IN CONTO C’E’ UN MEZZOGIORNEXIT, il Sud dell’Italia è in condizioni simili alla Grecia (Italia Oggi)

di Goffredo Pistelli, del 20 Luglio 2015

Da Italia Oggi 18 Luglio

Dopo che la Grecia è diventata una discussione da bar, dopo che l’Italia si è divisa nel partito dei creditori e in quello dei debitori, con varie gradazioni di neointernazionalismo quest’ultimo, c’è qualcuno che s’è spinto oltre, cercando di capire che cosa la lezione greca abbia da insegnare al nostro Paese. È il caso di Piercamillo Falasca, classe 1980, originario di Sarno, animatore di diverse realtà liberali in Italia, prima l’Istituto Bruno Leoni poi Strade, giornale online che lui stesso dirige, nonché consigliere economico del sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova. Giorni fa ha lanciato sul Foglio, con cui collabora, la provocazionedel Mezzogiornexit, ricordando a tutti come la situazione greca non sia troppo dissimile da quella del nostro Sud. Al nostro Meridione, aveva già dedicato, tre anni fa, un saggio per Rubbettino che aveva fatto discutere: Terroni 2.0.
Domanda.
Falasca che c’azzecca la Grecia col nostro Meridione, che c’entrano Atene con Napoli, Salonicco con Palermo?
Risposta.
C’entrano e glielo spiego.
D. Prego.
R. Tutto il dibattito fra austerità e solidarietà si è tradotto sostanzialmente, da parte della sinistra greca, in una richiesta a che Atene fosse sostenuta finanziariamente senza offrire nulla in cambio.
D. Certo, finché Tsipras non è capitolato.
R. La sua non è stata una rivendicazione diversa da quella che caratterizza da molti decenni l’Italia, un Paese spaccato in due: da un lato il contribuente netto, il Nord, dall’altro il recettore netto di trasferimenti fiscali, il Sud. Aldilà, ovviamente, di questioni individuali: so bene come nel Mezzogiorno ci sia anche chi lavora, chi fa impresa e paga tasse.
D. E questo che cosa le fa venire in mente?
R. Che, senza questi trasferimenti fiscali, massicci, il Mezzogiorno, non sarebbe in unione monetaria con l’area dell’euro, ma non lo sarebbe stato neppure nella lira. Avremmo già avuto un Mezzogiornexit. C’è da riflettere su questo, guardando alla Grecia.
D. Per capire cosa?
R. Che con la Grecia, l’Europa non deve ripetere su scala continentale l’errore storico compiuto dall’Italia con il Mezzogiorno. La Grecia va sostenuta, ma secondo uno scambio rigoroso: risorse in cambio di riforme e autentico impegno alla modernizzazione. In caso contrario, si crea solo una società dipendente e narcotizzata dai sussidi pubblici. Anzi, dovremmo cambiare logica anche in Italia…
D. Che cosa dovremmo fare?
R. Applicare al Mezzogiorno quello che è stato fatto per la Grecia: condizionare i trasferimenti dello Stato alle Regioni e ai comuni all’applicazione di piani di riforme strutturali a quei territori. Quello che chiede Bruxelles ai singoli Paesi, Roma dovrebbe chiederlo alle singole Regioni: privatizzazioni degli asset non necessari, liberalizzazioni dei servizi pubblici locali, semplificazione e modernizzazione della burocrazia.
D. Una bella provocazione.
R. È difficile in tutta Italia, figurarsi al Sud.
D. Lei è un salernitano che si è formato al Nord, in Bocconi, coltiva qualche speranze per la sua terra o questa è quasi un’invettiva?
R. No, io sono convito delle potenzialità del Mezzogiorno, che sono enormi, se smette di vivere di spesa pubblica.
D. E da dove potrebbe partire il rilancio?
R. Non necessariamente dai ponti e dalle autostrade, che costano molto e servono solo quando c’è una vera domanda. Preferirei che s’investisse prioritariamente nella banda ultralarga.
D. Che il Governo sembra determinato a realizzare.
R. Sì, speriamo bene. Poi l’altra grande infrastruttura da portare al Sud è un sistema creditizio più fluido e capace di premiare chi presenta buoni progetti d’impresa.
D. Insomma non lo sviluppo fatto con i piani di industrializzazione o le grandi opere.
R. Non abbiamo bisogno necessariamente di nuove cattedrali nel deserto, progetti faraonici in cui troppo spesso si buttano a capofitto imprenditori solo di facciata!
D. Insomma per il Sud meglio la banda larga, la fibra ottica, l’Internet veloce, che il Ponte di Messina.
R. Esatto. E poi ci vorrebbe anche un’altra cosa.
D. Diciamolo.
R. Bisognerebbe capire che un’area depressa del Sud non può vivere con lo stesso livello tassazione e regolazione del Nord.
D. Beh, però come far quadrare le cose: meno tasse a un territorio che vive di danaro pubblico, come ha detto poco fa?
R. Rinunciando all’eccesso di spesa pubblica di cui vive.
