Dal Corriere della Sera:”Scardinare tutti i meccanismi che mortificano il merito”, di Florindo Rubbettino (Corriere.it)

del 27 Aprile 2012

Dal Corriere.it – 27 aprile 2012
Ha scritto Ortega Y Gasset, uno dei pensatori più lucidi che la cultura europea del Novecento abbia prodotto, che “una generazione opera all’incirca per una trentina d’anni, però questa azione si divide in due tappe e assume due forme: durante la prima metà – approssimativamente – di questo periodo, la nuova generazione divulga le sue idee, le sue preferenze, i suoi gusti che, alla fine, acquisiscono vigenza e diventano dominanti nella seconda metà del trentennio generazionale”. Ho scelto questa citazione perché credo si addica molto al tema che stiamo trattando. I giovani, vale a dire quella generazione che si sta apprestando a entrare (o almeno spera) nel mondo del lavoro o che vi è da poco entrata dovrebbe in questa fase diffondere le proprie idee innovative e di cambiamento che poi dovranno diventare vigenti nei prossimi decenni.

Guardando alla realtà sociale con particolare riferimento al mondo del lavoro, è evidente che in una situazione di pesante dualismo con i padri che hanno eroso il terreno sotto i piedi dei figli, con l’ascensore sociale bloccato, l’interesse principale dei giovani dovrebbe essere quello di scardinare tutti i meccanismi che mortificano il merito e il talento e diffondere, perché divengano dominanti, i valori ad essi connessi.

Il punto non è se i giovani siano più bravi dei meno giovani, ma è che ad oggi non c’è una reale possibilità di ingresso nella classe dirigente o più semplicemente di mobilità tra classi sociali attraverso il merito. I giovani oggi hanno spazio solo per cooptazione. Il merito, al contrario, oltre a garantire una reale selezione per competenze sarebbe anche la vera carta di liberazione per chi non ha altre possibilità se non quella di dimostrare appunto le proprie capacità. In questo appunto i giovani ovviamente hanno le loro responsabilità, perché spesso rinunciano a essere “rivoluzionari” come dovrebbero, rivoluzionari non come i propri genitori “sessantottini” ma con l’arma più incendiaria di cui dispongono: far valere le ragioni della competenza, della conoscenza, dell’innovazione, del merito e del talento.

Un mercato del lavoro fondato sul merito e sul talento non aggiungerebbe un’ulteriore barriera all’ingresso. Al contrario sarebbe un modo di far saltare le barriere. Il merito non esclude, include. Non è un principio aristocratico che avvantaggia i più arroganti, ma è il principio più democratico che possa esistere. Tutto ciò però fatica ad affermarsi nel nostro Paese. La concorrenza dovrebbe essere un interesse comune e trasversale a tutte le categorie. Solo chi non ha fiducia nelle proprie potenzialità ha paura della concorrenza. Il non voler rischiare, il non credere nelle opportunità e in se stessi, non solo a livello macro non garantisce una selezione dei migliori e quindi una crescita della società e costituisce una grave ingiustizia nei confronti degli esclusi, ma fa perdere agli stessi beneficiari la fiducia in se stessi, il gusto della sfida, l’audacia, la felicità.

FLORINDO RUBBETTINO, editore

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