Non giochiamo più con i precari (Chi)

di Giulia Cerasoli, del 28 Marzo 2012

Da Chi – 28 marzo 2012
Contratti atipici, co.co.pro., contratti a chiamata, collaborazioni occasionali. Sono tanti oggi i nomi per definire un lavoro precario. E i giovani italiani, dai 23 ai 35 anni, sanno che queste sono le proposte che si troveranno davanti (se sono fortunati) quando, terminati gli studi universitari, riusciranno a trovare un lavoro, dopo, magari, qualche anno di stage senza essere pagati.
Oggi 8 ragazzi su 10 sono precari e la riforma del mercato del lavoro del ministro Elsa Fornero dovrebbe puntare proprio a ridurre questo “mare magnum” del precariato, regolamentando l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro in modo diverso, attraverso un obbligo di apprendistato lungo, ma più conveniente per le aziende, seguito da un contratto a tempo indeterminato. Minore incertezza e minore sfruttamento (gli stage gratis sarebbero aboliti) per i giovani, che, quindi, diventerebbero “meno” precari di adesso. Ma perché è così grave la situazione in Italia? E siamo sicuri che i giovani, con questa riforma, troveranno lavoro più facilmente, dopo tutti i sacrifici fatti per arrivare alla laurea? Abbiamo girato queste domande […] a Marianna Madia, 32 anni, Pd, già ricercatrice di economia del lavoro, che nel 2011 ha pubblicato il libro Precari. Storie di un’Italia che lavora (Rubbettino editore), con prefazione di Susanna Camusso, segretario della Cgil […] e abbiamo scoperto che, se l’economia non riparte sul serio, di certezze ce ne saranno comunque poche, perché è il nostro Paese a essere ancora totalmente impreparato alla flessibilità del lavoro. «I dati parlano chiaro: con il passare degli anni sono sempre meno i contratti a progetto che si trasformano in contratti a tempo indeterminato. In questo modo i giovani rischiano di rimanere intrappolati per sempre in questi contrattini. Precari a vita, con un salario inferiore alla media, nessuna garanzia nei momenti di inattività o malattia e con una contribuzione così bassa, che la loro pensione, comunque, sarà da fame», dice Marianna Madia, facendo un quadro fosco della situazione attuale, che potrebbe veramente ipotecare il futuro di questa generazione di precari venti-trentenni. Secondo lei, infatti, il problema diventerà più grave, quando i precari di oggi non saranno più giovani e arriveranno alla pensione: «Mentre i cinquantenni di oggi aiutano i figli a studiare e a entrare nel mondo del lavoro, quando questi figli, ormai sessantenni andranno in pensione, dovranno essere mantenuti dai loro figli. La vera urgenza è questa: questa precarietà è una bomba per la società, che invecchia sempre più, anche perché non ci sono le condizioni per fare figli». […] La Madia spiega che negli Stati Uniti, dove la flessibilità è consolidata, chi ha un contratto a termine guadagna di più: «Da noi il paradosso è questo: più sei precario, meno guadagni. Più sei precario, meno puoi pensare a una casa, a un affitto o a un mutuo, quindi a una famiglia. E non hai nessuna possibilità di cavartela, se non lavori per un certo periodo». Insomma, una situazione esplosiva, alla quale la Fornero sta cercando di porre rimedio. «Non è molto chiaro ancora come farà, soprattutto in tema di ammortizzatori sociali», insiste la Madia. «Cioè, se questa nuova indennità di disoccupazione coprirà o no le collaborazioni». […] La vera sfida del ministro Fornero per la Madia sta nel «far sì che, davvero, dopo i tre anni di apprendistato, al datore di lavoro convenga economicamente fare un contratto a tempo indeterminato, visto che il lavoratore è cresciuto e ha dimostrato il suo valore». Il problema è che, una volta stabilite le regole, non si riesca comunque a creare nuovi posti di lavoro. «Se l’economia gira, il lavoro c’è. Ma siamo in recessione e ci vorrebbe un grande progetto di investimenti europei per far ripartire l’economia», sottolinea sempre la deputata del Pd.
[…] Marianna Madia, con la sua laurea, prima di essere deputata, ha ottenuto una serie di contratti a progetto, mentre faceva il dottorato, ma, conclude: «Se non fossi entrata in Parlamento, forse sarei ancora una precaria come tanti»

Di Giulia Cerasoli

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