SILA, meravigliosa e trascurata (zoomsud.it)

di Filippo Veltri, del 16 Aprile 2018

Piergiorgio Iannaccaro

Sila

Luoghi e stagioni

Quando misi piede in Sila non avevo nemmeno 15 giorni. Era un’estate di tanti e tanti anni fa ed era la Sila Piccola dalle parti della diga della Poverella e del lago Savuto, tra Bocca di Piazza e l’Ampollino. Lì mio padre insegnava in una scuola estiva, c’era un animato villaggio con gli operai dell’Enel che all’epoca gestiva la diga (oggi lo fa l’A2A ed è rimasto solo un custode) e noi piccoli lo seguivamo con nostra madre per almeno tre mesi l’anno.

   Da allora non ho più saltato una stagione estiva, dalla Sila Piccola mi sono spostato in quella Grande ma il punto non è quello: il punto vero è che la Sila quando ti entra dentro (ed io quindi l’ho avuta dentro che nemmeno ciucciavo il latte!) poi non te la togli più, pur volendo, pur lamentandoti magari, pur bestemmiando per le cose che non vanno, per le storture (tante e troppe) che vedi, per le bruttezze che l’uomo ha creato e sta creando.

La Sila e’ una cosa a sé. Un luogo dell’anima, della mente, degli occhi. Degli odori autunnali e di quelli estivi; dei colori invernali e delle infinite sensazioni che ti dona il paesaggio. Le foto meravigliose che trovate in questo libro ne sono un assaggio, ma sono soprattutto un invito a vedere di persona, a capire in prima fila, ad annusare i prati di maggio e i boschi di ottobre, ad allargare la vista sui campi coltivati di Lagarò o sulle faggete innevate sopra Righio, nelle pinete di Buturo o nei campi assolati dello Spineto.

La Sila veste abiti differenti nei vari periodi dell’anno, scrive Iannaccaro. Un medico che ho conosciuto per caso in un circolo culturale e poi in vari concerti musicali. Mai potevo sospettare che egli, come me, amava la Sila al punto da farne un book fotografico di dimensioni enormi, con ricordi lancinanti come quello di Guido Piovene nel suo “Viaggio in Italia”, quando definì la Sila “una fantasia del Nord eseguita con il rigoglio meridionale”. 

Definizione più calzante non può esserci: la Sila non e’ come le Alpi, non e’ come il Tirolo (austriaco o italiano che sia). E’ un’altra cosa: la profondità del paesaggio, il clima dolce e temperato, la luce. Sì, la luce e la luminosità sono forse quello che più mi colpisce ancora dopo tanti anni. Il senso di una cosa bella perché’ percepibile finche’ l’occhio arriva, che non incontra ostacoli in vette ardite, che e’ montagna ma insieme non lo e’ nel senso piu’ proprio del termine.

Uno dei capitoli più belli scritti dall’autore delle foto per presentare il libro è quello sull’impronta umana sul paesaggio. ‘’La Sila – scrive Iannaccaro – è rimasta nel tempo impenetrabile per gran parte della sua estensione, ammantata di fitte foreste, ostile nonostante l’aspetto dolce delle sue alture e delle sue valli. Eppure la Sila non è solo un imponente santuario naturale, è anche un luogo percorso dagli uomini sin dai tempi remoti. Basti pensare allo sfruttamento del legname sin dall’epoca romana o alla frequentazione nei secoli da parte di monaci o all’attività agricola e pastorale in tempi meno remoti. Camminando per boschi e valli non è insolito incontrare vecchie costruzioni in pietra, probabilmente utilizzate da pastori o coloni, in gran parte danneggiate dal tempo, sopraffatte dalla vegetazione, in qualche caso oggetto di opere di restauro che hanno restituito una preziosa testimonianza del passato…. Accanto alle testimonianze di un passato lontano vi sono i segni di attività dell’uomo decisamente più recenti ma non meno significative. Soprattutto se si considera come il paesaggio silano sia stato, almeno in parte, modificato dall’opera dell’uomo. Basti pensare alla lunga stagione iniziata negli anni venti e conclusasi nei primi anni ottanta del novecento che ha visto la realizzazione dei bacini idroelettrici silani. Grandi opere di ingegneria che hanno trasformato ampie valli in laghi, grandi distese d’acqua che oltre a generare energia elettrica e a dissetare uomini e terre hanno reso l’aspetto dell’altipiano ancora più simile a quello del grande Nord del mondo. E non si possono ignorare i villaggi che punteggiano le valli silane, sorti nella seconda metà del novecento, spesso dotati di una chiesa edificata in stile montano, dall’aspetto suggestivo quando l’inverno li ammanta di neve. E i campi coltivati intorno ai villaggi, e gli elettrodotti che percorrono i fianchi dei monti e le valli’’.

