Una riflessione sui valori politici, e il libro di Alessandro Orsini scatena dure reazioni (Latina Oggi)

di Alessandro Orsini, del 4 Luglio 2012

Da Latina Oggi – 4 luglio 2012
Gramsci e Turati. Le due sinistre
I giovani si impegnano in politica perché hanno sogni e ideali; perché cercano punti di riferimento identitari; perché hanno voglia di sentirsi parte di una comunità che è anche un involucro protettivo contro gli urti della vita e le angosce esistenziali. Eliminati i sogni e gli ideali, i giovani vedono la politica come un groviglio di interessi in cui la lotta per il potere spegne ogni entusiasmo.

Quando l’interesse fagocita la passione, i giovani fuggono dalla politica che viene privata di una risorsa futura indispensabile. La pubblicazione del mio ultimo libro (Gramsci e Turati. Le due sinistre, Rubbettino) propone una riflessione sui valori politici della sinistra. Un tema molto sentito, come dimostra il dibattito accesissimo che si è sviluppato sui principali quotidiani nazionali.

Ormai da mesi, studiosi e lettori comuni non smettono di dibattere sulla comparazione tra le due anime principali della sinistra, quella rivoluzionaria, rappresentata da Gramsci, e quella riformista, rappresentata da Turati. Roberto Saviano, nel recensire il mio libro su la Repubblica (28 febbraio, 2012) coglieva il problema di fondo: che cosa significa essere di sinistra? Una domanda che ha scatenato reazioni furibonde. Perché? In un Paese in cui la Sinistra dominante è sempre stata quella comunista, il confronto tra la figura pedagogica di Gramsci e quella di Turati non poteva non essere deflagrante. Il crollo del comunismo e l’acquisizione da parte degli storici di una documentazione imponente, a lungo nascosta negli archivi del KGB, hanno rivelato gli orrori di un tipo di società – quella sovietica – in cui Gramsci e il Pci avevano creduto fermamente.

Milioni di uomini orrendamente massacrati e sottoposti alle più orribili torture; giganteschi campi di lavoro in cui gli oppositori politici erano ridotti in schiavitù e trattati come bestie; la negazione di ogni libertà schiacciata da uno Stato onnipotente; una povertà spaventosa che contrastava con l’opulenza sfacciata dei membri del partito comunista sovietico: questa era la società che Gramsci e Togliatti avevano idealizzato e che Turati considerava un orrore assoluto. Il crollo della Prima Repubblica e la disintegrazione del partito socialista creò una situazione culturalmente paradossale: gli eredi di Gramsci, che erano i veri sconfitti della storia, riuscirono a egemonizzare la sinistra italiana politicamente e culturalmente. Il Pci cambiò il nome in Pds conservando il simbolo del comunismo storico e la vecchia nomenclatura.

Nello stesso tempo, gli eredi di Turati, che erano i veri vincitori della storia, uscirono di scena completamente distrutti. Grazie a una campagna di veemente denigrazione contro il Psi, gli ex-comunisti del Pds riuscirono a evitare il confronto con la fede che a lungo avevano riposto nel comunismo sovietico, spostando tutte le attenzioni verso il “nemico esterno” che fu identificato prima nel partito di Bettino Craxi e poi in Silvio Berlusconi.

Essere stati comunisti divenne la più nobile delle appartenenze; essere stati socialisti la più spregevole e ignobile. Tuttavia, gli ex-comunisti ambivano a occupare lo spazio politico lasciato libero dal Psi che essi stessi avevano a lungo descritto come una spazio politico sudicio e nauseabondo.

Ebbe così inizio la storia di un cortocircuito politico-ideologico da cui nacque il partito dei Democratici di Sinistra che, nella sua componente maggioritaria, rimaneva

legato alla cultura politica di Antonio Gramsci e di Palmiro Togliatti, ma che, nello stesso tempo, si proponeva di continuare l’azione politica di Filippo Turati e di Bettino Craxi. I Democratici di Sinistra guardavano al futuro, ma i loro riferimenti culturali e educativi non avevano quasi più niente da dire ai giovani. Finché fu libero di esprimersi, Gramsci celebrava il terrore bolscevico e la sua violenza brutale e sanguinaria. Educava i giovani militanti di partito a chiamare “porci” e “stracci mestruati” gli avversari politici, affermando che il vero comunista è tenuto a utilizzare la “parolaccia” nel dibattito politico e intellettuale (tali insulti non erano rivolti ai fascisti, come qualcuno ha scritto, bensì ai giornalisti moderati e agli accademici dei Lincei, come Achille Loria). Anche nei Quaderni del carcere, Gramsci continuò a credere nella dittatura del partito unico – che giunse a “divinizzare” – e nell’ eliminazione della classe borghese. Provava orrore per la libera concorrenza, per il capitalismo, per la libera iniziativa, per la proprietà privata e per ogni forma di individualismo. Disprezzava Turati e i riformisti che definiva “semifascisti”, e venerava Marx e Lenin che, nei Quaderni, paragonò addirittura a Gesù Cristo e a San Paolo. Turati intraprese una durissima battaglia educativa contro la pedagogia dell’ intolleranza di Gramsci per affermare che il socialismo si basava sul rifiuto radicale di ogni forma di violenza e di insulto nei confronti degli avversari.

Gramsci e Turati furono nemici irriducibili, sotto tutti i punti di vista. Eppure, Piero Fassino non ha esitato a metterli insieme tra i padri nobili dei Democratici di Sinistra durante il suo discorso congressuale tenuto a Roma il 5 febbraio 2005.

Questo enorme cortocircuito politico- ideologico, per cui abbiamo una sinistra che, nella sua componente maggioritaria, ama Gramsci, ma segue Turati, è, a mio giudizio, una delle cause dell’ allontanamento di molti giovani dalla politica di sinistra. I giovani cercano valori in cui credere. Vogliono riferimenti chiari e chiedono coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa. Ma la sinistra italiana, dopo la nascita del Partito democratico, è precipitata in una confusione identitaria e culturale che non ha precedenti nella sua storia. Che cosa significa essere di sinistra?

Di Alessandro Orsini

Altre Rassegne