La rivincita del pop e del rock: non solo musica ribelle (La Repubblica)

di Alfredo D'Agnese, del 4 Novembre 2013

Da La Repubblica del 2 novembre

A sessant’anni dalla sua nascita, la musica giovanile è un territorio ancora tutto da decifrare. Il rock e i suoi dintorni sono stati per anni una sorta di Far West caotico e ribollente. Bollata come cultura bassa per decenni, la musica extracolta è entrata da qualche stagione nelle agende accademiche e sugli scaffali degli intellettuali. Il pensiero dominante in materia ha indicato una strada e le riflessioni fino a oggi sono state quasi asenso unico. Va salutato così, con interesse, “Innocenti Evasioni – Uso e abuso politico della Musica Pop 1954- 1980” di Eugenio Capozzi. Un libro fazioso, schierato, controcorrente – e quindi necessario – che racconta da un’altra prospettiva la cultura del secondo ‘900. Capozzi agita come un grimaldello teorico le sue tesi: il pop è legato alla visione edonistica della vita legata alle società dei consumi post-belliche e veicola ogni tipo di messaggio. L’ obiettivo principale è smantellare due tesi sostenute dalla pubblicistica europea. La prima vuole che il rock (o pop) sia uguale a sovversione.
Per lo storico è una truffa svendere il rock come movimento e opposizione al sistema, musica della ribellione, dell’autenticità e della spontaneità creativa giovanile. La seconda mira all’idea di canzone (italiana) impegnata contrapposta a una musica leggera e senza qualità: è sbagliato guardare al cantautore – schierato politicamente- come vate e maître à penser dei nostri giorni. Capozzi rilegge 35 anni della nostra storia recente: nel suo mirino finiscono tesi considerate acclarate (il rock’n’roll come fenomeno di rottura) e «il mito di individui resistenti all’ omologazione culturale». Nella sua de-costruzione culturale anche Napoli gioca un ruolo importante. Alcune delle più convincenti pagine del pamphlet sono dedicate al ruolo svolto da cantautori come Edoardo Bennato e Pino Daniele, dagli Showmen di Mario Musella (nella foto sopra), da Napoli Centrale, dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, dai fratelli Sorrenti, dagli Osanna e da molti altri ancora. Capozzi dedica il paragrafo conclusivo del volume al ribellismo plebeo del Naples Power. È una ricostruzione che mette insieme le contraddizioni sociali degli anni ’70 ed elementi di dialettica ideologica. La tesi finale -forte e spiazzante – è che “Napule è” sia diventata lo specchio di una nuova oleografia napoletana, «mito dell’autenticità del sentimento popolare in musica, successivamente riprodotto da legioni di imitatori blues-melodico-vittimisti».
Edoardo Bennato, invece, finisce nel capitolo dei”canta-predicatori”, primo ad adottare – secondo Capozzi – il rock’n’roll come scelta conflittuale «verso il contesto culturale in cui era cresciuto». Le sue prediche riconducono aunanarchismo emotivo. Il suo messaggio nei primi anni ’70 è «antinazionalista, antimilitarista e anticlericale», quello di un intellettuale non organico. Una visione altra che – condivisibile o meno – spezza il pensiero unico degli ultimi vent’anni, contribuisce ad allargare il ventaglio di letture e ipotesi intorno al suono in cui viviamo e, ne siamo certi, farà discutere a lungo.

di Alfredo D’Agnese

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