Utilizzare l’Intelligence per limitare il potere di chi comanda il mondo (Sicilia Informazioni)

di Cettina Vivirito, del 22 Gennaio 2018

Chi comanda il mondo? La risposta sta in un libro: “Come si comanda il mondo. Teorie, volti, intrecci”, Rubbettino, 2017, di Giorgio Galli, decano dei politologi italiani, e Mario Caligiuri, uno dei massimi studiosi di Intelligence in Italia. “Sono 65 persone, un pugno di persone a fronte di tutti noi, 7 miliardi di abitanti della Terra”. Se non fosse che a scrivere questo libro sono due grandi menti del nostro tempo forse non sarebbe stato il caso di parlarne visto il tema che può facilmente essere tacciato di qualunquismo, di istigazione a un certo populismo, alla teoria del complotto ecc. Ma si tratta di due studiosi che fanno delle analisi molto serie, che hanno incrociato dei dati e ci forniscono un quadro reale e realistico.

Di fronte al disordine mondiale di una società globale in cui esistono multinazionali con un fatturato superiore a quello di molti Stati, ci si domanda con sempre maggiore insistenza chi comandi il mondo. Di fronte al controllo del potere che si sta trasformando in maniera rapidissima, i due autori approfondiscono uno studio del Politecnico di Zurigo che rintraccia le 50 multinazionali finanziarie più capitalizzate del mondo, analizzando il passaggio del potere dal pubblico al privato e interrogandosi sulla possibilità di arginare le azioni di questa élite finanziaria che gestisce le sorti del pianeta prima che sia troppo tardi.

Il libro chiarisce subito che non è il caso di avvalorare teorie del complotto, che non esiste una specie di “regia occulta” che controlla i destini del mondo. Però indubbiamente negli ultimi 150 anni gli Stati hanno smesso di essere il centro principale del potere nella nostra società cedendo il passo a nuove élite che si muovono su un piano diverso e che hanno alcune caratteristiche particolari: non sono elettive, non sono automaticamente note al grande pubblico, si allargano per cooptazione e sono caratterizzate da un forte grado di competizione al loro interno. E qui forniscono cifre concrete: nel 2007 il Pil globale era di 47 trilioni di dollari. Nello stesso anno le 250 più importanti società del mondo hanno realizzato complessivamente un fatturato di 14,87 trilioni di dollari, “Una cifra quasi equivalente a un terzo del Pil globale e superiore a quelli degli Usa e dell’Unione europea, rispettivamente 13,20 trilioni e 13,74 trilioni”. Ma la struttura economica delle multinazionali è ancora più verticistica di quanto possano dimostrare questi dati: “La somma del fatturato delle prime 5 società –Walmart, Exxon Mobil, Royal Dutch Shell, Bp e General Motors – ammontava a circa 1,5 trilioni di dollari, un importo superiore al Pil di tutti i Paesi, tranne 7”. Questa rete di multinazionali spesso è strettamente collegata al sistema bancario e anche alle agenzie di rating, e Galli e Caligiuri illustrano bene il caso del declassamento del rating dell’Italia che fece cadere il governo Berlusconi nel 2011; anche in questo caso le due agenzie di rating che fecero partire la svalutazione (Standard & Poor’s e Moody’s) sono entrambe partecipate dalla stessa società di investimento statunitense, società che possedeva anche una quota consistente di Bund tedeschi. In più, all’interno di queste multinazionali le decisioni vengono prese da un numero molto ristretto di persone, per le quali non si può usare la definizione “pochi eletti” perché si, hanno un grande potere, ma non li ha eletti (nel senso democratico) nessuno. Esiste quindi una sorta di “superclass planetaria” rispetto alla quale anche il tradizionale potere politico può trovarsi in condizione d’inferiorità.

