Vi racconto la falce e il martello (Mezzoeuro)

del 22 Maggio 2013

Rocco Turi

Storia segreta del Pci

Dai partigiani al caso Moro

Da Mezzoeuro – 18 maggio 2013


“Storia segreta del Pci” l’ultimo libro del sociologo Rocco Turi, l’unico volume che ricostruisce la genesi politica e la storia del complotto internazionale che portò al rapimento dell’onorevole Aldo Moro, contestando le tesi “politicamente corrette” apparse fino ad ora.

È l’unico volume che ricostruisce la genesi politica e la storia del complotto internazionale che portò al rapimento dell’onorevole Aldo Moro, contestando le tesi “politicamente corrette” apparse fino ad ora in una miriade di pubblicazioni.

Storia segreta del Pci è il libro più documentato, l’ultimo atto di una vicenda descritta attraverso migliaia di carte ufficiali del Governo italiano (che solo Wikileaks, probabilmente, avrebbe pubblicato) e attraverso il racconto di numerosi osservatori diretti e partecipanti, come i partigiani italiani fuggiti dal nostro Paese – residenti in Cecoslovacchia – e personalità della nostra ambasciata a Praga. Rudolf Barak, ex ministro dell’Interno cecoslovacco negli Anni cinquanta – che mai aveva accettato di incontrare uno studioso straniero – confermò personalmente a Rocco Turi che i partigiani italiani furono al servizio del Kgb e della polizia segreta cecoslovacca. Negli otto anni del Ministero di Rudolf Barak (1953-1961) i nostri partigiani furono proprio al suo servizio. L’eredità fu raccolta dai suoi successori in tutti gli anni della Guerra fredda e la Cecoslovacchia fu meta per l’addestramento di terroristi provenienti da tutto il mondo.

Rocco Turi, il caso letterario dell’anno?

Dire bravi ai “ragazzi” di Florindo Rubbettino è davvero molto retorico e forse anche superfluo, ma devo riconoscere che a Soveria Mannelli hanno avuto grande coraggio a stampare l’ultimo libro del sociologo Rocco Turi* Storia segreta del Pci. Forse nessun altro al mondo lo avrebbe mai fatto, ma proprio per questo credo gli storici di tutto il mondo abbiamo oggi tra le mani un volume destinato a diventare un vero e proprio “caso letterario” internazionale. Trovo questo volume uno straordinario saggio di storia moderna, documentatissimo, severo, impietoso, irriverente, politicamente scorretto, professionalmente avvincente, evidentemente fazioso, ma scritto in maniera assolutamente impeccabile, a volte schizofrenica ma così pieno di dettagli da fare impallidire i grandi archivisti dell’era moderna, scritto anche con una grossa dose di arroganza da parte dell’autore, convinto probabilmente di essere l’unico vero depositario al mondo di queste “sue verità storiche”.

Ma proprio per questo Storia segreta del Pci è un libro il cui odore (o profumo) ti resta addosso dalla prima all’ultima pagina letta, e tutto questo accade prepotentemente, a tratti anche con violenza, altre volte con un impeto passionale irrefrenabile e probabilmente non sempre facilmente condivisibile. Ma Rocco Turi, che conosco da trent’anni, è soprattutto questo, è la contraddizione vivente dell’intellettuale moderno, lontano dai riflettori per scelta antica, fermamente convinto di vivere nell’ombra, quasi felice e geloso del suo lungo letargo, lontano mille miglia lui dai salotti e dalla mondanità che più conta, anacronistico per vocazione, intollerante per disciplina intima, lui che per anni ha inseguito soltanto il suo “sogno impossibile”, era il sogno di poter costruire tassello dopo tassello il grande puzzle storico della resistenza italiana, raccontando però quello che secondo lui la storia ufficiale non avrebbe mai fatto fino ad ora, e mai potuto fare. E in questo libro ritrovi, tutta intera, la sua spocchia da intellettuale, direi la sua arroganza culturale, convinto come sempre di essere lui il “primo della classe”.

