Il comprendere per Gadamer è quella forma di intelligenza che consente di entrare nella profondità del reale

del 14 Gennaio 2013

La Sicilia – 13 gennaio 2013

Tempo fa circolava una vignetta in cui erano raffigurati due personaggi di cui uno affermava con sicurezza «La verità non esiste! », e l’altro, con altrettanta sicurezza, rispondeva: «È vero! ». Un modo scherzoso per dire che la questione della verità è un tema, forse oggi considerato un po’ demodé, ma che non può essere liquidato e anche negandola, la verità paradossalmente la si afferma. Hans-Georg Gadamer, il padre dell’ermeneutica filosofica, uno dei più grandi e longevi pensatori del XX secolo, in quattro saggi recentemente pubblicati in traduzione italiana con il titolo “Che cos’è la verità. I compiti di un’ermeneutica filosofica” (Rubbettino), affronta il fenomeno della comprensione e interpretazione dei testi, l’ermeneutica appunto, sostenendo che non sono solo «affare di una scienza», ma costituiscono «un aspetto dell’umana esperienza nel mondo nel suo insieme». Il progetto filosofico gadameriano, infatti, si fonda sulla rivendicazione di un senso e di un valore nei confronti di esperienze che non ricadono per forza nell’ambito dello scientifico propriamente detto. Anzi, in esse «ci si dà a conoscere una verità che non può essere verificata con i mezzi metodici della scienza». Il comprendere, che per Gadamer è il fenomeno ermeneutico fondamentale, è quella forma di intelligenza, intus legere cioè leggere dentro, entrare nella profondità del reale, che nel nostro tempo sopraffatto dalla rapidità dei mutamenti, «rischia di oscurarsi e di perdersi» mentre esso dovrebbe essere salvaguardato e coltivato; il rischio è lo smarrimento del senso profondo di ciò che è autenticamente umano.

DI SALVATORE DE MAURO

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