Biografia irriverente di Giggino (Il Quotidiano della Calabria)

di BRUNO GEMELLI, del 9 Ottobre 2013

Da Il Quotidiano della Calabria del 09/10/2013

Ad un personaggio pubblico caduto in disgrazia, “due volte nella polvere, due volte sull’altar”, il minimo che gli possa capitare è che gli si dedichi un libro velenoso con la summa di tutti i suoi sbagli. Tanto per usare un eufemismo. E” quello che sta capitando al sindaco di Napoli, Luigi De Magistris per la sua prima vita di pubblico ministero e per la sua seconda vita di amministratore di una grande citta. I suoi-  come definirli: nemici o avversari? – dicíamo contestatori, l’hanno atteso al varco per bastonarlo con una sorta di libro-diario in cui gli viene rinfacciato tutto. Ma proprio tutto. Mettendolo alla gogna» Esce oggi, per i tipi di Rubbettino,
“De Magistris il pubblico mistero”, sottotitolo “Biografia non autorizzata”  (pagine 451 – 15,00 euro).
Gli autori sono i giornalisti Gian Marco Chiocci, neo direttore del Il Tempo e inviato de Il Giornale, e Simone Di Meo, redattore giudiziario de Il Sole 24 Ore. Chiocci è figlio d’arte, suo padre Francobaldo Chioccí, rimase famoso per un reportage da Locri in cui raccontò come il tribunale di quella città mise in vendita le armi sequestrate alla “ndrangheta poi ricomprate dalla stessa in un’asta pubblica, proibita sempre dagli stessi “ndranghetisti a chi non era “legittimo proprietario” delle armi. I due autori hanno snocciolato 39 capitoli che dovrebbero rappresentare altrettanti capi d’accusa nell”immaginaria legge del contrappasso.
Il libro è spiegato già nella copertina dove il volto disarmato di De Magistris, con una sfumatura luciferina che declina un sorriso artefatto secondo i desiderata dei vendicatori, e rappresentato da una bandana arancione. La trama e l’ordito che richiamano la metafora di un Berlusconi e del suo contrario. Gli estremi che si toccano. A ciò, per completare l’ informazione di servizio al lettore che si appresta a leggerlo, e ne vale la pena, occorre aggiungere che la prefazione esce dalla penna scapigliata e irriguardosa di Filippo Facci, uno che, quando scrive, e scrive bene, sembra voglia dire l’esatto contrario di quello che ha scritto. Un allineato irregolare, scrive Facci a un certo punto; « Hanno avuto [gli autori n.d,r,] il fegato di approfondire l’ effettivo valore di “Toghe lucane”, “Poseidon” e “Why not” ›› e altre inchieste che meritavano seri interrogativi solo dal nome che portavano. Io confesso, non ebbi il coraggio» .
La confezione del contro j’accuse s’impreziosísce, in ogni capitolo, di molteplici citazioni, alcune veramente dotte. Ma siccome tutto il libro e connotato da una sorta di legge del taglione, occhio per occhio e dente per dente, gli autori crocefiggono Giggino – così viene chiamato – l’ex pm, con le sue stesse parole. Ogni capitolo ha una sua citazione. Il primo capitolo ospita questo doppio:
“Ogni rivoluzione evapora lasciando dietro solo la melma di una nuova burocrazia” (Franz Kafka) e “Sicuramente ho fatto degli errori procedurali, delle cose che avrei potuto fare in altro modo. Ma aver fatto del male a una persona al punto da chiedergli scusa, no” (Luigi De Magistris). Riconosco in quest’ultima affermazione il De Magistris che ho conosciuto avendolo visto e sentito in numerosi eventi pubblici, sia da pm che da politico. Una volta, durante una convention di Italia dei Valori sentii dire a De Magistris (cito a memoria): “Quando incontro una persona io devo sapere chi è, che fa, come campa”. Mi vennero i brividi. Mi sembrò l’Unione sovietica di Berija. Tuttavia, con la stessa franchezza, ammetto che se fossi stato un elettore di Napoli l’avrei votato Giggino, quando la spazzatura raggiunse il secondo piano delle case. In questa contraddizione, in questi stati d’animo che fanno a pugni tra loro, una volta incudine e una volta martello, c’e tutta la vicenda De Magistris. Il libro, sebbene corposo, l’ho letto in una volata perche in fondo, vivendo tra e per i giornali, scorrendo i capitoli vedevo un film gia visto. Parola per parola. Per mia fortuna non sono un cronista di nera, quindi sono esentato dal leggere quelle lenzuolate di ordinanze, di atti processuali. Luigi DeMagistris ha fatto il magistrato nella citta in cui vivo, e mi sono sempre rifiutato di valutarlo prima come giudice e poi come politico perche mi è sembrato sempre fuori le righe. Sempre esagerato. Senza pensare che è sempre meglio il paradosso che il pregiudizio.
La lettura del libro non fa che confermare la “prima” impressione, gli autori, demolendolo, lo rappresentano come uno “sbirro” investito dalla missione di salvare il mondo. Lo “sbirro” archetipo, con la caratteristica di vietare agli altri quello che si concede per se. E poi – ancora per gli autori –  quella sensazione sgradevole per il giudicato di giustificarsi senza motivo quasi che in ciascuno di noi conviva il peccatore che non c’è. Per contro bisogna dire, nel momento in cui si cerca di metterlo alla gogna, che c’erano dati di fatto. Non le ha inventate De Magistris le procure somiglianti ai porti delle nebbie, tra corruzione e familismo amorale.
Depistaggi e consorterie varie. Il libro sostiene anche che egli tecnicamente è stato un pessimo giudice. Poiché questa cosa l’ho sentina dire a tante persone, anche le più neutrali o le più predisposte ad assecondare i teoremi del giudice, deduco che simil vulgata si avvicini al vero. Quello che molti gli hanno rimproverato in questi anni, tra le opinioni più soft, e stato quello di aprire dossier, allargarli all’ infinito e poi restare con un pugno di mosche in mano. E pur vero che la sua vicenda ha mostrato i palazzi di giustizia divisi in due tra guelfi e ghibellini. E le vicende recenti e passate (soprattutto) di Reggio Calabria ci consegnano quello che tutti sappiamo: una giustizia malata. In cui De Magistris probabilmente ha rappresentato una forma patologica, Facci parla di un «Io solo contro il Pianeta», Il sindaco ha diviso l’opinione pubblica. Ma oggi De Magistris ha difficoltà a trovare avvocati difensori disposti a esporsi per difenderlo. Perche? Perche a furia di diffidare di tutti ha perso i contatti con molti dei suoi estimatori.
Anche da chi gli ha dato credito in questi anni. Anche da coloro che in radice consideravano la sua azione moralizzatrice congrua, adeguata, necessaria. Purificatrice. Ma col giustizialismo non si va da nessuna parte. Perché fa il paio con il populismo. 
Una contaminazione automatica. Nell’ora della polvere questo libro celebra, in un certo senso, il giorno del giudizio. Tra quelli che non giudicano e non vogliono essere giudicati. Poi si fanno avanti i garantisti, soprattutto quelli pelosi che nel libro trovano ristoro. Viene facile fare il garantista solo a chi non ha mai avuto a che fare con la giustizia. Bisogna, infine, capire quanti hanno sofferto per colpa del giudice-sceriffo. Questi – statene certi- decreteranno il successo editoriale perche sara una corsa a metterlo bene in evidenza in quale scaffale di casa.

DI BRUNO GEMELLI

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