgio Merlo è uno dei pochi uomini politici che crede ancora nella divulgazione delle idee attraverso libri ed articoli. Un metodo che un tempo era largamente diffuso e a cui oggi la classe dirigente è assai meno avvezza. D’altronde per scrivere libri bisogna anche avere delle idee e forse sono proprio queste a mancare.
Metodo a parte, veniamo adesso ai contenuti del suo ultimo scritto «Ricambio: bluff o qualità?» (editore Rubbettino) focalizzato sulla selezione della classe dirigente: questione decisiva poiché la qualità del personale politico si riflette anche sulla qualità della politica. Se ne è discusso alla presentazione del volume presso la fondazione Donat-Cattin, alla quale, oltre all’autore, hanno partecipato il vice presidente del Csm, Michele Vietti, l’assessore regionale al Lavoro, Claudia Porchietto, e l’ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino.
Che il nostro ceto politico sia per lo più inadeguato è chiaro a tutti. A volte manca persino un minimo di decenza, come mostra la vicenda dei rimborsi che sta mettendo a soqquadro il Consiglio regionale piemontese. Evidente dunque il problema dei meccanismi con cui viene scelta la classe dirigente e, a ben vedere, si comincia male già a livello nazionale con un’orribile legge elettorale. «In pratica», afferma Vietti, «la classe politica è scelta per cooptazione, e con le liste bloccate il potere passa dagli elettori ai capi partito. Sono infatti questi ultimi che compilano le liste e il cittadino è solo chiamato a ratificare quanto deciso a monte, nelle stanze del potere. Il problema è che, così facendo, il parlamentare finisce per rendere conto solo a chi lo mette in lista, perdendo qualsiasi legame con gli elettori. I partiti hanno tolto ai cittadini la facoltà di scegliere i propri rappresentanti. Un’aberrazione da correggere immediatamente, ma che fa molto comodo alle segreterie dei partiti e il paradosso è che ciò avviene proprio quando i partiti sono deboli ed impopolari come non mai».
«La forma classica di partito», rileva Chiamparino, «è in crisi un po’ ovunque e dappertutto la gente vuole scegliere direttamente le leadership pubbliche». E’ vero che questa crisi sussiste anche in altri Paesi, ma solo da noi ha portato alla scomparsa dei vecchi partiti e dei loro riferimenti ideologici. In Germania da decenni si confrontano Cdu e Spd, così come in Francia gollisti e socialisti e in Gran Bretagna, laburisti e conservatori. A casa nostra invece negli ultimi due decenni si è assistito alla nascita di formazioni con sigle fantasiose, addirittura prive della denominazione “partito” (come se di quel termine ci si dovesse vergognare) con connotazioni personalistiche tali che si è giunti ad inserire il nome del leader nel simbolo elettorale. Cose impensabili nella Prima repubblica ove a nessuno sarebbe maí venuto in mente di mettere il proprio nome dentro lo scudo crociato o la falce e martello.
Chiamparino parla di americanizzazione della politica, poiché i nostri partiti «stanno sempre più trasformandosi in comitati elettorali permanenti, come i democratici e i repubblicani negli Stati Uniti. D’altra parte i cittadini desiderano sempre più forme di democrazia diretta senza doversi confrontare con l’ingombrante sovrastruttura partitica». Ecco allora le “primarie”, importate da oltre Oceano e ritenute, un po’ superficialmente, il toccasana della politica e l’ottimale dispositivo di selezione dei candidati. Il principio delle “primarie” è condivisibile, ma poi bisogna vedere anche come vengono individuate, a monte, le candidature sottoposte ai cittadini. E allora si scopre che senza la mediazione dei partiti organizzati, anche come sede di dibattito, si rischia di dare spazio all’improvvisazione o magari a quei candidati che dispongono di maggiori risorse economiche. In realtà, due sistemi in antitesi come le liste bloccate e le “primarie” sono, a ben vedere, due facce della stessa medaglia: l’indebolimento del partito tradizionale e della stessa democrazia rappresentativa. Meglio sarebbe, e Merlo invita proprio a riflettere su questo, riproporre in veste rinnovata i partiti tradizionali poiché, nonostante tutto, sono ancora il sistema più idoneo per selezionare la classe dirigente. Sui partiti si potrebbe ripetere, in analogia a quello che disse Churchill sulla democrazia, che sono il «peggior sistema, eccettuati tutti gli altri». Si parla spesso di ripristinare il primato della politica, ma come parlo in concreto se non si torna a valorizzare i partiti come canali di partecipazione popolare? In assenza di partiti, aperti a tutti, in cui tutti possono concorrere democraticamente alla vita del Paese, a dominare sono i circoli chiusi e le confraternite esclusive. Un bel passo indietro per la nostra democrazia, col rischio, come sottolinea l’assessore Porchietto, che a governare siano sempre più i tecnici e sempre meno la politica.
Per un’adeguata scelta della classe dirigente sono dunque necessari i partiti «per collegare», sostiene Vietti, «come un ponte, la società alle istituzioni, traghettandovi idee, programmi e priorità». Ma di quale forma partitica si sta parlando? Non certo di quella leaderistica in auge oggi: formazioni plebiscitarie con poca democrazia interna e in perenne ascolto dei sondaggi. Decisamente la strada da intraprendere non è questa; occorre valorizzare la militanza, la rappresentanza degli interessi sociali, il radicamento territoriale e una ricca elaborazione politica e culturale.
Il mondo cattolico proprio su questo terreno ha qualcosa da dire. Se infatti vi è un’area che ha più da perdere quando la politica si incammina sulla via plebiscitaria è proprio quella cattolica. Nulla è più estraneo alla cultura dei cattolici dell’«uomo solo al comando». Così come non le appartiene una logica in cui al confronto, anche aspro, si sostituisce una permanente radicalizzazione. Nessuna rottamazione dunque (perchè si rottamano le cose e non le persone) ed anche nessun dogmatismo delle regole, tra primarie o altri mille artifici organizzativi, perchè non va mai dimenticato che i partiti sono degli strumenti e non il fine della politica che, invece, resta sempre la ricerca del bene comune.

di Aldo Novellini

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