“Per evitare la crisi bastava seguire Hayek” (Libero)

del 20 Marzo 2012

Da Libero – 20 marzo 2012
A convegno i maggiori esperti del grande liberale. L’organizzatore Infantino: «Siamo nei
guai perché non gli abbiamo dato retta. Ed è una vergogna aver trascurato Sergio Ricossa»
Nel momento in cui la storia della politica e delle istituzioni sembra prendere una direzione ben diversa da quella auspicata da Friedrich August von Hayek, l’università Luiss – a vent’anni dalla sua scomparsa – dedica al grande economista e filosofo liberale viennese una importante «Memorial Conference» che il 23 marzo vedrà la partecipazione dei più importanti studiosi internazionali della scuola austriaca. Organizzatore dell’ evento è il professor Lorenzo Infantino, uno dei pochi veri «hayekiani» italiani. «Hayek», racconta Infantino a Libero, «ci ha lasciato un ricchissimo patrimonio intellettuale, una riflessione che ha attraversato buona parte del Novecento. The Road to Serfdom (La via della schiavitù, Rubbettino) è solo una parte di un’ estesa ricerca sulle condizioni gnoseologiche, economiche e giuridiche che rendono possibile la libertà individuale di scelta. Quando apparve, questo libro procurò a Hayek un grandissimo successo negli Stati Uniti. Ma negli ambienti intellettuali britannici non fu considerato “politicamente corretto”, perché poneva in evidenza le radici socialiste del nazismo e mostrava come un sistema generalizzato di interventi pubblici può determinare la perdita della libertà». Oggi comunque possiamo dire che Hayek è stato il pensatore che più di altri ha segnato gli anni Ottanta. Margaret Thatcher e Ronald Reagan ammisero più volte che senza Hayek, e in particolare proprio senza The Road to Serfdom, i loro progetti politici non sarebbero stati gli stessi. Che senso ha un convegno sulle idee di Hayek oggi, in un contesto tanto diverso da allora? «Se la lezione hayekiana fosse stata appresa non avremmo ristretto l’ambito della cooperazione volontaria, non avremmo azzerato la nostra crescita e non avremmo subìto la crisi economica che pesa sulle nostre spalle, e di cui non s’intravvede ancora il superamento. L’attualità di molti insegnamenti di Hayek non può minimamente essere messa in discussione. Quanto a Margaret Thatcher e Ronald Reagan, sono la dimostrazione del fatto che non si può fare politica senza cultura. Ciò non vuol dire che un qualunque erudito possa trasformarsi in un uomo politico di successo. Sta però a significare che la cultura nutre i progetti politici. Senza di essa c’è solo gestione della quotidianità, ricerca del potere per il potere, declino di tutte le dimensioni della vita». Il grande nemico di Hayek fu il costruttivismo, che egli definì come la pretesa dell’uomo di alterare le istituzioni «a proprio piacimento, in modo che soddisfino i suoi desideri o le sue aspirazioni». Le istituzioni europee, così come sono state realizzate, possono essere definite un progetto costruttivista? «Come i suoi amici Lionel Robbins e Luigi Einaudi, Hayek fu un federalista. Ma egli fu soprattutto un evoluzionista come lo fu Carl Menger, fondatore della Scuola austriaca di economia e sua prima fonte di ispirazione. Hayek ben sapeva che la libera cooperazione fra gli uomini crea soluzioni a cui nessuna singola mente può pensare. Il “processo sociale” mobilita conoscenze disperse, apportate da milioni di uomini, e si traduce in un grandioso procedimento di esplorazione dell’ignoto e di correzione degli errori. Le istituzioni europee puntano molto spesso alla “conformità”. E, quando ciò avviene, la dimensione burocratico-costruttivista soffoca la spontaneità sociale». Come altri economisti della Scuola austriaca di economia, Hayek rivolse un’attenzione particolare alla moneta, a come nasce e a ciò che essa rappresenta per gli individui e per i popoli. Dell’euro tutto si può dire, tranne che la sua genesi sia stata «spontanea». Il fatto che esso sia stato «calato dall’alto» implica che sia destinato a fallire? «Come lei sottolinea, gli “austriaci” hanno dedicato molta attenzione ai problemi monetari. Menger scrisse un lungo saggio sul “denaro”. La lingua tedesca, come quella italiana, consente di distinguere fra il “denaro” e la “moneta”. Il primo è nato per via spontanea. La seconda è nata dalla trasformazione del denaro, istituzione sociale affermatasi senza la programmazione di alcuno, in strumento del potere pubblico. Lo statalismo tedesco e la teoria keynesiana hanno cancellato le origini sociali dei mezzi di pagamento. Il che fa della politica la variabile indipendente del processo economico. Da buon evoluzionista, Hayek non avrebbe “costruttivisticamente” creato una nuova moneta. Avrebbe atteso una “selezione” da parte degli attori sociali. L’euro si trova in una china pericolosa. Il suo destino dipende ora dal confronto fra i costi della sua sopravvivenza e quelli del suo fallimento». Dinanzi alla crisi attuale la classe politica occidentale sta reagendo secondo uno schema consolidato: aumentare i vincoli cui è sottoposto il mercato, ridurre l’autonomia fiscale degli Stati, reperire risorse comprimendo la libertà economica degli individui.

Davvero non esiste alternativa a questo schema? «È una storia vecchia e monotona. Le economie vanno in crisi per un eccesso di interventismo. E gli interventisti accusano subito il mercato e chiedono nuovi interventi. Siamo in presenza di un circolo vizioso, che potrà essere spezzato solo dalla competizione internazionale. Maggiore è la competizione’ minori sono le possibilità di usare l’interventismo come strumento di “protezione” del ceto politico e dei gruppi a esso collegati». Per Rubbettino è uscita da poco una nuova edizione delle opere storiche di Sergio Ricossa, il più grande hayekiano italiano. A leggere oggi le cose scritte da Ricossa venti anni fa viene da rubare la frase a Luigi Einaudi e definire anch’esse «prediche inutili». Due decenni infruttuosi per il liberalismo in Italia?

«Con la sua intensa attività pubblicistica, Sergio Ricossa è stato un insostituibile punto di riferimento per i sostenitori

della libertà individuale di scelta. I suoi libri sono uno straordinario impasto di acume, cultura e passione civile. Ma la cecità intellettuale di molti e l’ermetismo di tanti interessi di breve periodo hanno avuto il sopravvento sulla sua lungimirante diagnosi. Con l’editore Rubbettino abbiamo ora riproposto tre titoli molto stimolanti: Maledetti economisti, Manuale di sopravvivenza a uso degli italiani onesti, Impariamo l’economia.È una vergogna che un uomo come Ricossa non abbia avuto dalle pubbliche autorità alcun riconoscimento. Egli probabilmente se ne sarebbe ritratto. Il che non rende meno pesante la responsabilità di chi veste i paramenti del potere pubblico».

 

Di Fausto Carioti

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