Gilbert K. Chesterton: l’intellettuale che “amava le storie e chi le raccontava”

di Diego Gabutti, del 31 Agosto 2012

Da Sette – Il Corriere della Sera– 31 agosto 2012
Il Medioevo non è un paradosso. Chaucer, padre della letteratura inglese, e la cultura del ‘300 raccontati dal re del sarcasmo Gilbert K. Chesterton

Grande polemista, anglicano convertito al papismo, giallista metafisico, teologo sempre pronto alla rissa ma un po’ ciabattone, maestro di paradossi, Gilbert Keith Chesterton è stato il primo intellettuale di rango, insieme ai surrealisti d’André Breton, che nel secolo dell’engagement, dei Minculpop, di 1984, dei ministeri della propaganda non abbia messo l’alienazione sotto processo ma ne abbia, al contrario, sposato la causa.


Storie dappertutto.

Chesterton, come Dickens prima di lui, amava i giochi dei bambini, le figurine da collezione, la poesia epica, i francobolli, le carole natalizie, i dolci, le sciarade, le bambole di carta, le insegne delle osterie, gli scherzi incomprensibili, i soldatini, le buone cause (che non sempre distingueva dalle cattive) e, sopra ogni cosa, amava le storie e chi le raccontava. Se a dimostrazione del suo amore per le cose brutte ed estranianti potete leggere L’imputato. In difesa di ciò che c’è di bello nel brutto del mondo, a dimostrazione del suo amore per l’arte di raccontare le storie, un amore che il padre del surrealismo avrebbe detto fou, sono usciti di recente Robert Louis Stevenson, un allegro saggio biografico sull’autore dell’Isola del tesoro, e Il racconto del mondo. Chaucer e il Medioevo, una divagazione biografica, se possibile ancora più festosa, su Geoffrey Chaucer, padre della letteratura inglese e autore, sulla scia del Decamerone, dei Racconti di Canterbury. Ma Chesterton, oltre alle storie, amava anche l’idea platonica delle storie, la «storietà», se così si può dire, e vedeva storie dappertutto, vaporose come schiuma sulla birra. Indovinava storie dentro le opinioni politiche, come dentro le idiosincrasie religiose, nei dogmi della chiesa, nelle questioni etiche. C’era una storia dentro le eresie, un’altra storia dentro il comunismo e altre storie ancora nel capitalismo, nelle guerre, nei dibattiti parlamentari, nell’amore. Ogni idea, anzi, era una storia; e una storia avventurosa, tra Rudyard Kipling e Daniel Defoe. Sospeso come Tarzan alle sue liane intellettuali, Chesterton passò la vita intera a difendere le idee, a combatterle, a prenderle e lasciarle, a beffeggiarle, a erigere loro monumenti, a fraintenderle, a metterle in maschera, a trattarle come eroi da romanzo. Perché anche le idee, come la morte secondo Peter Pan, possono essere grandi avventure, pensava lui, convinto che ci fossero tesori sepolti dentro le opinioni e trappole mortali lungo la strada per argomentarle. Proprio come alcune idee hanno due facce, pensava, una delle quali tenebrosa, o almeno pittoresca, al modo del Dr Jekyll e di Mr Hyde, anche le polemiche sono belle, coreografiche e pericolose – altrettanti duelli all’alba dietro il convento delle carmelitane tra moschettieri del re e guardie del cardinale.

 

Questione di “io”.

Come Jackie Gleason, che in un vecchio film, Soldato sotto la pioggia, si pavoneggiava in mutande davanti a una specchiera, anche G.K. era «grasso e narcisista» insieme. Per alcuni, scrive il filosofo, è un abuso dire «io», ma la prima persona (spumeggiante di frizzi, lazzi e metafore) che parla nelle opere di Chesterton è un «io» appena sufficiente a contenere tutta la sua persona, vasta e perigliosa come il mondo dentro la mappa dei Viaggi di Gulliver.

Di Diego Gabutti

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