Ci sono quindi 65 persone il cui nome compare in moltissimi consigli di amministrazione e che vengono riportati in una apposita appendice del saggio che vede al primo posto James Staley, ceo di Barclays e al sessantacinquesimo Wang Yupu, del China Petrolchemical Group. Si tratta di persone che fanno parte contemporaneamente di più consigli di amministrazione compresi quelli universitari: la più esclusiva associazione di studenti di Yale è la Skull and Bones Society. Sono stati suoi membri sia George W. Bush, presidente eletto nel 2001, sia il suo sfidante John F. Kerry. Insomma in quell’anno per gli Usa c’era una sola possibilità: eleggere un presidente membro della Skull and Bones Society. Questo vuol dire che spesso la stessa multinazionale finanzia le campagne elettorali di entrambi i candidati alle presidenziali statunitensi. Il presidente eletto negli Usa che ha meno avuto bisogno del denaro degli altri degli ultimi decenni è Donald Trump che comunque ha posizionato in ruoli importanti molti dei suoi finanziatori. A soffrirne potrebbero essere, secondo i due studiosi, sia la libertà di mercato sia, fondamentalmente, la democrazia. Tutto questo senza nessuna cupola e senza nessun complotto, ma semplicemente per l’evoluzione del sistema economico. Ovviamente Galli e Caligiuri non forniscono chiavi di accesso a facili soluzioni del problema planetario ma indicano due vie possibili: la prima è quella che vedrebbe più democrazia elettiva anche nella gestione delle imprese, la seconda è quella della divulgazione a 360 gradi delle informazioni che renderebbe il cittadino più partecipe e quindi con una maggiore comprensione del sistema economico, che aumenterebbe a livello esponenziale la sua possibilità di controllarlo.

Il libro è stato presentato a Roma presso la sala “Nilde Iotti” della Camera dei Deputati con i lavori coordinati dallo stesso editore, Rubbettino. La prima relazione è stata tenuta dal direttore del Centro Studi Americani Paolo Messa che ha evidenziato come il lavoro di Galli e Caligiuri rappresenti uno strumento di riflessione che pone un appello al primato della politica, intesa quale strumento per ridurre le diseguaglianze sociali. “In tale quadro” – ha sostenuto – “è cruciale il tema della responsabilità e della consapevolezza delle élite”. Ha però trovato “suggestiva” l’idea che il potere risieda esclusivamente in contesti non democratici, ma non convincente, e ha invitato a riflettere su come vengono selezionate le élite cinesi e in che modo i fondi sovrani possano condizionare lo sviluppo economico degli Stati destinatari degli investimenti. Infine, ha introdotto il tema del finanziamento della politica, evidenziando come proprio negli Stati Uniti si stia riflettendo approfonditamente sul condizionamento determinato dal sostegno delle multinazionali.