Come tale, Rocco Turi, lo si può amare o detestare, ma nel suo caso nessuna mediazione sarà mai possibile, storia la sua, debbo riconoscere, di un ragazzo terribilmente cocciuto, introverso, pervaso da una eterna malinconia, apparentemente solitario e fondamentalmente triste, ma sempre e comunque fortemente caparbio, in questo direi: calabrese dalla testa ai piedi, ma nel suo caso il termine “cocciuto” che qui uso per dare meglio l’idea del suo carattere sta soltanto per “rigore” professionale e soprattutto disciplina morale di altissimo rango. Non ci crederebbe nessuno, ma per lunghi 30 anni, forse anche qualcuno in più, mi sono domandato cosa diavolo lo spingesse ogni anno a partire da Rende, dove abitualmente vive, diretto a Praga, a Budapest, a Varsavia, fino ai confini con la Siberia, o comunque da quelle parti, perché nessuno (tanto meno lui) ti diceva mai con chiarezza dove andasse a sbattere. Rocco Turi, per tutti noi che gli stavamo abitualmente intorno, era sempre un grande mistero, così come pareva esserlo la sua vita, e al suo rientro dai Paesi dell’Est, bianco come un cencio perché aveva trascorso la sua estate al chiuso di qualcosa, prima di tutto ti parlava delle sue nuotate mattutine nelle piscine storiche di queste stati stranieri, Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia, Romania, dove la gente del posto nuota dalle cinque del mattino alla mezzanotte, nonostante il freddo e nonostante la nebbia di questi posti, ma immediatamente dopo ti ricostruiva i mille misteri ritrovati e scovati tra i mille carteggi fantasma di Archivi di Stato prima di allora impenetrabili ai ricercatori italiani. Ma era così il ragazzo che allora conoscevo, oggi ne prendo atto con maggiore serenità, e solo oggi dopo aver letto questo suo libro capisco finalmente che molte cose lui allora non poteva davvero raccontarle a nessuno di noi.
Sono trascorsi 32 anni da allora, e lo intuisco per via dei troppi “top-secret” che oggi ritrovo stampati a chiare lettere sui tanti documenti scottanti che danno vita e corpo a questo suo saggio. Mi è bastato leggere la pagina dei ringraziamenti finali, per capire meglio e una volta per tutte che trentadue fa, quando per la prima volta il professore mi aveva parlato di questo suo progetto culturale internazionale mi aveva raccontato solo in parte la verità delle sue ricerche, ma mai e poi mai, allora, avrei potuto immaginare di vederlo vagare e lavorare nei sotterranei di varie ambasciate o Istituti di cultura stranieri, da Praga a Brno, da Varsavia a Parigi, da Bratislava a Vienna, da Budapest a Cracovia, da Berlino a Mosca, o in città meno note come Ostrava, Pilsen, Most, Seletic, Melnik, Szombathely, Kolin, Nitra, Kladno, così come in realtà è poi accaduto, per giunta questa volta lui ufficialmente autorizzato e regolarmente “coperto” dal nostro Ministero degli Esteri.

Lo confesso, quanti dubbi mi vennero allora sulla sua vera identità? ma una cosa mi apparì chiara sin dal primo momento: Rocco Turi aveva costruito nei Paesi dell’Est rapporti accademici importanti, una rete fittissima di relazioni eccellenti, di conoscenze trasversali, di confidenze istituzionali a iosa, amici veri ma anche tantissimi informatori anonimi e occasionali, una rete assai diversa da quella di cui tanto si parla oggi e che viaggia esclusivamente sulle fibre ottiche delle città cablate, una rete fisica reale materiale fatta nel suo caso di gente vera e di incontri importanti, di attese e di partenze, di stazioni e di aeroporti, di strade secondarie e di grandi arterie internazionali, di confini e di uffici doganali a volte impenetrabili e che solo un grande professionista come lui, serio e di assoluta affidabilità, avrebbe potuto costruirsi attorno negli anni da quelle parti.

Come dirlo? Rocco Turi per anni mi è sembrato essere un intellettuale strano, un ricercatore universitario come pochi, una sorta di animale solitario che dimostrava di avere, senza neanche preoccuparsi di nasconderlo più di tanto, una dimestichezza straordinaria con i grandi segreti di Stato e soprattutto con pezzi importanti delle istituzioni straniere che questi segreti avevano custodito per oltre mezzo secolo.

Ora scopro che era tutto regolare, che tutti sapevamo di cosa Rocco Turi facesse oltre confine, di cosa stesse cercando negli scantinati delle varie ambasciate visitate, lo sapevano persino al nostro ministero degli Interni, lo sapeva il Governo italiano, ma non mi meraviglio più di tanto: proprio qualche mese fa il giornalista Franco Bucarelli (oggi ottantenne, ma un tempo storico inviato speciale del Gr2 di Gustavo Selva) mi raccontò di come aveva ritrovato quasi per caso, tra le carte segrete dell’Ambasciata italiana a Varsavia, i documenti che descrivevano nei minimi dettagli le operazioni del Kgb e della Polizia sovietica sui movimenti e sulla vita di Papa Giovanni Paolo II appena nominato pontefice.

