Corrado Stajano recensisce sul Corriere “Il riscatto” (Corriere della Sera)

del 3 Luglio 2013

Marcello Villari

Il Riscatto

Girolamo Tripodi bracciante e sindacalista, parlamentare e sindaco

L’ansia di riscatto muove le montagne

Dal Corriere della Sera del 3 giugno 2013
 

Umberto Zanotti Bianco l’arcangelo laico quasi del tutto dimenticato che tanto fece per l’Italia – Luigi Einaudi nel 1952 lo nominò meritoriamente senatore a vita – fu nel nostro Mezzogiorno, lui archeologo, scrittore, saggista, un volontario d’epoca. Era inorridito, nel primo Novecento, dalle condizioni disumane della gente di Calabria dove visse a lungo, testimone operoso che cercò, come poté, di portar rimedio al degrado di quei paesi. Ne scrisse nel suo tormentoso racconto-verità, Tra la perduta gente. Sei, sette persone dormivano ammucchiate in angusti antri, il forno e il telaio accanto ai pagliericci, i formaggi, le trecce di cipolle, i fasci di ginestre che pendevano dal soffitto: «In uno di questi vani vidi nella penombra steso su d’un letto, accanto a un malarico febbricitante, un grosso maiale». La miseria, l’arretratezza, le malattie, l’impressionante mortalità infantile erano la norma, «le stigmate della fame». «Mangiammo l’urtichi cotti comu li ‘limiti (gli eremiti) e l’agghianda com’i porcelluzzi», si lamentavano i calabresi. Zanotti Bianco era colpito nel profondo. Ad Africo, paese sull’Aspromonte (prima dell’alluvione del 1951) riuscì a mettere in piedi una cucina per i più indigenti, un asilo, un ambulatorio con un medico fatto venire da fuori, un confinato politico malvisto dalle autorità fasciste. Fino ad allora, in un paese afflitto dalla tubercolosi, dal gozzo, dal tracoma, dall’artrite deformante, c’era solo un medico «a scavalco», sei ore di mulo per arrivare al paese, che veniva in visita due volte l’anno. Gli abitanti di Africo si nutrivano di un pane immangiabile, il mischio, farina di lenticchie, cicerchie ed orzo, dal sapore acido e amaro. Ogni sera Zanotti Bianco spediva quelle pagnotte agli amici di ogni parte d’Italia per testimoniare le condizioni del paese e raccogliere i fondi necessari per far fronte ai bisogni più urgenti della comunità. Ad Africo il mischiò, a Polistena, tra Rosarno e Taurianova, decenni dopo, «l’alimento base era il peperoncino tritato, con qualche sarda salata, il lardo, che sapeva di sapone, patate, un pezzo di aringa», a far da pasto per una giornata di lavoro. Lo racconta Girolamo Tripodi, detto Mommo, da bracciante potatore a sindaco a senatore della Repubblica, nel libro Il riscatto del giornalista Marcello Villari a lui dedicato (Rubbettino, pp. 256, Euro16). È un’altra storia italiana, questa di Mommo Tripodi, da ricordare nel Paese che rifiuta la memoria. Il padre, dopo la Grande guerra, emigrò negli Stati Uniti, sterratore nei cantieri che costruivano strade e ferrovie. Tornò a casa nel 1929, l’anno della grande crisi. Con i risparmi fatti acquistò due ettari di terra – ulivi e grano – troppo pochi per tirare avanti una famiglia con cinque figli. Mommo cominciò a lavorare fin da  bambino, a zappare, a tagliare l’erba per la capra. Andò a scuola soltanto a 11 anni: il padre non aveva potuto privarsi prima della sua pur piccola opera. Aveva imparato a leggere la sera, al lume di candela (sembra una pagina di De Amicis o di Victor Hugo). 

Era sveglio, Mommo, lo capì subito la maestra, anche se non riuscì ad andare oltre la licenza elementare. Studiò dopo da solo, lesse molto. Ma la sua scuola fu quel che vedeva, la sofferenza dei poveri, la prepotenza dei feudatari. Nel 1950, poco più che  ventenne, si iscrisse al Pci che per lui fu un’altra scuola. Erano gli anni incendiari delle lotte contadine, delle occupazioni delle terre, degli aspri scontri con la Celere di Scelba. Un popolo perennemente isolato dal mondo si era risvegliato e reclamava i suoi diritti. Il riscatto è anche un libro di storia, racconta i conflitti, gli scioperi delle raccoglitrici di olive supersfruttate e di quelle di gelsomino e di bergamotto. Spesso è commovente e insieme drammatico nel far rivivere quel passato. Tripodi fu protagonista, prima come sindacalista, poi come sindaco di Polistena – il «sindaco zappatore», veniva deriso – minacciato di morte dalla ‘ndrangheta, arrestato, processato infinite volte per la sua attività politica a tutela dei diritti. Eletto in Parlamento nel 1968, fu deputato e senatore per sette legislature. Agguerrito, ma impeccabile uomo delle istituzioni, fu anche questore del Senato, l’autorità più alta dopo quella del presidente. Da Reggio Calabria a Roma viaggiò per anni in seconda classe. Il bracciante potatore si rifiutava infatti di andare, come avrebbe potuto, in prima, accanto agli agrari, ai feudatari, ai baroni avversari di una vita.
 

Di Corrado Stajano

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