Elefanti a Roma e le fontane si muovono (La Stampa)

di Irene Cabiati, del 6 Dicembre 2021

L’immenso patrimonio di Roma, gran parte del quale è a disposizione di tutti, «libero da cancelli e biglietti di ingresso» è costituito anche da esempi d’arte, d’architettura e di manualità intelligente, quasi sempre ignorati o sottovalutati. Come sottolinea Fallai nel suo libro edito da Solferino, «Grazie a questo patrimonio, abbiamo coltivato il nostro concetto del bello, plasmato il nostro gusto, siamo diventati una comunità.».

Il giornalista del Corriere della Sera ha seguito tracce meno scontate per raccontare Roma.

Non sono riuscita a sottrarmi al richiamo del titolo del libro «A Roma di notte le fontane si muovono» per leggere notizie della fontana di Trevi, ma non l’ho trovata, a conferma del fatto che Fallai non segue il solito copione. Sorpassando le sue numerose  provocazioni su personaggi, luoghi e monumenti che compaiono in questa sceneggiatura, ho quindi cercato la chiave del mistero sulle fontane irrequiete.

 

 La fontana del Trullo – Foto Lalupa

Lavori in corso
La più ballerina sembra sia la fontana del Trullo, di epoca rinascimentale, commissionata a Giacomo Della Porta da Gregorio XIII per portare acqua in piazza del Popolo.

Quando l’architetto Giuseppe Valadier, nel 1818, si occupò del riallestimento della piazza, con l’obelisco del faraone Seti e di suo figlio Ramesse (portato a Roma  da Ottaviano Augusto), decise di licenziarla. La fontana riapparve al Gianicolo per poi sparire nei magazzini comunali fino a trovare  una sistemazione in piazza Nicosia nel 1950.

Intanto in piazza del Popolo presero a cantare altre due fontane a decorazione delle esedre, una dedicata a Nettuno, l’altra, con la dea Roma e la lupa che allatta i gemelli.

Anche  la fontana di piazza Scossacavalli, eretta proprio al centro del rione Borgo fra le architetture trecentesche, è finita nel buio dei ripostigli municipali per poi riemergere alla fine di corso Risorgimento fra un semaforo e la chiesa di Sant’Andrea della Valle.

 

 La Terrina in piazza della Chiesa Nuova – Foto Lalupa

Mosè e Santa Teresa
Singolare la storia della fontana, progettata da Giacomo Della Porta, allievo di Michelangelo,  a Campo de’ Fiori, la piazza del mercato. Il popolo la usò come pattumiera, così fu necessario proteggerla con un coperchio e relativo pomello. Da quel momento venne soprannominata la «Terrina». E nel 1600 dovette sloggiare per far posto al monumento a Giordano Bruno, arso vivo in quella piazza. La Terrina rimase in magazzino per qualche anno prima di essere traslocata in piazza della Chiesa Nuova.

Risolto il mistero delle fontane pellegrine, cito ancora una tappa imperdibile. Nel raggiungerla non si potrà fare a meno di notare la Mostra dell’Acqua Felice, dominata dalla Fontana del Mosè. Un progetto mal riuscito per gli errori di calcolo delle pendenze e per la statua del Mosè che i romani lo chiamano «Mosè ridicolo». Poco distante, in largo Santa Susanna, si va ad ammirare l’impressionante Santa Teresa scolpita dal Bernini nella Cappella Cornaro. Davanti alla quale ognuno resta muto.

 

La ricostruzione degli ambienti, nell’area di Casal de’ Pazzi, circa 200 mila anni fa – Dal libro  «Quando a Roma vivevano gli elefanti» – Rubbettino

Lo strato del pleistocene 
Come scrive Fallai, la complessità di Roma deriva dal suo essere «a strati» che si sono accumulati uno sull’altro, integrandosi nei punti di congiunzione, conservandosi, come un’antologia di discorsi aperti che non vengono chiusi mai.

Infatti, nel 1981, durante i lavori di urbanizzazione di un nuovo quartiere tra la via Tiburtina e la via Nomentana emerse una zanna fossile di elefante lunga oltre tre metri

L’indagine archeologica permise di raccogliere, nell’alveo di un fiume di 200 mila anni fa numerosi reperti di animali – tra cui una trentina di zanne e ossa di una specie estinta di elefante -. Il sito ha acquisito un’importanza fondamentale anche per la presenza di ossa umane e strumenti di selce. Il « Giacimento di Rebibbia – Casal de’ Pazzi, è diventato un rarissimo esempio di scavo pleistocenico trasformato in museo www.museocasaldepazzi.it

A 40 anni dal ritrovamento, l’ente Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, oltre a promuovere alcuni eventi, ha presentato il libro-guida del museo edito da Rubbettino, a cura di Patrizia Gioia «Quando a Roma vivevano gli elefanti».

 

 

«Abitarono a Roma per un milione di anni»
Il libro riporta le fasi di questa avventura, dal ritrovamento alla creazione del museo multimediale molto apprezzato dal pubblico. Vetrine, mappe e disegni  rappresentano l’evoluzione del territorio nel tempo. Quello del 1981 non fu l’unico ritrovamento, Altri scavi portarono alla luce scheletri e zanne. Come scrive Luca Pandolfi: «Per quasi un milione di anni gli elefanti hanno abitato a Roma. C’è ancora molto da scoprire, ma quanto conosciamo è sufficiente per tracciare una storia in cui gli elefanti son sempre i protagonisti al di là del modificarsi delle faune, del clima, del paesaggio».

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