Il lato oscuro del nostro calcio (Il Calciatore)

del 24 Luglio 2012

Da Il Calciatore – 7/2012
Che fare? Che dire? Nel mese di giugno del 20 Il ero fresco presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, il sindacato che dal 1968 rappresenta i calciatori italiani. La Procura di Cremona il primo di giugno aveva fatto scattare gli arresti. La stortura dei fatti di cronaca era evidente fin da subito. Manette ai polsi per bloccare le mani di chi con i piedi aveva fatto una fortuna.

Che fare e che dire? In quel periodo eravamo impegnati in un corso formativo post carriera. Ex calciatori professionisti alla ricerca di un futuro fuori dal rettangolo verde. Tra loro due ragazzi coinvolti direttamente nello scandalo scommesse e allora ho pensato a Pierpaolo Romani. Obbiettivo era raccontare a questi ragazzi cosa ci sia dietro il mondo delle scommesse sportive, il perché le mafie siano da sempre attratte dal calcio e i pericoli che si corrono quando si entra in quel vortice. Da quel giorno Pierpaolo è diventato un compagno di viaggio. La sua esperienza ci aiuta ad informare, a togliere l’alibi del “non sapevo” e “non immaginavo”, ad aumentare il livello di guardia su quanti si dicono “amici”, a diffidare dei soldi facili.

I fatti raccontati in questo libro sono tanti campanelli d’allarme, tanti segnali che il Calcio ed il crimine vanno spesso a braccetto.

E allora che fare? Che dire? Il calcio non è criminale, come la nebbia non è killer o l’autostrada non è assassina. Il calcio è anche criminale e il fatto di mettere questa faccia della medaglia sotto una lente d’ingrandimento ci deve rendere consapevoli di quanto preziosa sia l’altra faccia della medaglia. Il calcio che è passione sportiva, gioco per eterni bambini che non possono e non devono farsi sfuggire di mano quel magico pallone che deve continuare ad essere scuola di valori, emozioni e gioia. Non è per nulla facile perché dove c’è business c’è avidità, dove c’è avidità c’è malaffare, dove c’è malaffare non c’è spazio per la passione.

Che fare? Che dire? Riprendiamoci il nostro spazio e non diciamo che è tutto marcio, tutto da rifare!

Di Damiano Tommasi, dalla prefazione del libro “Calcio criminale”

 

Le mafie sono scese in campo

Il calcio ha il potere di fermare un paese e di distrarlo dai suoi problemi. Al contrario, non succede mai che un paese si fermi a riflettere seriamente su quello che accade nel mondo del calcio. Se lo fa, come avvenuto di recente in Italia, è quando scoppiano grossi scandali – Calciopoli o la più recente Scommessopoli – o accadono terribili tragedie dentro e fuori gli stadi – per esempio, la morte del giovane calciatore Piermario Morosini o quella dell’ispettore di Polizia Filippo Raciti, a Catania il 2 febbraio 2007, al termine del derby con il Palermo – o si verificano situazioni che la gente considera impensabili o scandalose, come lo sciopero dei calciatori di serie A alla prima giornata di campionato 2011/2012.

Dibattiti televisivi, prime pagine dei quotidiani, trasmissioni radiofoniche, forum su Internet. Per alcuni giorni non si parla d’altro. Poi, tutto ritorna come prima. Silenzio: the show must go on. La palla deve continuare a girare nel rettangolo verde, contesa tra i ventidue uomini che si sfidano in campo (…)

Il calcio è un fenomeno di massa a livello planetario e mettere le mani su di esso significa incidere sulla cultura, sulla politica e sull’economia di un paese. Per renderci conto di cosa muove il mondo del football basti pensare che, secondo il Big Count Study della Fifa – l’organizzazione internazionale che governa il calcio – nel 2006 giocavano attivamente a pallone 265 milioni di persone, vale a dire il 4% della popolazione mondiale, ossia un abitante della Terra ogni venticinque. Il pallone è lo sport nazionale per eccellenza degli italiani. I dati del ReportCalcio 2011, ci dicono che il 70% della popolazione nazionale tra i 15 e i 69 anni – vale a dire oltre trenta milioni di persone – è interessato, a vario titolo, al mondo del football. Cifre ben lontane da quelle della prima storica partita di calcio, che in Italia si è disputata il 6 gennaio 1898, a Ponte Carrega tra il Genoa e l’International di Torino, un match a cui hanno assistito 190 spettatori e che fruttò agli organizzatori 101,45 lire, come ricorda Gianni Brera nel suo libro Storia critica del calcio italiano.

Attirare l’attenzione di più della metà della popolazione del nostro Paese significa che il calcio contribuisce a costruire e a rappresentare una parte importante della nostra società, è un potente strumento di aggregazione e di integrazione sociale, di costruzione del senso di appartenenza e di identità ad un territorio e ad una nazione. È uno strumento che dà riconoscibilità e prestigio sociale. Questo non lo hanno capito solo i marketing manager, gli imprenditori e i politici. Ma anche i mafiosi.

