L’illusione (non solo) italiana di trovare la felicità affidandosi sempre alle toghe (Libero)

del 23 Dicembre 2013

Da Libero del 22 dicembre

Ed ora il giudice si fa anche scienziato: esamina cartelle cliniche, fa l’anamnesi, la diagnosi e ci dice anche qual è  la terapia giusta, scientifica, oggettiva. Checché se ne pensi della terapia Stamina (chi scrive non si affiderebbe ad essa),  l’idea che debba essere un giudice a redimere la controversia scientifica fa semplice mente rabbrividire. Eppure, noi oggi qui in Italia non ci meravigliamo più di tanto. Anzi appena ci si presenta una controversia, di qualsiasi tipo essa sia, chiediamo in soccorso non la nostra coscienza o la  nostra ragione ma un giudice di una delle tante procure d’assalto di un Paese che proprio per questo continua a non avere sentore di cosa sia la  civiltà del diritto e nemmeno quella liberale. Sarà pure deresponsabilizzante, ma certo ai più sta comodo tutto questo.

Lo sanno bene i giudici star che hanno costruito la propria carriera proprio su questa sottocultura diffusa. E  d’altronde non è forse vero quanto essi dicono, cioè che la loro azione non fa che supplire alle manchevolezze della politica? Quasi che la politica debba farsi a sua volta scienza, morale, pedagogia del ben vivere, e non limitarsi a una sana difesa degli interessi privati.

I LEADER

Non è un caso che anche la solerte ministra Lorenzin non  perde occasione per dire la sua sulla giusta terapia. Ci casca anche un leader che si presenta come nuovo, Matteo Renzi, che, sarà pure per dar del filo da torcere al governo, ma comunque vorrebbe leggi 

 addirittura punitive dei Comuni che aprono case da gioco. Il giudice o il politico si fa  quindi moralizzatore dei costumi e fustigatore dei vizi patri. Dimenticando che il diritto di sbagliare e di andare a sbattere contro un muro con la propria testa ha molto più valore per un liberale del seguire una morale esteriore e non veramente vissuta.

 Il «furbo carattere levantino» di Ruby è assunto come capo di imputazione, al pari che so del vecchio maschilismo italico, battezzato per l’occasione «omofobia», fatto  diventare addirittura una aggravante di pena in certi efferati delitti che ahimè esistono  da sempre indipendentemente dal genere della vittima  e dalle idee dell’assassino. E che dire della legge sul femminicidio o di quella sulle «quote rosa»? A costo di essere tacciati di immoralità, non dovrebbe essere nemmeno un reato, per un liberale, pattuire un contratto privato di segretaria comprensivo di «rapporti particolari», ammesso e non concesso che le parti siano libere  nella contrattazione. E ancora: perché, come dice la Boldrini per giustificare il suo viaggio a spese dello Stato, andare al funerale di Mandela è  più importante che andare a celebrare lo sport e l’industria  italiana al Gran Premio di Monza come fece qualche

tempo fa l’allora ministro Mastella?

IL FILOSOFO

 Sbaglieremmo però a pensare che si tratti solo di un fenomeno attuale e italiano, anche se nell’Italia di oggi è tutto  esasperato. Bene perciò ha fatto l’editore Rubbettino a proporre in questi giorni al lettore italiano un aureo pamphlet scritto nel 1853 per la Westminster Review dal filosofo positivista Herbert Spencer: Contro la troppa legislazione. In verità, non possiamo dire che Spencer fosse un visionario: le sue idee sono ap punto ancora oggi poco frequentate, troppo avanti anche rispetto al nostro tempo. È vero che il Novecento è stato il  secolo dell’ubriacatura statalista, ma possiamo forse dire di esserne guariti? La nostra è l’epoca di una diffusa e illiberale giuridicizzazione dei rapporti sociali. Finito il tempo in cui si pensava di creare attraverso la Grande politica, cioè  mediante l’ideologia, un «mondo migliore», o addirittura l’«uomo nuovo», piuttosto che accantonare come fallace l’idea stessa, si è preferito affidare al Diritto e alla Morale  il compito di realizzare quell’insano obiettivo.  Una morale astratta e universale, sempre pronta a convertirsi nel suo contrario proprio per l’ incapacità di fare i conti con le concrete situazioni storiche, viene assunta come contenuto di leggi eticamente orientate a cui poi la politica deve semplicemente conformarsi.

 In molti, scrive Spencer, «pretendono che, per conseguire il bene e il male, bisogna ricorrere al Parlamento». Una  domanda sorge spontanea: perché la Over legislation se duce e affascina così tanto, anche persone in buona fede?  Il fatto è che l’uomo cerca quasi naturalmente il proprio benessere, la felicità. Ciò accade soprattutto in periodi di crisi più accentuata come l’attuale: si pensi solo un attimo ai libri o ai festival che proliferano sul tema, o a certe rubriche televisive o di giornale. Ma  si tratta di un ideale falso, irraggiungibile: «La felicità scompare nel momento in cui cominci a cercarla», diceva la  saggezza di un altro liberale, John Stuart Mill.

Di Corrado Ocone

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