Il rospo e la principessa, vita spericolata di un ebreo triestino (Caffeina Magazine)

del 6 Luglio 2017

Gianni Scipione Rossi

Lo squalo e le leggi razziali

Vita spericolata di Camillo Castiglioni

«Lui era un rospo, sua moglie una principessa. Questo faceva pensare a vecchie favole”.  Anche grazie allo scenario – un’incantevole villa sulle sponde del Grundlsee, in Stiria – in cui l’adolescente Max Löwenthal-Chlumencky colloca l’apparizione. Ma chi sono il rospo e la principessa di cui parla con simpatia, nelle sue memorie, il futuro ambasciatore austriaco a Washington e a Roma? Il “rospo” è Camillo Castiglioni, finanziere, industriale, creatore di un impero economico tra i più rilevanti nell’Europa del primo quarto del Novecento. La “principessa” è la seconda moglie Iphigenie, sposata giovanissima a Vienna in piena Grande guerra. Un matrimonio che va in crisi nella seconda metà degli anni Trenta. Lei parte per Hollyvood. È stata attrice di teatro. Passerà al cinema nel 1936 con “La vita del dottor Pasteur”. Divorzieranno nel 1940. Dopo la guerra la troveremo sposata con Leonid Kinskey, il Sascha di “Casablanca”. 
Camillo, dopo mille peripezie, abita invece a Roma, in viale Parioli, dove muore sessant’anni fa, nel dicembre 1957, forse in solitudine. Ormai era un uomo misterioso, nonostante avesse segnato il Novecento italiano ed europeo. Non era romano Camillo Castiglioni. Roma l’aveva però frequentata spesso, alloggiando da gran signore al Grand Hotel. Da ebreo errante, era tornato nella capitale dopo essersi rifugiato per un anno nella Repubblica di San Marino, per sfuggire al rischio di deportazione. Con Roma aveva un legame affettivo. Il padre Vittorio era stato all’inizio del Novecento rabbino capo, all’epoca del sindaco Nathan e della fondazione della Sinagoga Maggiore.

Non si era tuttavia trasferito per vivere di memorie, ma per continuare a fare affari, come aveva fatto per tutta la vita. Da quando, giovanissimo, era partito dalla sua Trieste – dov’era nato nel 1879 – alla volta di Costantinopoli, per raggiungere poi la Vienna della Belle Époque, capitale di quello che all’epoca poteva apparire come l’immortale Impero austroungarico di Francesco Giuseppe
Una parabola straordinaria quanto fin qui sconosciuta quella del finanziere e industriale triestino, svelata ora dal giornalista e storico Gianni Scipione Rossi nella biografia Lo “squalo” e le leggi razziali. Vita spericolata di Camillo Castiglioni (store.rubbettinoeditore.it, € 14,00), in libreria dal 3 luglio. In pochi anni s’impone a Vienna come industriale. Costruisce dirigibili e aerei. Rilancia la Austro-Daimler e la BMW. È proprietario di banche, acciaierie, giornali, cartiere. Durante la Grande guerra costruisce un impero economico che dopo la sconfitta degli imperi centrali si espande verso la Germania e tutti gli stati balcanici, anche in società con la Fiat di Giovanni Agnelli e la Banca Commerciale di Giuseppe Toeplitz. Squalo o pescecane ebreo lo chiamano sulla stampa, perché specula – come tutti i finanzieri dell’epoca – sull’inflazione galoppante. E una speculazione sul franco francese rischia di essergli fatale nel 1924. Senza rinunciare a uno stile di vita barocco, si ridimensiona ma avvia sempre nuove imprese, mentre da ricco mecenate finanzia un teatro a Vienna e il Festival di Salisburgo.

Scelta la cittadinanza italiana in linea con la tradizione irredentista della famiglia, troverà il modo di collaborare con Mussolini. Fascista “esemplare”, lasciata Vienna per Milano, non riesce tuttavia a ottenere la discriminazione dalle leggi antiebraiche del 1938. Tenta invano di rifugiarsi negli Stati Uniti, mentre crea una raffineria in Svizzera. I servizi segreti americani sospettano che ricicli fondi neri di Mussolini e Ciano. Espulso dalla Confederazione e segnalato dalla Polizia politica come sgradito, nessuno lo arresta mentre rientra in Italia, rifugiandosi in una clinica di Varese. Qualcuno evidentemente lo protegge. Caduto il regime, si eclissa a San Marino, per riemergere nella Roma liberata.
Scampato all’Olocausto, da quella casa di viale Parioli riprendere la sua vita sulle montagne russe, fino all’ultima battaglia. Assistito dal giovane avvocato Katte Klitsche de la Grangeingaggia un duello legale con la Jugoslavia di Tito per una mediazione d’affari non pagata. Vincerà contro ogni pronostico. Lo “squalo”, testimone e protagonista del secolo breve, si spegne alla soglia degli ottant’anni senza aver mai perso lo spirito avventuriero della gioventù. Può sembrare un romanzo, ma è invece la storia documentata di un uomo, quella scritta dall’ex direttore di Rai Parlamento Gianni Scipione Rossi, sulla base di ricerche d’archivio e dell’inedito carteggio del finanziere con il diplomatico Attilio Tamaro. E il suo intrecciarsi con la rivoluzione industriale e tecnologica, con le due guerre mondiali e con la persecuzione razziale la trasfigura in una storia a tutto tondo del Novecento.

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