Non una storia di calcio, ma il calcio c’è, eccome (Il Giornale del Popolo)

di PAOLO GALLI, del 13 Giugno 2013

Da Il Giornale del Popolo del 13 giugno 2013

«Tuttavia, in quell’inferno c’era almeno una cosa per cui valesse la pena vivere. Giovanotto, sto parlando del fùtbol». Il romanzo “Altre stelle uruguayane”, presto in libreria, firmato dall’esordiente ticinese Stefano Marelli (e edito da Rubbettino, che l’ha scoperto grazie al premio letterario calabrese Parole nel vento), parte anche da qua. Il suo non è comunque un romanzo calcistico; il calcio – o meglio, il fùtbol – è utilizzato più che altro dal protagonista della narrazione come una sorta di mezzo di trasporto, che lo trascina, lungo la corrente, dal Sud America sino all’Italia di Mussolini. Nesto Bordesante, è questo il nome di uno dei personaggi, di finzione – anche se vi darà la sensazione di essere un personaggio realmente esistito -, del romanzo, era però un calciatore magnifico, uno degno di quell’Uruguay che fece la storia del calcio. «Nesto non poteva essere che uruguayano – spiega Marelli – Il caso calcistico dell’Uruguay, che con i suoi tre milioni di abitanti ha vinto tutto quello che ha vinto, è davvero speciale. Io iniziai ad appassionarmi della Celeste nell’inverno che unì il 1980 al 1981, grazie al Mundialito che si disputò proprio in Uruguay, e che poi l’Uruguay vinse. Avevo dieci anni». L’Uruguay, in quell’occasione, batté l’Olanda (che sostituì l’Inghilterra, che a sua volta snobbò l’evento) e l’Italia, e in finale il Brasile.«Nel mio libro si parla anche di calcio, ma non volevo scrivere una storia di calcio». Come riportò il saggista brasiliano Edilberto Coutinho: «Lo scrittore scrive sempre delle sue passioni. E l’uso che in certi casi le dittature fanno del calcio non invalida il gioco, la forza magica della sua bellezza e della sua emozione, che continuano a prevalere. Perché il calcio, come la letteratura, se ben praticato, è forza di popolo. I dittatori passano. Passeranno sempre. Ma un gol di Garrincha è un momento eterno», che merita di essere raccontato. Marelli conferma. Il calcio è una sua passione da sempre. L’altra sua passione è per il Sud America. «Tra i 20 e i 30 anni l’ho girata in lungo e in largo, un po’ da sbandato. Quindi in Sauro – l’altro protagonista del romanzo, catapultatosi in quella realtà, ndr – c’è molto di autobiografico. La storia di Sauro è però volutamente più comica, rispetto a quella, tragica, di Nesto». Sauro, grazie ai racconti del misterioso Brujo, si rituffa nell’epoca del grande calcio rioplatense. «Il mio sogno sarebbe una macchina del tempo che mi faccia vedere dal vivo quell’Uruguay giocare a pallone. Oggi forse i calciatori sono generalmente più tecnici, ma quelli che emergevano, allora, avevano qualcosa di magico. Quando l’Uruguay sbarcò a Genova nel 1924, per le Olimpiadi di Parigi, organizzò una serie di amichevoli in modo da finanziarsi la trasferta. Ebbene, quando gli europei videro quelle prodezze, gli stop di petto, le rovesciate, i colpi di tacco, abituati com’erano a un gioco soltanto atletico, rimasero di stucco». D’altronde, all’epoca, «in Uruguay la popolazione aveva poco o niente, e allora si concentrò sul calcio, facendone una sorta di religione». Come racconta il Brujo nel romanzo: «Il fùtbol, per molti di noi, rappresentava l’unica ragione di vita. Per quel che mi riguarda, il pensiero del pallone e l’attesa del sabato pomeriggio riuscivano a tenere impegnata la mia mente per l’intera settimana».

di PAOLO GALLI

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