Evitate la Morante (e dimenticate la Ferrante): abbiamo una grande scrittrice, Sonia Serazzi (Linkiesta (.it))

di Davide Brullo, del 11 Maggio 2018

La carota. Ora vi dico quello che volevo scrivere, quello che ho scritto, quello che è giusto scrivere. Volevo scrivere qualcosa del genere. «Il nuovo Cormac McCarthy è una donna, è nata nel 1971 e vive in un paese dimenticato dagli dèi, in Calabria». Molto giornalistico. Parzialmente veritiero. Quello che ho scritto, privatamente, a un amico, è questo: «Il libro è notevole. Mi piace che vada tra i sassi con la Bibbia nella tasca, che sia scandito da placche brevi e da parole forti. Come vetro che, levigato, diventa cuoio». Il libro s’intitola Il cielo comincia dal basso, l’autrice si chiama Sonia Serazzi e, per capirci, è molto più brava di una Elena Ferrante qualsiasi. La storia è quella, militare e microscopica, di Rosa Sirace, che «Ho deciso da un poco di appuntare sull’agenda la vita che faccio. E mi piace riempire fogli con sopra il numero del giorno: non ho tutto lo spazio e tutto il tempo, quindi è giusta una carta che contando me lo ricorda». Rosa ha un po’ gli occhi di una Amélie, un po’ gli sguardi, di glaciale lucidità, di una tigre in estinzione. Il libro è la cronaca di una vita infantile, negli inferi della provincia, scandito – scelta strutturale perfetta – per epigrafi, di lirica bellezza: «A Natale incartai al mio amico una palla di vetro con dentro una bimba grassoccia e mora che, ad agitarla un poco, gettava intorno a sé minuscole scintille d’argento. Ero io la bimbetta nella palla di vetro, e il professore delle stelle mi poggiò sul suo comodino: non aveva più voglia di rifugiarsi in soffitta per fendere il buio col telescopio, quindi si coricava su un fianco e le mie stelline imbottigliate lo consolavano». Spesso i passaggi narrativi troncano il fiato, fanno fiorire vertigini («Una notte dopo l’altra, il padre di Domenico si persuase che la morte era masticare il nulla per un poco, tanto un filo di pienezza segreta durava colando in bocca, ed era latte senza fine»), tanto che vien voglia di sottrarre la Serazzi dalla sua magica provincia e precipitarla nella cristalleria di un Premio Strega. Magari. Anzi. Meglio di no. Dalla penuria della solitudine, ecco uno scrittore vero, verace, senza scuole né pudori. Quello che volevo scrivere è che. Il libro di Sonia Serazzi mi ha ricordato Pedro Paramo di Juan Rulfo. Stessa materia genealogica che si fa sasso, stesso valzer tra polvere e ossessione. Ma i giochini del critico letterario, francamente, servono a sfamare il niente. Leggete Sonia, è sufficiente

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