LA RECENSIONE. Fausto Gullo, un comunista. Di Giuseppe Pierino (Rubbettino) (zoomsud.it)

di Filippo Veltri, del 27 Febbraio 2021

Giuseppe Pierino

Privato: Fausto Gullo

Un comunista nella storia d'Italia

Fausto Gullo appare oggi una figura pressoché sconosciuta. Ignoto ai giovani e obliato dalle generazioni più adulte è la dolente metafora di una Calabria colta, garbata, ma velata anch’essa dal pregiudizio e negletta. A lui è dedicato un ponderoso volume al quale ha lavorato per anni Giuseppe Pierino, che nella vita ha fatto il politico di professione in quello che è stato il PCI e che poi negli ultimi anni ha trasformato invece in una incredibile ricerca che ha condotto al libro edito oggi da Rubbettino (‘’Fausto Gullo- Un comunista nella storia d’Italia’’ – Euro 24), nelle librerie a partire dalla prossima settimana.

 

Pierino ha fatto bene perché storia e memoria in questa nostra meravigliosa terra si perdono, sbiadiscono, finiscono nel dimenticatoio.

 

  Eppure Fausto Gullo, il ministro dei contadini, nella catastrofe della guerra è stato tra i costruttori dello Stato Nuovo e della rinascita nazionale. Il suo ritratto inghirlandava le povere case contadine tra le fotografie dei parenti e immaginette sacre ed amato come nessuno ed ha in quel tempo goduto d’una immensa popolarità. Ma la memoria s’appanna, svanisce e, al disinganno, sovvengono i celebri versi: “Ahi! sugli estinti / non sorge fiore ove non sia d’umane / lodi onorato e d’amoroso pianto”. Ed ancorché ammirato nel clima della guerra fredda non fu più riconosciuto in tutto il suo valore.

Scrisse di lui Ferruccio Parri: “Leggevo con interesse studi e articoli suoi recenti, deplorando che la sua intatta capacità di intelligenza e perspicacia non trovasse fruttuose applicazioni. Nella memoria delle mie amicizie conservo per Fausto Gullo l’omaggio più affettuoso”. E aspetti della sua personalità e del suo agire politico caddero in ombra, soverchiati dalla sua opera incisiva di ministro dei contadini, presto dissolta nella convulsa trasformazione del Paese. Il muro di Berlino sommerse poi ogni cosa ed oscurò anche chi, come lui, non c’era più ma, forse, in tempo aveva intravisto l’errore.

  La sua formazione intellettuale e politica; la sua sensibilità sociale, meridionalistica e democratica non avrebbero tuttavia lasciato una traccia tanto significativa se, nella disfatta, non avesse incontrato Togliatti e, dileguata la diffidenza per l’antico sodalizio con Bordiga, non avesse svolto assieme a lui il ruolo “risolutivo” che, con la svolta di Salerno, lo proiettò in una dimensione d’eccezionale rilievo. Una storia mai raccontata, dispersa infine nell’emarginazione che, morto Togliatti, l’apparato gli inflisse senza che lui, signore della parola, replicasse all’accusa grottesca d’essere un notabile che tarpava le ali al partito. In verità lo scotto per la sua libertà di giudizio e l’irriducibile dissenso su questione cattolica e rapporto con la DC, non estranei alla fine del PCI.

  Pierino ci restituisce tutto questo in un libro che non dovrebbe mancare nelle case dei calabresi, comunque la pensiate, perché magari un domani qualcuno si sveglierà dal torpore e vi e ci chiederà: ma noi chi siamo davvero stati? Davvero solo malaffare e malapolitica?

 

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