I boss, infatti, hanno deciso di investire una parte delle loro ingenti risorse finanziarie nel mondo del calcio – e in una serie di attività che vi ruotano intorno – coscienti che la palla rotonda è uno strumento fondamentale per acquisire e controllare il consenso sociale, per controllare il territorio, per riciclare denaro sporco, per instaurare relazioni con il mondo che conta: quello della politica, delle istituzioni e degli affari (…)

I boss hanno compreso che grazie al calcio è possibile coltivare e controllare il consenso sociale «elemento fondamentale del Dna mafioso» come ha affermato in una recente intervista Michele Prestipino, Procuratore aggiunto di Reggio Calabria. Una risorsa di cui essi hanno un bisogno assoluto, come i pesci dell’acqua, per garantirsi connivenze, collusioni, complicità, omertà. Per fare affari con più facilità, senza ricorrere alla violenza che, se usata in dosi massicce, provoca allarme sociale e, quindi, l’intervento delle forze dell’ordine e della magistratura.

“Meno pallottole e più pallone” per i mafiosi significa ridurre i rischi di arresto, di sequestro e confisca di beni e, di conseguenza, rafforzamento del proprio potere e della propria impunità. In un’intercettazione del 2005, riportata nel libro Il Contagio, curato dal giornalista Gaetano Savatteri, il boss siciliano Nino Rotolo parlando con un suo sodale ha affermato: «Tu non devi essere, come dire, temuto, tu devi essere voluto bene, che è diverso!».

Il pallone, da questo punto di vista, può essere considerato la porta di ingresso delle mafie nella società. È il calcio delle serie minori – Lega Pro, serie D, eccellenza, campionati dilettanti – quello lontano dai riflettori e dalla ribalta mediatica, quello più direttamente legato al territorio, quello nel quale gli stipendi sono incommensurabilmente più bassi rispetto alla serie A e non sempre vengono pagati o lo sono con molto ritardo e in nero, quello sul quale le mafie hanno deciso di puntare in via prioritaria.

 

Calcio criminale

(…) Che il rapporto tra il mondo del calcio e quello delle mafie sia una questione seria ed attuale con cui misurarsi urgentemente. lo attestano una serie di inchieste giudiziarie che sono state svolte, o sono in corso. a partire dalla metà degli anni duemila in Sicilia, Campania, Calabria, Basilicata, Puglia, Lazio e Liguria.

Dal lavoro giudiziario sin qui svolto. emerge che il problema dell’infiltrazione mafiosa nel mondo del pallone è presente prevalentemente nel Mezzogiorno e, in particolare. come abbiamo già affermato. nel calcio dilettantistico e di Lega Pro, quella che un tempo era la “Serie C”. La serie A e B, tuttavia, non possono cullarsi sugli allori e pensare. erroneamente, che la problematica non possa riguardarle. soprattutto dopo quanto sta emergendo con l’inchiesta Last Bet della Procura di Cremona e con quelle delle Procure di Napoli e di Bari (…)

Controllo delle scuole calcio e dei vivai delle squadre, estorsioni mascherate da sponsorizzazioni, minacce a giocatori, allenatori e dirigenti. utilizzo delle tifoserie per scopi poco nobili, bagarinaggio, controllo dei parcheggi, dei bar. della sicurezza e di altri servizi che gravitano attorno agli stadi, vendita di magliette e di gadget contraffatti, frequentazione di calciatori famosi, presenza agli alienamenti e alle trasferte della squadra, dediche di vittorie a boss arrestati e momenti di silenzio allo stadio in onore di quelli defunti, ricerca di inserimento negli appalti per la costruzione di nuovi stadi con annessi centri commerciali, partite truccate e gestione delle scommesse lecite e illecite per riciclare denaro sporco. sono tra le principali azioni messe in campo – è proprio il caso di dirlo – da un sistema che potremmo definire Calcio criminale.

Un sistema composto da mafiosi, faccendieri e sportivi disonesti, che hanno continui contatti e scambi con quella che è stata definita “borghesia mafiosa”, composta da imprenditori, professionisti, giornalisti, politici. Amministratori locali che, pur non facendo parte di alcuna organizzazione criminale, in quanto non sono ritualmente affiliati, ed avendo sovente la fedina penale pulita – il che li rende insospettabili – si mettono a disposizione delle mafie, fornendo loro una serie di servizi e di competenze, per ottenerne in cambio precisi vantaggi, a partire da quelli di tipo economico (…)

«II calcio ha un ritorno di immagine incredibile e fatto a livello aziendale porta posti di lavoro e guadagni insperati». Sono le parole di due ‘ndraghetisti arrestati in Calabria alla fine degli anni novanta.

 

Di Pierpaolo Romani

Altre Rassegne