D. Giù le tasse, tagliando la spesa.
R. Sì, anche se non è semplice avere la tassazione differenziata, anzi la Ue lo vieta, però ci sono tante formule.
D. Facciamo qualche esempio?
R. Sogno comuni che adottino piani di «tasse locali zero» per le nuove imprese ad alta innovazione. Poi occorre rompere un ulteriore tabù: il contratto collettivo nazionale. Se lo superassimo davvero, non è vero che ci sarebbero stipendi da fame.
D. Un tempo si parlava di gabbie salariali.
R. Vero, ma vede l’errore sarebbe proprio dirigere dall’alto un’azione del genere.
D. Ossia?
R. Andrebbe lasciata alla libera contrattazione e, allora, il Sud diventerebbe attrattivo di investimenti esteri, molto, molto di più di quanto lo sia oggi. Queste misure, insieme al Jobs Act, farebbero sì che un investitore straniero percepisca il portare i proprio soldi laggiù non è più dipendente da variabili esterne e incontrollabili.
D. Cosa manca?
R. Una classe dirigente locale, che appaia seria, credibile, interlocutore responsabile agli occhi di chi metta nuovi soldi. E questo tema se ne tira dietro un altro.
D. Quale?
R. Quello del capitale umano. Guardando i test Pisa (quelli dell’Ocse, ndr), il gap con il livello di istruzione del Nord è drammatico a livello di istruzione media, superiore e universitaria.
D. E allora?
R. Allora bisogna investire ma non si può farlo senza avere più severità nella qualità degli insegnanti di quanta ce ne sia ora.
D. Le diranno che generalizza, anche qui.
R. Ma no, che c’entra, al Sud ci sono tanti insegnanti bravissimi, eroici. Ma i dati sono chiari e il tabù va rotto. Come è ora di mandare in frantumi quello delle baronie universitarie degli atenei meridionali, fortissime, che sono un handicap enorme: non permettono la buona ricerca e non sono, così, volano per la crescita dei territori.
D. Si è arrivati al punto che una regione come la Calabria, neppure due milioni di abitanti, ha aperto recentemente la quarta università, privata, a Reggio Calabria, avendone già un’altra in quella città, che pure è a mezz’ora di traghetto da Messina, altra sede accademica. E poi ci sono Cosenza e Catanzaro.
R. Il Sud avrebbe bisogno meno università ma più dotate, in modo da usare meglio i fondi per la ricerca. Il fallimento di questa rete di atenei sta nel numero di giovani che, ogni anno, vanno a studiare fuori, non solo a Roma e Milano, ma in molte città, anche piccole, del Centro-Nord.
D. Torniamo allo sviluppo possibile.
R. Sì, non voglio parlare di turismo e di agroalimentare, per i quali ovviamente dobbiamo favorire le tante buone pratiche, ma nessuna realtà economica può vivere solo di turismo, intendiamoci.
D. Però quando si legge, dentro Buttanissima Sicilia di Pietrangelo Buttafuoco, dei tanti musei siculi chiusi o off-limits malgrado gli organici gonfiati, qualche dubbio viene...
R. Certo, quello è un capitale sottoutilizzato, in ogni caso anche in Grecia il turismo riesce a fornire solo il 15% del Pil. Il problema, in questo settore, è semmai un altro nel Sud Italia.
D. Vale a dire?
R. Ho avuto modo di parlare con operatori turistici nazionali e internazionali che lavorano nel Sud e lamentano il fatto che, a fronte dell’ottima qualità enograstronomica, della bellezza dei luoghi, del clima umano piacevole, fanno fatica a lavorare, a trovare fornitori locali professionalizzati e all’altezza delle loro necessità. C’è approssimazione, a volte. E questo non c’entra con le leggi e con la politica.
D. Da che cosa dipende?
R. Dalla cultura. Non dobbiamo più illuderci, dico noi, gente del Sud, che essere «gente di cuore» e molto accogliente sia sufficiente perché turisti e imprenditori ci scelgano.
D. Non è più vero?
R. Il Sud, a volte, sa essere insopportabile, tanta bellezza e tanta sciatteria… L’Italia al quadrato.
D. Tiriamo le conclusioni, Falasca?
R. Il messaggio è che occorre una classe imprenditoriale e dirigente, estremamente capace, dovrebbe far da motore per il Sud, senza vergognarsi di esprimere disagi o nascondersi dietro la narrazione comune per la quale siamo più vittime che carnefici.
D. Alla Pino Aprile, autore di libri venati di revanscimo meridionalista.
R. Esatto. Ecco io non voglio credere a questa vulgata autoassolutoria. E alla fine, se ci fa caso, è la stessa della Grecia.
D. I poveri greci obbligati a comprare i nostri armamenti, a prendere i nostri prestiti.
R. Esatto. Del resto, come diciamo giù? Una faccia, una razza.

Di Goffredo Pistelli

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