A volte è proprio vero quello che mi diceva continuamente Rocco Turi: «basta cercarle le cose», e se «le cose che cerchi ci sono davvero allora anche un bambino sarebbe in grado di trovarle», ma «serve cercarle e saperle cercare». Ma allora mi domando, tutto questo materiale, che oggi fa parte integrante della Storia segreta del Pci, nessuno lo ha mai cercato? O nessuno lo ha mai voluto cercare? Proprio per questo ne viene fuori oggi un saggio esplosivo. Il libro apre per la prima volta uno squarcio serio su verità mai raccontate e comunque sempre taciute. E questo, attenti, non vale solo per il caso Moro a cui lo studioso calabrese dedica decine di pagine esplosive. Del libro potrei dire mille altre cose belle e importanti, ma il fatto che “i ragazzi di Soveria Mannelli” abbiano oggi deciso di pubblicarlo mi spinge a credere che sia stato proprio l’intuito di Florindo Rubbettino a ritenere di avere avuto tra le mani materiale assolutamente importante ed inedito per gli storici di nuova generazione in tutta Europa. Mi dicono che al prossimo Salone del libro di Torino Storia Segreta del Pci potrebbe fare la parte del leone. Sarebbe bello se così fosse.

 

A lezione di terrorismo in Cecoslovacchia. Il Pci sapeva

«Si ha notizia da fonte confidenziale, della istituzione di diverse scuole di preparazione politica per stranieri in Cecoslovacchia.sse sarebbero destinate a persone di una certa levatura intellettuale, destinati a formare i quadri dei partiti comunisti nei loro rispettivi paesi di origine». È quanto si legge in uno dei tanti documenti top-secret che nel 1953 l’ambasciata italiana di Praga inviava alla farnesina al ministro degli affari esteri, per informare il governo italiano di tutta una serie di “movimenti sospetti all’interno di queste scuole politiche” che in realtà erano, nei fatti, delle vere e proprie accademie del terrorismo europeo. Tutto questo potrebbe apparire un teorema, o una velleitaria ipotesi di ricerca accademica, se non fossimo invece dinanzi ad un saggio pieno di documenti di questo genere, a cui lo studioso ha avuto libero acceso, nonostante il “segreto di stato” stampato a chiare lettere su ognuno di questi carteggi, e grazie ad una borsa di studio pagata dal governo italiano. Vere e proprie scuole di addestramento dunque per vecchi e nuovi dirigenti comunisti – scrive nel suo libro Rocco Turi – «dove si tenevano corsi intensivi di psicologia individuale e di massa, dove si preparavano i nuovi terroristi del futuro, educandoli ad organizzare nel modo migliore possibile la preparazione degli scioperi, l’organizzazione dei disordini di piazza, dove si insegnava loro l’uso corrente delle armi anche le più sofisticate, dove li si abituava a raccogliere gli elementi fondamentali per mettere sotto ricatto chiunque e ai più alti livelli delle sfere istituzionali ma non solo – aggiunge il sociologo – in queste scuole frequentate da tantissimi partigiani italiani che avevano lasciato l’Italia per riparare nei paesi dell’est si insegnava soprattutto l’arte dello spionaggio e l’uso corrente dei sistemi di comunicazione in voga in tutti i paesi del bacino occidentale europeo.

Un libro per certi versi scomodo, perché secondo una teoria che lo studioso Rocco Turi tenta di dimostrare in questo suo saggio riproponendo decine di questi carteggi riservati e recuperati negli archivi delle ambasciate italiane tra Praga, Varsavia e Budapest, dietro l’uccisione di Aldo Moro e la morte di Enrico Berlinguer ci sarebbero proprio queste colonne deviate di partigiani italiani di cui la storiografia contemporanea preferisce non far cenno alcuno, ma le cui tracce – dimostra in questo saggio lo studioso – ci sono tutte evidenti e storicamente documentate ai massimi livelli istituzionali.

Un libro insomma tutto da leggere perché per la prima volta nel dibattito politico italiano qualcuno mette in dubbio che i veri mandanti del delitto Moro siano stati italiani o peggio ancora i servizi segreti americani, riportando il tutto invece alla nascita e al diffondersi di queste scuole politiche comuniste oltre i confini del nostro paese e che Rocco Turi ha individuato una per una indicandone nel suo libro l’esatta dislocazione geografica: Karlovy vary, Marianske, Lazne, Darkove, Bonjce, Luchacovice, Litomerice, e infine Trencin.

