«Sì a primarie per legge»

di Michele Giacomantonio, del 5 Ottobre 2012

Dal Corriere della Calabria – 05 ottobre 2012
Il professore Silvio Gambino analizza la questione dei rapporti tra società e partiti e invita la politica a prendere esempio dagli Stati Uniti

Nell’ormai lontanissimo 1994 arrivava in libreria Elezioni primarie e rappresentanza politica, edito da Rubbettino e scritto a più mani da una pattuglia di docenti della facoltà di Scienze politiche dell’Università della Calabria. Si trattava di un’opera che affrontava la questione dei rapporti tra società e partiti e suggeriva, in tempi fortemente anticipatori rispetto alle frenesie attuali, l’uso delle primarie come strumento di selezione della classe dirigente. A distanza di così tanto tempo ne discutiamo con Silvio Gambino, che all’epoca era uno dei principali autori del libro e ancora oggi è punto di riferimento sul senso delle primarie.

Quanto sono attuali quelle pagine così lontane nel tempo?
«Molto attuali, ma occorre vedere per chi. Perché molto tempo è passato, ma non utilmente. Le cose non sono uguali, sono peggiorate, oggi viviamo in una situazione in cui i buoi sono scappati da un pezzo».

Esiste un collegamento tra la legge elettorale e le primarie?

«Sì, sia con la legge precedente ma ancor di più adesso col Porcellum di Calderoli, la sinistra avrebbe dovuto usare le primarie come strumento per selezionare i candidati, e restituire un autentico protagonismo ai cittadini».

Il ruolo delle primarie non è mutato, dunque.

«Era un modo per dare la possibilità ai partiti di avviare una reale democrazia interna, per superare le forme di oligarchie e cristallizzazione delle classi dirigenti. Non sembra che i partiti abbiano dimostrato di essersi adoperati in tal senso, né di averne avuto il desiderio. Le primarie restano uno strumento importante per i partiti di sinistra, per aprirsi autenticamente alla società».

Perché i partiti di sinistra? Alla destra non servono le primarie?

«La destra che abbiamo conosciuto è padronale, si tratta di un partito personale, fondato sul carisma di un personaggio, sulla sua capacità attrattiva basata su parole d’ordine populiste, non c’è un dibattito interno vero. Che se ne fanno delle primarie?».

Oggi infatti è l’area riformista che si misura con l’evento primarie, con notevoli incertezze e molte fibrillazioni.

«Alla base di un esperimento di primarie ci devono essere regole ben chiare e inequivoche. Intanto definire se si tratta di primarie di partito o di coalizione, poi la creazione di un comitato di garanti, sui quali nessuno nutra dubbi, e poi ancora, cosa di massima rilevanza, il riconoscimento da parte di ogni partecipante della regola basilare della desistenza. Infatti questo è il principio su cui costruire le primarie: chi partecipa al confronto e perde, si impegna dopo a sostenere senza riserve chi si è affermato nel confronto. Vorrei dire una cosa che dà forza alla necessità di tenere elezioni primarie. L’articolo 49 della Costituzione afferma che i cittadini devono concorrere alla vita democratica attraverso i partiti. Ebbene, le primarie sono lo strumento più adeguato per dare senso e concretezza a questo articolo della Carta, ancor di più dopo lo scollamento avvenuto tra i partiti e la società».

Sembra che lei suggerisca una legge per far svolgere le primarie e regolamentarle.

«Sì, è così: in America le primarie non sono certamente lasciate all’arbitrio dei partiti, ma sono regolamentate per legge, secondo normative emanate dai singoli Stati. Guardiamo quello che sta accadendo oggi nel Pd. C’è uno scontro tra il giovane e rampante Renzi contro Bersani che è il suo capo. Perché mai Sel o Italia dei valori dovrebbero partecipare? Sel, per esempio – che, a suo modo, dispiace dirlo, è pure esso un partito per molti versi personale grazie alla potenza del carisma di Vendola -, pare avere tutti gli interessi a stare a guardare il Pd dissanguarsi».

Il Pd, insomma, pare essere la sola forza politica che dovrebbe guardare alla primarie con massimo interesse.

«Sì, ma con questo sistema il Pd non solo · non si apre realmente alla società, si lacera. Dall’altra parte c’è una destra berlusconiana che ha i soldi, pronta alla corruzione, i cui programmi sono quelli delle varie P2 e P3. Alla destra le primarie non servono».

Per la sinistra sono invece fondamentali e sembra ne faccia un pessimo uso.

«La sinistra ne fa un uso legato alla rapsodica manifestazione di protagonismo interno, che in genere precede lo sfaldamento. E questo è irresponsabile, perché il Paese ha bisogno di strategie sicure».

In Calabria il Partito democratico è commissariato. In questo clima si reclamano le primarie.

«Non mi pare di vedere prospettive di respiro strategico. Il partito, che appunto resta commissariato, è stato per troppo tempo nelle mani di un gruppo dirigente che si è dileguato, senza affrontare le proprie responsabilità: Loiero non si sa dove vada. Bova ha lasciato la presidenza del consiglio regionale e non si è iscritto al gruppo del Pd nello stesso Consiglio; Adamo – che pure non è iscritto al Gruppo – ha ancora qualche problema e io gli auguro di risolverlo presto. Questi politici hanno avuto responsabilità nel partito e nella Regione e sono stati protagonisti di una stagione fallimentare. E non vedo oggi nel partito un impegno a far respirare le sue idee e a farle circolare tra i cittadini».

Magari le primarie possono servire a fare piazza pulita.

«A questo dovrebbero servire. Intanto io vedo uomini e donne che sono stati protagonisti di quella vecchia stagione e potrebbero anche essere nuovamente candidati».

Di Michele Giacomantonio

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