La Chiesa cattolica, il potere e l’esodo delle donne (Rocca)

di Carlo Molari, del 5 Luglio 2012

Da Rocca – 1 luglio 2012
L’intreccio di riflessioni che propongo è stato avviato il giorno di Pentecoste durante una visita al Santuario del Divin Amore alla periferia di Roma dove si venera una icona di Maria resa popolare durante l’ultima guerra dalla inventiva devozione di Mons. Umberto Terenzi che ha coinvolto il Papa Pio XII e ha ridato vita ai tradizionali pellegrinaggi della notte di Pentecoste.

Lo stimolo concreto è stato molto secondario: la scritta Ave Mary tracciata in modo chiaro all’inizio di un sentiero che dallo spiazzo del parcheggio conduce al nuovo santuario. Ho pensato sul momento fosse un saluto a Maria scritto da qualche devoto/a. Poi i pensieri si sono intrecciati. Quelle due parole scritte con precisione in corsivo mi hanno portato lontano. Al libro di Michela Murgia (Ave Mary. E la chiesa inventò la donna, Einaudi 2011), che l’anno scorso aveva avuto recensioni positive, e al secondo capitolo del recente libro di Armando Matteo (La Fuga delle quarantenni. Il difficile rapporto delle donne con la chiesa, Rubbettino 2012) che nel secondo capitolo (Perché le quarantenni non vengono in Chiesa, pp. 33- 53) inizia la riflessione con un dettagliato richiamo al libro della Murgia (Tutta colpa di Mary, pp. 3337). Egli lo giudica «un testo vigoroso, teso, nitido» (p. 33) e nel suo titolo Ave Mary crede di poter leggere non solo un saluto, ma forse anche «un congedo».

Armando Matteo è lo stesso sacerdote che ha scritto La prima generazione incredula (Il difficile rapporto tra giovani e fede, Rubbettino 2010), partendo dalle proprie esperienze in Fuci e in genere nella pastorale universitaria. Dagli adolescenti e dai giovani rivolge ora l’attenzione alle donne e in particolare alle quarantenni: a differenza dell’ultima generazione sono state educate alla fede, ma ora sono insensibili ai richiami della Chiesa e la relazione sembra silenziosamente interrotta.

Michela Murgia (nata nel 1972 esattamente quarant’anni or sono) è stata catechista e ha studiato teologia. Ella però ha preso coscienza delle incongruenze della posizione della donna nella chiesa e con la sua critica ha offerto indicazioni per analizzare le ragioni dell’attuale disagio, non solo suo ma delle sue coetanee e di tutte le donne. «Da cristiana dentro la Chiesa avevo patito spesso rappresentazioni limitate e fuorvianti di me come donna, il più delle volte contrabbandate attraverso altrettante povere interpretazioni della complessa figura di Maria di Nazareth. Ho sofferto quando le ho riconosciute nel magistero dei papi, ma ancora più quando le ho viste passare sotto traccia nella pastorale comune» (Ave Mary o. c., p. 7). In filigrana dell’avventura di Maria come viene narrata ancora nella Chiesa la Murgia legge la propria storia e quella delle donne «con la consapevolezza che da questa storia falsa non ne esce nessuno se non ci decidiamo a uscirne insieme» (ib., p. 8).

 

Ambiguità nell’esaltazione della donna

L’enciclica di Giovanni Paolo II Mulieris dignitatem (15 agosto 1988 Dignità e vocazione della donna) era stata salutata come una svolta del Magistero cattolico. Armando Matteo osserva: «si deve riconoscere a questo documento la portata innovativa che oggettivamente possiede nell’indicare i punti di non ritorno dell’insegnamento ufficiale della Chiesa sulla donna. Il punto di maggiore forza della Lettera sta proprio nello sviluppo del primo capitolo (Donna-Madre di Dio), dove Giovanni Paolo II riflette sul ruolo centrale svolto da Maria nell’opera di salvezza realizzata da Gesù. Nel suo ‘sì’ alla maternità, ‘Maria raggiunge così un’unione con Dio tale da superare tutte le attese dello spirito umano’» (La fuga delle quarantenni, o. c., p. 48).