Il secondo relatore è stato il sottosegretario alla giustizia, Cosimo Ferri, che ha parlato di un libro plurale e complesso che affronta un tema di straordinaria attualità poiché illumina realmente quello che c’è dietro le quinte del potere. Prima di tutto ha individuato la chiave di lettura pedagogica, che è ritenuta fondamentale per la ricostruzione della democrazia. Si è poi soffermato su alcuni aspetti delle analisi contenute nel libro: dal ruolo delle mafie e del riciclaggio nei mercati internazionali al debito pubblico che determina le politiche degli Stati, dalle spinte delle lobby nel determinare le leggi ai paradisi fiscali dove tutto si confonde, dai conflitti di interesse che caratterizzano le scambievoli élite economiche e politiche al ruolo strategico delle università nell’elaborazione di teorie che sostengono l’azione delle classi dirigenti. Infine, ha evidenziato che il testo approfondisce due filoni: la libertà di mercato -che determina il peso dell’economia nella società – e la debolezza della rappresentanza della democrazia. Ferri ha concluso ribadendo il valore etico della partecipazione consapevole dei cittadini per controllare chi comanda. Infine i due autori hanno espresso le loro idee: Giorgio Galli ha spiegato come l’dea del libro parta da lontano e cioè dalle teorie sulle élite di Mosca e Pareto attualizzate nell’evoluzione della società contemporanea. “Oggi” – ha sostenuto – “non è vero che il potere sia nebuloso e difficile da individuare poiché risiede in gran parte nel nocciolo del capitalismo mondiale, identificato nei dirigenti apicali delle 50 multinazionali finanziarie individuate dallo studio del Politecnico di Zurigo, che è alla base del saggio presentato oggi” aggiungendo che “il nostro lavoro non intende demonizzare ma capire chi sono effettivamente le élite che determinano le scelte pubbliche di fondo, come si relazionano e come si formano”. Riprendendo la sollecitazione di Paolo Messa, si è soffermato su come gli strumenti dei partiti e delle multinazionali che sono stati inventati dalla democrazia rappresentativa dell’Occidente vengano adesso utilizzati in sistemi politici autoritari come quello cinese. Richiamando Pareto, che sosteneva che nella società potevano affermarsi sia “élite di mistici che di briganti”, ha identificato il moderno “Leviatano” di Hobbes nelle multinazionali, che si sono sviluppate dalla Compagnia delle Indie ad oggi. “Nella nostra società” – ha spiegato – “la distinzione tra pubblico e privato perde in gran parte la sua importanza poiché gli strumenti operativi sono identici”. Galli si è quindi soffermato sul finanziamento delle multinazionali che condizionano sia le scelte delle istituzioni politiche che le ricerche scientifiche e le visioni del mondo diffuse dalle università. Infine ha concluso che ieri il potere veniva in parte determinato dalle “7 sorelle” che erano le compagnie del petrolio dominanti mentre oggi probabilmente risiede nelle “5 sorelle” rappresentate dai principali colossi di Silicon Valley che condizionano l’informazione e le capacità di scelta del mondo politico. Mario Caligiuri ha spiegato poi, in conclusione, il significato di “un libro che è più libri” poiché tratta dell’efficienza della democrazia e della trasformazione del potere, del ruolo della propaganda e dell’influenza dell’economia, della formazione delle élite e della centralità dell’educazione. Ha quindi evidenziato che l’intenzione del volume, al di là del titolo “impegnativo”, è quello di estrarre “il segnale dal rumore” e cioè le tendenze sociali di fondo nell’eccesso della società della disinformazione, tenendo conto che la realtà è sempre davanti agli occhi di tutti. L’obiettivo del saggio per Caligiuri è stato quello di mettere tutti insieme per la prima volta fatti molto noti per costruire uno scenario comprensibile da contrapporre a quello inevitabilmente frammentato e distorto narrato dai media. Ha ribadito che si tratta di un libro scritto per rendere più efficiente la democrazia rappresentativa, cogliendo la trasformazione del concetto di “cultura” che va specificandosi da conoscenza del passato in capacità di previsione del futuro. “In questo gioco degli specchi e in questa società delle ombre” – ha sottolineato – “si crea un corto circuito cognitivo in cui la realtà sta da una parte e la percezione della realtà dall’altra”. Infatti, ha ricordato, chi ha un forte potere di indirizzo sui destini del mondo non sono quelle persone che appaiono ogni giorno sulle televisioni o nei quotidiani ma quelle che gestiscono le società finanziarie globali. Sono persone, ha puntualizzato, che condividono gli stessi percorsi formativi e una comune visione del mondo e che orientano la loro azione avendo quale unica stella polare il proprio profitto personale. In tale quadro ha ribadito la centralità della questione pedagogica che non appare affatto nel dibattito politico e nei programmi elettorali a pochi mesi del voto in Italia, mentre ha ricordato che è una priorità politica per tanti altri Paesi. Caligiuri ha concluso sostenendo che è fondamentale la comprensione della realtà da parte dei cittadini anche attraverso strumenti educativi come l’Intelligence (Caligiuri è dirigente del settore studi su Intelligence all’università della Calabria, master 2007) che, identificando le informazioni rilevanti, contribuisce a fronteggiare la disinformazione dilagante: probabilmente uno dei problemi più gravi della società contemporanea. “Si tratta di persone persone molto più influenti di Trump” per citare solo il più noto, sono quelli che determinano “tutto” in un conflitto molto aspro tra loro stessi perché ognuno di loro ha un unico obiettivo: creare utili per sé. Sono soprattutto Manager, perché, come ha spiegato Galbraith in quel libro formidabile che è “L’economia della truffa“, l’economia mondiale è preda dei manager.

L’Intelligence, secondo Caligiuri, è uno strumento che non può essere lasciato in mano solo ai pochi che operano in tal senso ma dovrebbe essere messo al servizio di tutti perché l‘Intelligence è conoscenza, serve alle persone in quanto strumento per difendersi dalla società della disinformazione all’interno della quale siamo totalmente immersi, dove le fake news non sono un fatto episodico: la disinformazione è costante e i legami che hanno queste multinazionali con gli organi di informazione di élite lo dimostra in maniera evidente. Cosi come è strumento necessario per le aziende che devono sopravvivere nei tempi della globalizzazione ed è decisivo per gli stati che devono garantire il benessere e la sicurezza dei cittadini, è uno strumento che risponde ad esigenze di trasparenza e non ha bisogno di segretezza. Non è una contraddizione, uno pensa all’Intelligence come una sovrastruttura di strumento di potere è invece un corso universitario che può essere seguito da molti per capire come sia fondamentale la gestione delle informazioni, la selezione di quelle decisive da quelle che non lo sono, per poter comprendere la realtà. Se le parole sono conseguenza delle cose Intelligence significa intelligenza, dote umana fondamentale che ha a che fare con il pensiero, con la razionalità, con la logica che è quella che stiamo smarrendo grazie al bombardamento delle informazioni. Il potere non è impersonale e bisogna eliminare la fake per la quale tutto sembra ormai essere dovuto a un algoritmo: esistono persone reali, solo 65, che “effettivamente comandano il mondo, che realmente influenzano i destini del pianeta”.

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