#Pontelandolfo1861| Tradizione e libertà della storiografia del Sannio (sanniopress.it)

del 23 Gennaio 2019

La tradizione storiografica sannita, da Antonio Mellusi a Gianni Vergineo passando per la grande anima di Alfredo Zazo, va ripresa, non per essere composta in una bara ma per tentare di restituire nerbo alla vita civile. E’ proprio con la storiografia, a partire dal libro di Mellusi sui primi cinquant’anni della provincia di Benevento, coincidenti con il mezzo secolo dell’Italia unita, che nasce nel Sannio una più vasta coscienza nazionale. Ciò che avrebbe dovuto fare la politica fece il pensiero storico, con lavori che, dalla rivista Samnium alla Storia di Benevento e dintorni, ci restituiscono ancora oggi lo specchio di una storia nazionale in una vita provinciale. Non posso e non voglio nascondere che il senso del mio libro dedicato ai tragici fatti della calda estate sannita del 1861 – Pontelandolfo 1861. Tutta un’altra storia (Rubbettino) – ha il suo senso primo e ultimo nella ripresa e nella difesa della tradizione di studi storici del Sannio come fonte della coscienza politica nazionale.

Per molto tempo la politica ha attinto alla storia riuscendo a manomettere, come accade inevitabilmente in questi casi, tanto il pensiero quanto l’azione, sia la storia sia la politica. E’ oltremodo significativo notare che proprio sui fatti drammatici di Casalduni e di Pontelandolfo, là dove i comitati borbonici sperarono nella nascita di una Vandea sannita da far sfociare a Napoli in una controrivoluzione che invece non solo non ci fu ma si rivelò un sogno artificioso, gli studi più seri sono stati condotti da storici sanniti che prima hanno raccolto memorie, testimonianze, ricordanze, documenti sull’incendio di Pontelandolfo e poi, in un secondo momento, quando ce n’è stata la necessità, hanno ricercato e trovato nuovi documenti che hanno confutato in modo filologicamente certo la vulgata dell’eccidio di Pontelandolfo creata ad arte da neoborbonici e pubblicisti in cerca di pubblico. La tradizione storiografica del Sannio ha una sua indubbia serietà e non è per niente un caso che gli studi migliori e provati, anche in tempi recenti, sul Sannio brigante siano di Davide Fernando Panella, Annibale Laudato, Ugo Simeone che si sono piegati sul tavolo da lavoro con il solo intento di raccontare storie documentate. Il pensiero storiografico sannita ha dimostrato indipendenza di giudizio proprio perché il suo lavoro è il frutto di una lotta per la conquista della libertà. A questa tradizione s’ispira il mio umile lavoro e mi auguro che il testo possa raggiungere l’obiettivo dichiarato di far cessare le manipolazioni e le speculazioni sulla storia del Sannio moderno che nel 1861 con sacrifici, lutti e dolori conquistò due volte indipendenza e libertà e fu in nuce la stessa avventura dell’Italia rinata.

Il Mezzogiorno non solo partecipò al movimento risorgimentale ma ne fu parte attiva e fondante. La storia beneventana, liberandosi dal secolare quasi millenario giogo pontificio, ha una sua evidente particolarità: non solo la fine di un preciso regime istituzionale ma anche l’avvio di una vita nuova in cui indipendenza politica e libertà morale erano l’una il volto dell’altro. E’ una singolarità, questa, che dovrebbe rendere più avvertita la nostra intelligenza negli studi storici per trarli via da ogni sterile municipalismo e da ogni ottuso rivendicazionismo per rendere più diffusa la qualità civile della storiografia che coniuga pensiero e libertà. Se perdiamo la nostra storia, perdiamo prima o poi anche, siatene certi, la nostra libertà.

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