Ma a giudizio della Murgia l’enciclica Mulieris dignitatem ha ratificato un modello molto ambiguo: quello del duplice principio mariano-petrino nella Chiesa, proposto dal noto teologo Hans Urs von Balthasar nel libro Il complesso antiromano (Come integrare il Papato nella Chiesa universale, Queriniana 1974). Così la Murgia riassume l’argomento del teologo svizzero: «Al principio maschile spetta il potere e l’amministrazione delle cose ecclesiali, a quello femminile la custodia e la cura delle cose intime. Per spiegare l’essenza del principio mariano, von Balthasar si serve della stessa similitudine che vent’anni dopo avrebbe pronunciato Madre Teresa di Calcutta: «L’elemento mariano governa nascostamente la Chiesa, come la donna nel focolare domestico» (p. 73). Spiega in dettaglio la Murgia: «La necessità del governo papale sulla Chiesa universale va fondata per von Balthasar sulla necessità di una gerarchia tra il maschile e il femminile, il visibile e l’invisibile della Chiesa, rappresentata dalle figure di Pietro e Maria. L’espediente di coesistenza di un «governo ombra» di matrice mariana contrapposto al governo effettivo di stampo petrino, secondo von Balthasar avrebbe dovuto convincere le altre chiese della fondatezza teologica di un sistema allo stesso tempo gerarchico e collegiale. Von Balthasar approntò però di fatto nuove basi simboliche al ruolo che nella chiesa da sempre si pretende di attribuire alle donne: vocazione speciale di nascoste governanti, silenti detentrici di un potere muto che rappresenta però il perno su cui si fonda il potere dotato di voce e che determina un intero sistema familiare, sociale ed ecclesiale saldamente patriarcale» (pp. 73-74). La Murgia conclude «Che il silenzio/assenso femminile sia la condizione fondamentale perché quel modello di mondo continui a reggersi non c’è il minimo dubbio, ma che questo silenzio sia la natura immutabile della donna è invece tutto da dimostrare» (p. 74).

Dopo aver illustrato la posizione reale di Maria come risulta dalla Scrittura e l’immagine di Dio che il Vangelo propone ella conclude: «Con un simile padre non c’è da stupirsi se Cristo per tutta la sua vita pubblica ha usato alle donne un’attenzione altrettanto anticonformista rispetto al contesto in cui è vissuto. Non c’è niente come la Scrittura per rivelarci quanto sia falsa l’idea di Maria che vogliono darci a bere come docile e mansueta, stampino perfetto di tutte le donnine per bene» (p. 118). In conseguenza la struttura ecclesiale come è si è andata configurando lungo i secoli in modo ambiguo. Legittima perciò la conclusione: «Finché il divino paterno continuerà ad essere associato all’autorità, alla dottrina, al vigore e alla giustizia, e il divino materno alla cura, all’accoglienza e al sacrificio, la questione del Dio Madre rischia addirittura di risultare utile a giustificare lo stato di emarginazione femminile, fuori e dentro la chiesa» (p. 137). Armando Matteo legge la riflessione della Murgia nel senso che: «bisogna dare un saluto di congedo a Maria, in quanto il nodo problematico del rapporto tra donna e Chiesa… si collocherebbe esattamente in una infelice commistione tra un pensiero maschilista da sempre dominante nella cultura occidentale e una presentazione del culto e della devozione rivolte a Maria, che porta per dritto a una invenzione della donna. A quel tipo di donna che trarrebbe la sua verità dal suo essere a servizio di, dal suo puro e disinteressato porsi alle cure dell’altro. Avremmo quindi una donna senza consistenza in sé, senza alcuna titolarità soggettiva, ma che riceverebbe il suo diritto ad esistere dall’esistenza dell’altro: del maschio, dei figli, della comunità, dello Stato, della stessa Chiesa. E ovviamente riceverebbe anche da tale collocazione le sue virtù proprie: l’accondiscendenza, l’obbedienza, la disponibilità al sacrificio, il nascondimento. Sino ad arrivare alla rassegnazione e alla sottomissione. Detto in modo più diretto: `Se la Chiesa non si è inventata la subordinazione tra i sessi, ha scelto di legittimarla spiritualmente’» (La fuga o. c., pp. 33 s. cita il libro della Murgia: p. 158). Di conseguenza egli spiega la fuga delle quarantenni come «una protesta silenziosa al silenzio cui le vorrebbero costrette, per natura, la Chiesa stessa. La Chiesa dei maschi, si intende. Un lento esodo rispetto a un mondo di poteri che non potrebbe in alcun modo contare in un possibile cambiamento della situazione» (p. 36).

Non si tratta in primo luogo per le donne di accedere ai diversi ambiti di potere dai quali sono escluse, ma soprattutto del fatto che coloro che esercitano il potere nella Chiesa hanno fatto scelte che contrastano con la libertà e la dignità delle donne, nella vita privata, in rapporto ai metodi non naturali per il controllo delle nascite, in ordine alla vita sacramentale per i divorziati ecc.

La fuga delle donne ha un altro riflesso. Fino ad ora la Chiesa cattolica ha combattuto alcuni aspetti della secolarizzazione maschilista e si è trovata perciò alleata delle donne. «Non ha letto né vissuto la modernità come una crisi di fede, ma piuttosto come un conflitto circa la questione della regìa della società. Insomma come una questione di potere. Nell’alleanza con le donne è stata mantenuta come prioritaria la questione del suo confronto con la modernità maschile». Ora «Non è finito solo il tempo delle ambiguità teologiche e devozionali; più radicalmente è finito il tempo di alleanze strumentali» (p. 51). Occorre impostare da capo la relazione mettendo al centro la fede in Dio.

Di Carlo Molari

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