La Sila è oggi davvero altra cosa rispetto a quei miei lontani 15 giorni d’arrivo alla centrale del Savuto. Forse peggiorata in larghi tratti, ed era inevitabile visto che l’uomo vi ha messo mano spesso non per migliorare se’ stesso e l’ambiente ma per depredare risorse. Molti tratti sono stati infatti maltrattati, rubati al cuore di noi tutti. L’incuria dell’uomo e delle istituzioni preposte alla tutela e alla salvaguardia di questo preziosissimo bene sono una cosa da denunciare e l’occasione di queste foto deve servire – almeno credo che così io possa utilizzarla – anche per lanciare un segnale d’allarme: attenzione che così state distruggendo questo bene meraviglioso. 

Non c’é solo, infatti, il gran bosco di Fallistro e tutta la zona attigua, salvata dal Fai, ma i tanti boschi dove insistono tagli indiscriminati degli alberi, i rifiuti che sono diventati ormai un problema enorme ed ineludibile e che nessuno risolve per il solito e rituale rimballo italico delle responsabilità e delle competenze (i Comuni non puliscono, il Parco nemmeno, la Provincia non ha risorse etc etc…conclusione: non interviene nessuno); i ritardi nella valorizzazione e fruizione piena – ad esempio – dei laghi: sono tutte cose che segnalano un problema. Su tutto c’e’ il problema io credo più grande: non esiste un ente che dovrebbe sovrintendere alla Sila, alla sua tutela e al suo sviluppo ordinato. Non può essere il Parco per ovvi motivi, non possono essere i Comuni. Ci deve pensare un progetto complessivo che investa le tre province e di cui pubblico e privati devono farsi carico, cosi’ come del resto accade in altri posti d’Italia e d’Europa.

Penso al Tirolo austriaco, ultimo mio viaggio in montagna, dove da decenni è in atto un sinergia meravigliosa che attrae milioni di turisti e visitatori d tutta Europa, che nella nostra montagna tardano invece a venire. Forse ci si e’ colpevolmente accontentati di un turismo locale (al massimo dalle regioni più vicine come Puglia e Sicilia) mordi e fuggi, spesso privo però di calibrature culturali di spessore, rimanendo così accodati ad una domanda talvolta di basso livello che ha finito col dare basse risposte, in ogni caso a quello stesso livello della domanda, sia in termini di servizi che di cura del bene comune. La Sila non merita tutto questo.

Ma da quei miei primi 15 giorni della baracca-scuola-casa di Savuto è intervenuto anche qualche miglioramento: il mondo fermo delle vallate appena uscite dalla guerra e dalle battaglie per la rottura del latifondo non e’ piu’ oggi simbolo di miseria estrema, di povertà crudele e selvaggia. La bellezza del paesaggio ha retto nonostante tutto e tutti all’urto inevitabile del tempo che trascorre, che usura e distrugge. E’ nata su quei luoghi un’economia pulita dei prodotti della terra, una rinascita di generazioni altrimenti destinate alla povertà e che va incoraggiata, sostenuta, difesa, valorizzata.

Libri come questi servono anche a questo, al di là delle intenzioni. Servono cioe’ a dare una mano ad un progetto di rinascita di un territorio che è parte fondamentale della Calabria. Non si può, infatti, continuare a parlare di Sila meravigliosa senza tenere conto di tutto ciò e senza segnalare quelle storture che non ne fanno ancora oggi quel polo attrattivo turistico ai livelli di altre zone montane dell’Italia e dell’Europa.

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