 

Delitto moro. Le Br al servizio del Kgb russo?

Il delitto di Aldo Moro sarebbe stato frutto di una strategia del terrorismo internazionale che avrebbe usato le brigate rosse per realizzare un progetto di morte in realtà pensato progettato e ideato dai servizi segreti dei paesi comunisti. Insomma, a uccidere lo statista democristiano furono sì le Br, ma “eterodirette e manipolate” da agenti e interessi assai lontani dai confini del nostro Paese. 35 anni dopo l’uccisione di Aldo Moro il libro di Rocco Turi riapre dunque il caso moro sotto una luce completamente diversa da quella che finora è stata utilizzata per leggere uno dei grandi misteri della nostra storia repubblicana. Per l’autore del saggio, Rocco Turi, le prove di questa sua tesi, per certi versi rivoluzionaria rispetto a quanto si è detto e scritto fino ad oggi, sono da ricercare seguendo proprio le tracce dei partigiani italiani fuggiti in Cecoslovacchia con la complicità del Partito comunista italiano e dell’apparato protettivo dei Paesi nel medio est europeo. Dietro la vicenda Moro, scrive Rocco Turi nel suo libro, si muovono storie e personaggi bene identificati che riconducono e coinvolgono direttamente esponenti chiave del Partito comunista cecoslovacco, ma i mille depistaggi di questi ultimi 35 anni hanno portato gli studiosi della materia e gli stessi investigatori su strade completamente diverse e lontane dalla vera storia del delitto, tesi le loro senza nessun fondamento storico. Alla base di questo saggio, frutto di oltre 30 anni di ricerche negli archivi segreti delle autorità diplomatiche dei Paesi dell’Est – sottolinea lo studioso Rocco Turi – siamo oggi in grado di produrre decine di documenti storici top-secret che confermano il ruolo determinante e dirompente che i nostri partigiani italiani fuggiti a Praga svolsero in tutti gli anni che seguirono la loro fuga dall’Italia.

Un nome per tutti – dice ancora Rocco Turi – è quello di Rudolf Barak, ex ministro dell’Interno cecoslovacco negli Anni 50, che mai aveva accettato di incontrare uno studioso straniero, e che confermò a me personalmente – sottolinea Rocco Turi – che i partigiani italiani furono per anni al servizio del Kgb e della polizia segreta cecoslovacca. Non a caso la Cecoslovacchia fu meta preferita per l’addestramento di terroristi provenienti da tutto il mondo, e tutto questo oggi lo ritroviamo nelle carte diplomatiche di quegli anni a cui io ho avuto il privilegio di poter accedere grazie ad una borsa di studio del governo italiano, e che sono il cuore vero del mio libro».


La strana morte di Enrico Berlinguer un mistero mai spiegato.

È l’11 giugno 1984, Enrico Berlinguer muore a Padova, dopo un malore che lo colpisce nel mezzo di un comizio elettorale. Ebbene, 29 anni dopo quella morte, un libro appena fresco di stampa, Storia segreta del Pci, riapre su quel triste fatto di cronaca italiano uno scenario assolutamente nuovo e quanto mai inquietante. Per la prima volta nella storia repubblicana uno studioso, il sociologo Rocco Turi, ripercorre in questo suo libro i momenti cruciali di quella sera a Padova e tenta di dimostrare una tesi mai formulata prima d’ora, secondo la quale il leader comunista sarebbe morto non per un ictus cerebrale come in realtà si è sempre raccontato, ma per responsabilità precise e dirette, legate soprattutto ad una serie di assurdi ritardi nelle stesse operazioni di pronto soccorso. «Troppe bugie ci sono state raccontate – scrive lo studioso – da un riscontro severo e minuzioso dei tempi che scandirono la morte di uno dei leader comunisti più amati d’Europa siamo oggi in grado di smentire le tesi di quegli anni. Si aspettò troppo tempo per portare Berlinguer in ospedale; dopo i primi malori Berlinguer venne infatti trasportato lentamente prima in albergo, e poi dopo oltre due ore fu chiamata finalmente un’ambulanza. Una scelta del tutto folle». Ma ci fu raccontata un’altra bugia ancora, sottolinea lo studioso: «non è vero che Berlinguer venne operato appena arrivato in ospedale, ma è vero invece che venne portato in sala operatoria solo all’una di notte, dopo circa due ore trascorse in albergo, dunque due ore e mezzo più tardi dal suo malore in Piazza della frutta. La cosa più grave, ma anche più strana a giudizio di questa tesi, è che accanto ad Enrico Berlinguer quella sera ci fosse anche un medico, un medico comunista che aveva partecipato alla guerra di liberazione, iscritto alla Associazione nazionale partigiani d’Italia, Giuliano Lenci, nonché primario all’ospedale “Busonera” di Padova; fu lui a soccorrerlo e a ordinare di portarlo subito in albergo, nella sua stanza già occupata al quarto piano dell’hotel Plaza». Rocco Turi ricorda che Enrico Berlinguer incominciò a sentirsi male esattamente alle 22.30 di quella sera, «dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua, e allora si disse che era servito a reprimere dei conati di vomito, ma chi ha del vomito non ha mai voglia di bere». Subito dopo la sua morte si disse anche che Enrico Berlinguer aveva incominciato ad avvertire i sintomi della congestione per via della cattiva cena della sera precedente a Genova, ma nessuno si è mai preoccupato di analizzare l’acqua bevuta dal leader comunista durante il comizio. Ma per lo studioso, che ha deciso oggi di fare in questo libro le pulci alla storia e ai segreti del vecchio Partito comunista italiano, ci fu un altro dettaglio che quella sera avrebbe dovuto porre agli inquirenti alcune domande importanti: «Quella sera tutti si preoccuparono di intercettare la registrazione video con le immagini del comizio e del bicchiere d’acqua. Ci furono telefonate tempestose: alle due della notte, quando Berlinguer era in sala operatoria, Folena era riuscito a contattare a Roma il responsabile comunicazione del Pci, Walter Veltroni, il quale riuscì a fare intervenire la Rai. E la Rai contrattò con l’avvocato dell’operatore e acquistò la cassetta video. Il contratto fu steso dentro un furgone, nel piazzale dell’ospedale. Una fretta inadeguata. Un mistero anche questo».

Secondo la mia tesi – sentenzia oggi Rocco Turi – «attraverso corretti e tempestivi passaggi metodologici, forse, Berlinguer avrebbe potuto avere salva la vita anche nel caso di un malessere provocato da cause diverse da quelle ufficiali. Ci fu un complotto?». Ed è a questo punto che il volume spiega come la morte di Berlinguer potrebbe avere un legame con la morte di Aldo Moro: «Entrambi lavoravano per realizzare in Italia il primo compromesso storico della storia repubblicana, e probabilmente i servizi segreti dei Paesi dell’Est, e non soltanto loro, non riuscivano ad accettare che questo potesse accadere».

 

Andreotti rivelò l’esistenza di Gladio rossa

«In Cecoslovacchia furono addestrati dei giovani a un determinato tipo di guerriglia». Sono parole di Giulio Andreotti, pronunciate il 18 maggio 1973 al Senato nella seduta pubblica n.156. A ricordarlo è sempre Rocco Turi. In quell’occasione – precisa lo studioso – ci fu una gran polemica con il senatore Bufalini, il quale accusò Andreotti di dire “baggianate” e di usare “argomenti fascisti”. Nel 1978 la circostanza sulla Cecoslovacchia fu confermata dal Corriere della sera: «Doveva saperlo anche Moro nella sua qualità di presidente del Consiglio». Ma Moro e tutti gli altri presidenti del Consiglio rispettarono il segreto, tranne Andreotti il quale, nel 1990, rivelò anche l’esistenza di Gladio stay behind.

«Si aprì così un dibattito politico – spiega Turi – che portò alla scoperta di Gladio rossa. Andreotti fu additato come il colpevole n.1 delle gravi violazioni di segreto e ne pagò le conseguenze con una lunga gogna giudiziaria». Il 12 febbraio 1996 in un incontro a Palazzo Giustiniani, in preparazione di questo libro, Rocco Turi esibì ad Andreotti la ricostruzione degli eventi ed egli ne condivise l’interpretazione allargando le braccia in maniera beffarda e socratica. «Se da un lato Andreotti alimentava il suo potere nell’ombra – conclude Rocco Turi – egli fu anche un ingenuo perché non comprese la gravità delle sue dichiarazioni. Le accuse contro Andreotti furono così in grado di dirottare nei suoi confronti l’attenzione crescente della stampa che si era creata verso la Gladio rossa, le cui indagini furono più volte archiviate».

Di R.C.

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